Corporate Innovation

Open Innovation vs Closed Innovation: l’innovazione a confronto

Quali sono le differenze tra Open Innovation e Closed Innovation? Qual è la migliore strada da intraprendere in azienda? Scopriamolo insieme in questo articolo.

Parlare di innovazione significa affrontare uno dei temi più caldi e attuali nel panorama aziendale e questo vale per tutti i settori e le tipologie di business. Non a caso, l’innovazione è sempre di più uno strumento fondamentale per far sì che un’azienda possa crescere, svilupparsi, conquistare e mantenere fette di mercato in una vision a lungo termine.

C’è però una questione delicata da affrontare in materia di innovazione: qual è la migliore strada da intraprendere in azienda? Questa domanda non è affatto scontata, anzi. La nostra epoca, questi primi decenni del ventunesimo secolo, rappresenta infatti una vera e propria fase di transizione – o un territorio di sviluppo, per utilizzare un’altra metafora – dove è importante osservare attentamente l’innovazione a confronto e scegliere il modello più conforme alle esigenze della propria organizzazione: Open Innovation o Closed Innovation?

In questa Spremuta facciamo sinteticamente il punto sulle principali caratteristiche di questi due paradigmi e cerchiamo di rispondere al dubbio amletico che attanaglia gli innovation manager.

Open Innovation: esternalizzare l’innovazione con la collaborazione

L’Open Innovation, o Innovazione Aperta, è un modello organizzativo e di business che punta ad estendere i processi legati all’innovazione oltre i confini aziendali, ricercando il potenziale per lo sviluppo attraverso la collaborazione e l’interazione con l’ambiente circostante (es. altre aziende e PMI, startup, Università, collaboratori esterni), condividendo idee, tecnologie e altre risorse.

L’obiettivo? Sviluppare prodotti e servizi innovativi per mercati sempre più esigenti. Dell’Open Innovation abbiamo già parlato nel dettaglio in un precedente articolo.

L’innovazione viene dunque generata sia dentro sia fuori l’azienda, in uno scambio reciproco di conoscenze e know-how attraverso un network di collaborazioni in ottica win-win che produce effetti positivi per tutti gli attori in gioco. Ad esempio, ecco alcuni vantaggi:

  • le grandi aziende esternalizzano la funzione di ricerca e sviluppo per ridurre i costi;
  • le PMI e le startup possono trarre vantaggio dalle risorse e dal know-how di grandi aziende partner di settore, tagliando gran parte dei costi di gestioni interni e investendo sul licensing di tecnologie, software o brevetti;
  • le scuole e le Università possono entrare in circoli virtuosi che favoriscono la ricerca, l’offerta didattica e il placement di giovanissimi talenti neodiplomati e neolaureati.

Il modello dell’Open Innovation si fonda, dunque, sulla forza della contaminazione reciproca di idee, conoscenze e competenze: un passaggio oggi sempre più determinante per decretare il successo dell’innovazione e delle aziende che adottano una cultura dell’innovazione.

Closed Innovation: internalizzare l’innovazione nei confini aziendali

Il modello della Closed Innovation, o Innovazione Chiusa, si basa su un concetto totalmente opposto rispetto all’Open Innovation. Infatti, secondo questo approccio l’innovazione si sviluppa solo ed esclusivamente in azienda internalizzando conoscenze, competenze e know-how. Ciò riguarda l’intera filiera dell’innovazione, dalla generazione di nuove idee al loro sviluppo in progetti concreti, fino alla loro realizzazione e commercializzazione.

La Closed Innovation è una strategia organizzativa che ha contraddistinto in modo significativo il business del secolo scorso, dove era praticamente ed eticamente doveroso preservare i confini aziendali da altri player esterni, ma che oggi trova un seguito decisamente ridotto e limitato a poche grandi aziende che hanno la possibilità di investire capitali importanti per:

  • internalizzare tutte le funzioni aziendali chiave, sostenendone tutti i costi necessari soprattutto in materia di ricerca e sviluppo;
  • assumere e trattenere le risorse umane più preparate, qualificate e competenti sul mercato in modo da ottenere il massimo dalla ricerca sull’innovazione;
  • garantire il pieno controllo dell’azienda sugli output innovativi, ovvero la paternità e la proprietà intellettuale dell’innovazione (in questo caso, a differenza dell’Open Innovation dove buona parte dei profitti deriva dal licensing, le entrate aziendali sono frutto della commercializzazione al dettaglio dei propri prodotti e servizi innovativi).

Se da una parte i sostenitori della Closed Innovation ritengono che mantenere i processi di innovazione all’interno dell’azienda possa rendere l’innovazione stessa migliore e più facile da sviluppare, dall’altra bisogna considerare i limiti economici ed organizzativi di questo modello:

  • elevatissimi costi di gestione, legati al costo delle prestazioni lavorative e della ricerca;
  • scarso coinvolgimento di tutte le risorse umane, in quanto solitamente solo gli “addetti ai lavori” prendono parte ai processi di innovazione;
  • preclusione della possibilità di individuare nuovi trend e potenziali mercati dove l’azienda può inserirsi con vantaggio.

Open Innovation vs Closed Innovation: quale scegliere e perché?

Allora, cosa è meglio scegliere per un’azienda tra Open Innovation e Closed Innovation e perché? Rispondere a questa domanda in maniera secca e senza argomentare non è facile, se non addirittura impossibile senza prendere in considerazione alcuni fattori determinanti nella scelta del modello di innovazione.

Il primo fattore è l’innovazione complessa. Quando gli aspetti tecnologici che contraddistinguono i processi innovativi sono strettamente collegati tra loro, l’Open Innovation può comportare alcuni potenziali rischi generando un possibile impatto negativo sull’intera attività economica aziendale.

Un esempio significativo di ciò riguarda Apple con la sua famosissima gamma di prodotti e servizi digitali altamente integrata e coordinata, nell’ottica della platform economy: in questi casi, l’azienda può essere più incline a mantenere un approccio all’innovazione di tipo chiuso almeno per quanto riguarda i caratteri fondamentali del proprio comparto innovativo, esternalizzando solamente alcune specifiche funzioni secondarie o di supporto collaborando con player di fiducia o affiliati.

Il secondo fattore è l’innovazione unica. I processi innovativi di questo tipo producono solitamente miglioramenti significativi per le aziende che possono così godere di un vantaggio competitivo rispetto ai competitors. In tal senso, la scelta del migliore modello di innovazione dipende dalle attività da sviluppare e gli obiettivi che si vogliono raggiungere:

  • per obiettivi molto specifici e a breve termine, si preferisce la Closed Innovation in modo da gestire in maniera più snella i processi innovativi interni;
  • per obiettivi più ad ampio spettro e a medio-lungo termine, si preferisce invece l’Open Innovation e la forza della cooperazione e delle connessioni per generare benefici win-win.

Il terzo e ultimo fattore è l’elevata concorrenza. In particolare, soprattutto nei settori con un’intensa concorrenza interna consolidata tra leader di mercato e soggetti all’introduzione di nuove aziende e startup, sostanzialmente l’innovazione chiusa è più adatta per sfruttare al massimo i vantaggi che l’azienda può trarre dai suoi investimenti in ricerca e sviluppo: l’obiettivo, chiaramente, è riuscire ad ottenere, sviluppare e commercializzare per primi prodotti e servizi innovativi capaci di conquistare il mercato.

Secondo un recente studio, il 61% delle aziende adotta sistemi di Open Innovation mentre il 34% continua ad utilizzare strategia tradizionali di ricerca e sviluppo dell’innovazione. Quali sono le ragioni che spingono verso la scelta dell’Open Innovation piuttosto che della Closed Innovation? I principali punti da tenere a mente sono:

  • l’aumento dei costi relativi allo sviluppo delle nuove tecnologie, considerando anche il ridotto ciclo di vita dei prodotti sul mercato, che rende molto più vantaggiosa la collaborazione con player esterni;
  • l’incremento della mobilità dei lavoratori, oggi molto più inclini ad adottare forme di lavoro flessibili come lo smart working e il remote working, che rende più difficile per l’azienda ingaggiare e trattenere nel tempo le migliori risorse umane;
  • la crescente disponibilità di finanziamenti e capitali sia pubblici sia privati (i cosiddetti venture capital) che permettono di finanziare i progetti innovativi sviluppati soprattutto da startup, PMI ed Università.

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Open Innovation vs Closed Innovation: l’innovazione a confronto

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