I dieci passi da compiere per attrarre i talenti nel mondo del lavoro che sta cambiando
Quando si creano intere categorie chiamandole “talenti”, aumenta la possibilità di perdere quella persona che fa davvero la differenza, e la cui uscita può comportare un danno all’organizzazione.
Ripercorriamo i dieci punti da non dimenticare per attirare talenti, per valorizzare le persone e diventare così un'azienda lungimirante.
Prima di chiederci come attirare i talenti, dovremmo porci la grande domanda: chi è un talento?
Come sempre in questi casi, partire dall’etimologia della parola è un ottimo modo per aiutare la riflessione. TRECCANI riporta testualmente:
[dal lat. talentum, e questo dal gr. τάλαντον]. – Nella Grecia antica, unità di misura di massa e peso, corrispondente a 60 mine e a 6000 dramme; il suo valore, e quindi il peso in metalli, variò secondo i luoghi e i tempi: il t. attico, per es., sulla base della dramma di g 4,366, pesava 26,2 kg circa. Lo stesso nome indicò anche una moneta di conto della Grecia antica (ed è questo il suo sign. più noto).
Quindi cos’è il talento?
Comunemente, per talento si intende una capacità innata, una disposizione naturale contrassegnata da grandi capacità. Nelle organizzazioni se ne parla tanto, tutti cercano i talenti, eppure spesso il significato racchiuso in questa parola così ricercata è molto più complesso delle definizioni finora analizzate.
Ognuno ha una sua visione di talento, che varia da contesto a contesto; allo stesso tempo, spesso questo termine viene utilizzato semplicemente per definire persone che si stanno cercando, magari solo un po’ più difficili da trovare, ma sempre che non rientrerebbero in questa definizione specifica.
Top Player, Key People o Outsider, ecco perché sempre di più si prova a dare nomi diversi come questi a persone che, “da manuale”, dovrebbero essere i talenti, ma che è difficile classificarli così, in organizzazioni che tendono a utilizzare in modo indistinto la parola.
Il problema di far diventare il talento, una categoria
A mio avviso anche qui risiede a volte il problema della perdita del talento: quando si creano intere categorie chiamandole “talenti”, aumenta la possibilità di perdere quella persona che fa davvero la differenza, e la cui uscita può comportare un danno all’organizzazione.
Ancora una volta credo che valorizzare le Persone non passi per il ritenerle tutte uguali. A scuola ci hanno insegnato che a diverso impegno corrisponde un voto diverso, e questo dovrebbe essere uguale anche nel mondo del lavoro. Ma non sempre è così e a volte si assiste a due tendenze, sbagliate in egual misura: considerare tutti talenti o ritenere ingiusto trattamenti diversi rispetto al valore portato.
Questa sorta di “politicamente corretto”, nel non poter dire che ci sono professionisti migliori di altri e che quindi meritano di più, indica un’azienda non lungimirante, che non considera come ogni uscita abbia un peso diverso, direttamente proporzionale alle competenze, alle attività e alle relazioni (per non parlare del valore intangibile che in realtà ha un grande indiretto ritorno sul business – o sul clima aziendale – e si vede solo successivamente).
Ragione per la quale spesso tanti “talenti”, alla ricerca della meritocrazia, abbandonano le organizzazioni.
Come attirare talenti: i passaggi da seguire
Se quindi la parola talento lascia aperte tante riflessioni, sembrano essere più chiare le leve di attraction.
Proviamo a ripercorrere dieci punti da non dimenticare per attirare “talenti”, dando per assodata l’offerta di uno stipendio almeno in media rispetto al mercato di riferimento (punto che, per ovvie ragioni, rimane la base; non può esserci motivazione dove manca la base della sostenibilità economica per una vita dignitosa in base al punto della propria fase di vita e alle relative esigenze):
- Non occuparsi di Employer Branding solo quando si cercano persone, ma farlo in modo continuativo per non ripartire sempre da zero.
- Essere presenti nei canali online, considerando quelli dove i candidati cercano maggiormente opportunità di lavoro.
- Mantenere la curiosità alta su tutte le piattaforme, i social e le iniziative in grado di proporre incontri con i candidati.
- Disegnare una “Candidate Experience”, come una “Employee Experience”, al passo con i tempi, moderna, innovativa, attenta davvero alle Persone e alle loro nuove preferenze (ad esempio tenendo presenti le ormai consolidate abitudini a cercare informazioni e/o a candidarsi via mobile – quando parliamo di candidati – o rivedere gli spazi della sede pensandoli come vero valore aggiunto nel quotidiano professionale).
- Garantire, ed esplicitare in fase di Attraction, un buon equilibrio tra lavoro e vita privata, tema davvero sempre più importante, come riportato nella ricerca di LinkedIn, dalla quale emerge questo aspetto come più importante anche rispetto alla retribuzione, ai benefit, ai colleghi e alla cultura (Linkedin Global Talent Trends 2022).
Su questo tema specifico c’è da considerare la grande rilevanza che sempre più persone danno alla possibilità di lavorare da remoto come condizione imprescindibile, e a questa si unisce una sempre maggiore priorità data alla sostenibilità (cosa l’azienda si sta impegnando a fare per le Persone, per la Società e per il Pianeta?) - Fare attenzione alla realizzazione personale, far fiorire le persone e dimostrarlo anche in fase di selezione, quindi, da una parte assicurare una classe manageriale con intelligenza emotiva (ad esempio molto attenta a pensare per le proprie persone un piano di sviluppo pensato sulla curva a S dell’apprendimento, come suggerito da Whitney Johnson in in un interessante articolo pubblicato da Harvard Business Review Italia: “Gestite la vostra organizzazione come un insieme di curve di apprendimento”) e dall’altra studiare un’efficace comunicazione in tutte le fasi di contatto con le persone, a patire dalla selezione.
- Ascoltare i candidati per avere dei feedback sul processo di candidatura e di selezione e da qui ripensare come migliorarlo per attrarre maggiormente.
- Creare contenuti che raccontino l’azienda in modo autentico e non limitarsi a pubblicare solo posizioni aperte.
- Coinvolgere le proprie persone, Brand Ambassador, nel racconto dell’azienda e delle esperienze lavorative.
- Dare sempre un feedback ai candidati per evitare che si generi un passaparola negativo e quindi un concreto problema reputazionale che diventerà in futuro maggiore tempo ed effort per cercare candidati, come perdita di clienti (quindi danno al business).
Questo punto dovrebbe essere considerato il primo per ordine di importanza perché la sua assenza vanifica tutti gli altri precedentemente descritti (su questo rimando ad un mio altro articolo: “L’Era Social e il peso del (mancato) Feedback Umano”). Nel feedback può essere importante pensare di offrire stimoli e risorse utili allo sviluppo professionale, indipendentemente dall’esito della selezione.
Dal momento che, chi si occupa di Employer Branding lo sa bene, non si può attrarre all’esterno se non si pensa prima a far stare bene all’interno le persone – che poi sono quelle che giorno dopo giorno raccontano consapevolmente e meno il brand (e quindi avvicinano o allontanano concretamente altri possibili candidati) -, è fondamentale partire dall’ascolto in azienda (che Luca Furfaro – Consulente del lavoro e Welfare Specialist – ricorda essere anche la prima forma di Welfare).
Questo, oltre a essere la base per chiunque si occupi eticamente e professionalmente di Risorse Umane e a far individuare gap e possibili criticità nella retention, diventa un’ottima leva su cui pensare un autentico Storytelling di ragioni per le quali entrare nell’organizzazione da passare efficacemente all’esterno.
P.S: chiamo a dare il suo parere Giada Susca, esperta del tema e che sta osservando anche lei i cambiamenti nelle organizzazioni.
I dieci passi da compiere per attrarre i talenti nel mondo del lavoro che sta cambiando