Corporate Innovation

Platform Economy e imprese: quali vantaggi e quali rischi?

Un’indagine condotta da KPMG fa il punto sugli aspetti positivi e negativi della Platform Economy, mettendone in luce i principali dilemmi da risolvere.

Sempre più spesso si sente parlare di Platform Economy e molte organizzazioni, soprattutto startup, si configurano fin dall’inizio come piattaforme pronte a costruire il proprio ecosistema.

Questo fenomeno non è solo una moda passeggera destinata ad esaurirsi a breve. Anzi, oggi molte delle aziende più grandi e influenti al mondo sono strutturate come Platform Companies.

Quali sono i vantaggi e i rischi per queste imprese? Scopriamolo in questo articolo analizzando insieme il report “Unlocking the Value of the Platform Economy” redatto da KPMG, con particolare attenzione ai tre volti delle piattaforme: il Buono, il Brutto e il Cattivo.

“Il Buono, il Brutto e il Cattivo”, i tre volti della Platform Economy secondo KPMG

Vi dice nulla questo titolo? Se state pensando ad un film cult della storia del cinema, purtroppo, in questo caso vi state sbagliando.

KPMG, infatti, giocando sul significato di questi tre aggettivi ha riformulato il celebre titolo costruendoci sopra un’esposizione dettagliata ed efficace del fenomeno della Platform Economy e dei suoi tre volti. Vediamo insieme di che si tratta.

Il Buono: una soluzione per aziende e clienti

Le piattaforme offrono molti vantaggi agli utenti, non a caso il volto buono della Platform Economy è quello delle soluzioni vincenti per le aziende, i clienti e la società in senso più ampio.

Un primo elemento da analizzare è il benessere dei consumatori, in particolare quello psicologico e non quantificabile da indicatori come il PIL o i consumi pro capite. Secondo lo studio “Using Massive Online Choice Experiments to Measure Changes in Well-Being”, condotto tra il 2017 e il 2018 dall’ente statunitense National Bureau of Economic Research, si stima che la disutilità (anche momentanea) di una piattaforma può generare una perdita che moltiplica dalle 50 alle 250 volte il valore economico prodotto dall’attività di ciascun utente. 

Questo dato così significativo sottolinea la rilevanza sempre più grande che la Platform Economy, con il suo modello di business accessibile, affidabile e risolutivo, esercita verso i propri clienti – e quale può essere il rischio economico correlato alla cattiva gestione dell’attività.

Per quanto riguarda il ramo aziendale, le piattaforme rappresentano un’opportunità di crescita non indifferente. Ecco alcuni esempi:

  • le PMI possono competere anche con le grandi aziende entrando in contatto con una platea di clienti maggiore e ottenendo una reach sensibilmente più alta;
  • le imprese possono sviluppare nuovi modelli di business, ad esempio il Consumer to Business to Consumer (C2B2C), oppure accrescere la propria attività standard in modo flessibile con l’ausilio delle piattaforme e di marketplace specifici;
  • la presenza delle Platform Companies può rappresentare uno stimolo per le altre aziende per migliorare la qualità della propria attività economica.

E il benessere sociale? Si tratta di un tema fortemente sentito soprattutto dalle realtà europee, fondate sugli ideali di comunione e collaborazione dell’Unione. 

Molte piattaforme perseguono obiettivi socialmente utili, particolarmente rivolti verso:

  • le persone più bisognose, come le famiglie in stato di indigenza, i disabili e gli anziani privi di assistenza o le minoranze vittime di discriminazioni;
  • la partecipazione attiva alla vita politica e democratica, ad esempio attraverso il sistema delle petizioni online o il networking tra cittadini, aziende e istituzioni.

Il Brutto: l’effetto “winner take all

Come in molti altri contesti, anche nella Platform Economy al rovescio della medaglia si scopre un volto più negativo – nel nostro caso, il brutto: stiamo parlando dell’effetto “winner take all”.

Questo fenomeno in economia diventa sostanzialmente sinonimo di monopolio sleale dei mercati digitali controllati dalle Super Platforms rispetto a quelli tradizionali. Com’è possibile questo?

Nell’indagine presa in analisi, KPMG riporta un’espressione tanto pesante quanto significativa per esporre questo concetto: la “schiavitù moderna”. Eccone le principali questioni:

  • concorrenza sleale dei prezzi, laddove le Platform Companies e le imprese che operano su piattaforma possono massimizzare le entrate ottimizzando la gestione dei costi di produzione e distribuzione dei loro prodotti e servizi, di fatto prendendosi un vantaggio competitivo e tagliando fuori le organizzazioni tradizionali che, soprattutto in alcuni settori, non hanno oggettivamente modo di competere ad armi pari;
  • utilizzo improprio di dati di terze parti, relativi sia ad aziende sia ad utenti privati, per sviluppare nuovi prodotti e servizi che a tutti gli effetti entrano in concorrenza con quelli delle aziende clienti ma, come visto, con politiche tariffarie a favore della piattaforma.

Molte piattaforme commerciali, nel tempo, hanno anche sviluppato servizi di natura pubblica da offrire ai propri utenti, in particolare nell’ambito dell’informazione. È il caso dei social media, ormai veri e propri mezzi di comunicazione di massa – anche istituzionale – al pari della televisione. 

C’è però un problema molto delicato: la diffusione di notizie false o faziose a opera degli algoritmi. Questi ultimi non prestano attenzione all’obiettività delle informazioni, concentrandosi piuttosto sull’effetto “personalizzazione veicolando solo i contenuti che si ritengono in linea con ciò che uno specifico utente preferisce, con il risultato di amplificare il fenomeno laddove sussista.

Il Cattivo: l’etica del lavoro nelle piattaforme digitali

Qui si apre un ulteriore punto di vista sul mondo della Platform Economy: il volto del cattivo, quello che ci ricorda ancora una volta il valore dell’etica in un modello di business così complesso.

Una questione importante riguarda l’uso eccessivo dell’intelligenza artificiale all’interno delle piattaforme. Infatti, se da una parte i sistemi IA oggi consentono di automatizzare e velocizzare molte operazioni standard, soprattutto per quanto concerne la raccolta e l’elaborazione di dati, dall’altra è necessario accorgersi delle situazioni in cui il loro utilizzo è sbagliato.

Il fenomeno della Gig Economy ne è un esempio tangibile. La maggior parte dei lavoratori delle piattaforme è priva di un contratto di lavoro formale, e delle relative tutele, operando in un contesto di chiara subordinazione spesso non riconosciuta e, anzi, mascherata da lavoro autonomo. 

Si tratta di un aspetto certamente poco limpido e in perfetta sintonia con il concetto di schiavitù moderna accennato precedentemente. Ma quale ruolo gioca l’intelligenza artificiale?

I Gig Workers sono spesso sottoposti a monitoraggio delle performance mediante appositi algoritmi che valutano sia fattori quantitativi, come i tempi di lavoro, la produttività o i feedback ricevuti sotto forma di voto, sia fattori qualitativi, in questo caso le recensioni espresse verbalmente dai clienti finali. Alcuni algoritmi valutano addirittura il comportamento del lavoratore, prendendo nota dei compensi richiesti e degli incarichi accettati e rifiutati.

Il risultato? I gestori delle piattaforme dispongono di una quantità di dati così ampia da poter fare benchmarking tra i loro lavoratori. Le conseguenze, purtroppo, sono molto dure per chi non rientra nei parametri ideali: dal ridimensionamento delle prestazioni, e dunque la riduzione del reddito percepito, fino al vero e proprio scioglimento della collaborazione.

La questione è particolarmente spinosa, ma fortunatamente i primi passi per la regolarizzazione del lavoro su piattaforma sono stati fatti. Per approfondire, dai un’occhiata a questo articolo.

I dilemmi da risolvere nel futuro della Platform Economy

Giunti al termine di questa analisi approfondita, possiamo riassumere i vantaggi e i rischi della Platform Economy prendendo nota dei tre principali dilemmi che i portabandiera di questo modello di business saranno chiamati a risolvere prossimamente.

Innanzitutto, emerge chiaramente un dilemma economico fortemente legato al rapido stravolgimento di molti settori. Appare evidente che le Platform Companies dispongono di un ventaglio di vantaggi competitivi che rendono estremamente difficile e onerosa la concorrenza da parte delle aziende tradizionali. Il futuro lascia trasparire una crescente piattaformizzazione di alcuni mercati, dove per le imprese sarà necessario far parte di un ecosistema.

C’è poi un dilemma organizzativo che nasce da una semplice domanda: come vengono distribuite le risorse in un ecosistema di piattaforme? Si tratta di un punto particolarmente interessante, in quanto la tipica infrastruttura della Platform Economy si muove proprio sul concetto di creazione di valore economico reciproco tra tutti gli utenti.

Un’ulteriore questione, in linea con questa tematica, riguarda il crescente dialogo tra piattaforme e istituzioni per la realizzazione di politiche pubbliche in materia economica: un dualismo apparentemente ambiguo tra interessi collettivi e interessi privati.

Infine, non possiamo dimenticarci del dilemma etico che attanaglia il mondo della Platform Economy, in parte già affrontato. Qui le questioni sono essenzialmente tre:

  • la mancanza di chiarezza sulla free agency dei collaboratori delle piattaforme, ovvero sulla loro reale situazione contrattuale in funzione alle prestazioni lavorative svolte;
  • il ricorso a un management algoritmico estremamente formalizzato nella gestione del lavoro e nella valutazione delle risorse umane;
  • la gestione dei Big Data da parte delle piattaforme, con particolare attenzione al loro utilizzo e alla loro condivisione.

Insomma, il futuro della Platform Economy, tra successi da consolidare e questioni delicate da risolvere, appare ancora in chiaroscuro. Il tempo farà certamente maggiore chiarezza e noi non vediamo l’ora di saperne di più.

Platform Economy e imprese: quali vantaggi e quali rischi?

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