Corporate Innovation
Prima di chiederci come attirare i talenti, dovremmo porci la grande domanda: chi è un talento?
Come sempre in questi casi, partire dall’etimologia della parola è un ottimo modo per aiutare la riflessione. TRECCANI riporta testualmente:
[dal lat. talentum, e questo dal gr. τάλαντον]. – Nella Grecia antica, unità di misura di massa e peso, corrispondente a 60 mine e a 6000 dramme; il suo valore, e quindi il peso in metalli, variò secondo i luoghi e i tempi: il t. attico, per es., sulla base della dramma di g 4,366, pesava 26,2 kg circa. Lo stesso nome indicò anche una moneta di conto della Grecia antica (ed è questo il suo sign. più noto).
Comunemente, per talento si intende una capacità innata, una disposizione naturale contrassegnata da grandi capacità. Nelle organizzazioni se ne parla tanto, tutti cercano i talenti, eppure spesso il significato racchiuso in questa parola così ricercata è molto più complesso delle definizioni finora analizzate.
Ognuno ha una sua visione di talento, che varia da contesto a contesto; allo stesso tempo, spesso questo termine viene utilizzato semplicemente per definire persone che si stanno cercando, magari solo un po’ più difficili da trovare, ma sempre che non rientrerebbero in questa definizione specifica.
Top Player, Key People o Outsider, ecco perché sempre di più si prova a dare nomi diversi come questi a persone che, “da manuale”, dovrebbero essere i talenti, ma che è difficile classificarli così, in organizzazioni che tendono a utilizzare in modo indistinto la parola.
A mio avviso anche qui risiede a volte il problema della perdita del talento: quando si creano intere categorie chiamandole “talenti”, aumenta la possibilità di perdere quella persona che fa davvero la differenza, e la cui uscita può comportare un danno all’organizzazione.
Ancora una volta credo che valorizzare le Persone non passi per il ritenerle tutte uguali. A scuola ci hanno insegnato che a diverso impegno corrisponde un voto diverso, e questo dovrebbe essere uguale anche nel mondo del lavoro. Ma non sempre è così e a volte si assiste a due tendenze, sbagliate in egual misura: considerare tutti talenti o ritenere ingiusto trattamenti diversi rispetto al valore portato.
Questa sorta di “politicamente corretto”, nel non poter dire che ci sono professionisti migliori di altri e che quindi meritano di più, indica un’azienda non lungimirante, che non considera come ogni uscita abbia un peso diverso, direttamente proporzionale alle competenze, alle attività e alle relazioni (per non parlare del valore intangibile che in realtà ha un grande indiretto ritorno sul business – o sul clima aziendale – e si vede solo successivamente).
Ragione per la quale spesso tanti “talenti”, alla ricerca della meritocrazia, abbandonano le organizzazioni.
Se quindi la parola talento lascia aperte tante riflessioni, sembrano essere più chiare le leve di attraction.
Proviamo a ripercorrere dieci punti da non dimenticare per attirare “talenti”, dando per assodata l’offerta di uno stipendio almeno in media rispetto al mercato di riferimento (punto che, per ovvie ragioni, rimane la base; non può esserci motivazione dove manca la base della sostenibilità economica per una vita dignitosa in base al punto della propria fase di vita e alle relative esigenze):
Dal momento che, chi si occupa di Employer Branding lo sa bene, non si può attrarre all’esterno se non si pensa prima a far stare bene all’interno le persone – che poi sono quelle che giorno dopo giorno raccontano consapevolmente e meno il brand (e quindi avvicinano o allontanano concretamente altri possibili candidati) -, è fondamentale partire dall’ascolto in azienda (che Luca Furfaro – Consulente del lavoro e Welfare Specialist – ricorda essere anche la prima forma di Welfare).
Questo, oltre a essere la base per chiunque si occupi eticamente e professionalmente di Risorse Umane e a far individuare gap e possibili criticità nella retention, diventa un’ottima leva su cui pensare un autentico Storytelling di ragioni per le quali entrare nell’organizzazione da passare efficacemente all’esterno.
P.S: chiamo a dare il suo parere Giada Susca, esperta del tema e che sta osservando anche lei i cambiamenti nelle organizzazioni.