Ecosistemi di innovazione: l’esempio estone raccontato da Rebecca Philips partecipante di Innovators Factory
Dimentichiamo le logiche individualistiche. La creazione di ecosistemi di innovazione è il vantaggio per la società. Leggi l'esempio estone.
Il fenomeno degli ecosistemi di innovazione è in fortissima espansione, anche per effetto della contingenza storica che stiamo vivendo, che – tra emergenza sanitaria e conflitti internazionali – ci fa riscoprire in maniera sempre più forte l’esigenza e la volontà di unire le forze per combattere il nemico.
Lo stiamo attestando a ogni livello e dimensione dell’agire umano: il remote working forzato ci ha riavvicinati ai colleghi, facendoci riscoprire il valore della socialità; il senso di precarietà e di incertezza ci ha convinti della necessità di cogliere l’attimo, e siamo sempre più propensi a mettere in discussione lo status quo per lanciarci a scatola chiusa in una nuova avventura imprenditoriale o in un nuovo percorso lavorativo che soddisfi di più le nostre esigenze. Il repentino cambiamento delle condizioni di mercato ci ha fatto capire che la sopravvivenza dell’azienda è strettamente connessa, da un lato, alla sua capacità di innovare e rinnovarsi, dall’altro, al grado di apertura che è in grado di esercitare verso l’ambiente circostante.
Insomma, quello che abbiamo scoperto è che siamo più forti se viviamo, agiamo, pensiamo e innoviamo all’interno di un ecosistema.
Ecosistemi di innovazione: l’unione fa la forza
Abbiamo già parlato del fatto che questo termine è ormai una buzzword, spesso utilizzata più in ottica di marketing che in senso proprio. Tuttavia, in alcuni Paesi del mondo si stanno venendo a creare ecosistemi (di imprese, startup, istituzioni…) in grado di apportare reali e tangibili vantaggi allo sviluppo della comunità locale.
Ce lo racconta meglio in questa intervista Rebecca Philips – neo-laureata presso l’Università La Sapienza di Roma e partecipante della prima edizione della Innovators Factory (qui puoi leggere l’esperienza di Diana, altra partecipante della prima edizione di Innovators Factory) – che ha approfondito il tema con particolare riferimento all’Estonia.
Rebecca Philips racconta il vantaggio degli ecosistemi per lo sviluppo dell’Estonia
Q. Ciao Rebecca, congratulazioni per la tua freschissima laurea e benvenuta su Spremute Digitali! Nella tua tesi hai studiato gli ecosistemi di innovazione sia da un punto di vista teorico, sia applicativo. A valle di questa analisi, puoi spiegarci perché l’innovazione negli ecosistemi è, ad oggi, fondamentale per startup e aziende?
A. Ciao Roberta! Grazie per avermi coinvolto e dato la possibilità di fare questa chiacchierata con te e con i lettori di Spremute Digitali.
Nel mio lavoro di tesi ho riportato nel dettaglio il significato di ecosistema, con particolare focus sul mondo startup. In generale, ogni ecosistema è formato da gruppi di persone con attitudini e background differenti (imprenditori, investitori, consulenti, creativi…), che collaborano tra di loro con l’obiettivo di creare innovazione, anche sotto forma di startup o nuove aziende.
Questo significa che un ecosistema di startup non è altro che l’interazione tra persone provenienti da organizzazioni e ambienti totalmente diversi tra di loro, e l’unico modo per conciliare tali differenze è attraverso l’innovazione. Mi spiego meglio: dobbiamo concepire l’innovazione come uno strumento che ci permette di comunicare nel miglior modo possibile, abbattendo i tempi e i costi che solitamente si hanno quando si parla di modelli di Business.
Ed è qui che subentra l’importanza di quella che oggi chiamiamo “Open Innovation”, che non fa altro che abbracciare un modello di mercato basato su creatività, collaborazione, velocità e conoscenze specialistiche.
Q. Ho letto con interesse il tuo approfondimento sull’ecosistema estone. Cosa possiamo imparare dall’Estonia? Quali sono le best practices e i principali indirizzi strategici che possiamo introdurre anche nel nostro Paese?
A. Quello che mi è stato possibile apprendere da questi studi sull’ecosistema estone, è che alla base del loro successo non vi è soltanto la digitalizzazione dell’apparato burocratico, ma anche e soprattutto una cultura e un mindset digitali che hanno reso possibile la creazione di un sistema di e-governance!
In questo senso, è stato determinata il ruolo dell’ecosistema circostante, fondato e guidato da dinamiche di open innovation.
Un altro valore aggiungo dell’ecosistema estone è il fatto di aver reso i servizi più focalizzati sul cittadino/consumatore mediante una stretta collaborazione tra settore privato e settore pubblico. Un noto imprenditore, Andrew Keen, non a caso ha detto:
Nel vecchio mondo, i cittadini erano soliti dipendere dai governi, in Estonia stanno cercando di far sì che il governo dipenda dai cittadini.
Questa forse è la lezione più importante che possiamo imparare oggi.
Ovviamente le differenze demografiche e culturali tra Italia ed Estonia non sono da sottovalutare, ma questo non significa che l’Italia sia impossibilitata ad imparare e attuare taluni indirizzi strategici che sono stati adottati dall’Estonia.
Il nostro obiettivo non deve essere certo quello di copiare pedissequamente il loro modello, ma di cercare, invece, le best practices applicabili, con i dovuti adattamenti, al contesto culturale in cui viviamo. Sicuramente partire dalla costruzione di una collaborazione efficiente tra settore privato e pubblico potrebbe aiutarci nel superare quelle barriere dovute alla mancanza di fondi e digitalizzazione della Pubblica Amministrazione. Ma, soprattutto, sarebbe determinante riuscire a promuovere una cultura dell’innovazione attraverso le scuole e le università, poiché altrimenti sarebbe impossibile creare un ecosistema favorevole.
In conclusione, possiamo dire che soltanto attraverso la combinazione di questi due fattori possiamo assicurarci un futuro armonioso e quasi equiparabile a quello estone, se non addirittura migliore.
A. La maggior parte delle loro soluzioni hanno un approccio definito “citizen-centric“, ovvero focalizzate su quelle che sono le necessità del cittadino/consumatore all’interno di una società, e come il governo possa rendere le vite di quest’ultimo più semplici. Ma tali soluzioni sono state possibili e attivabili soltanto tramite il dialogo e la collaborazione con il settore privato.
L’Estonia è l’unico paese al mondo che è riuscito a trasferire il 99% dei servizi pubblici online e il primo che abbia adottato metodi di autenticazione online attraverso diversi modelli di identità digitali elettroniche come la Mobile-ID, Smart-ID e Residency-ID.
Quest’ultima in particolare, la e-Residency, è una soluzione pensata non soltanto per i cittadini estoni, ma per i cittadini di tutto il mondo!
Il suo obiettivo è quello di generare una e-Residency globale, una piattaforma basata sull’inclusione, legittimità e trasparenza, che dà la possibilità di creare il proprio business da qualsiasi parte del mondo, con tutti quelli che sono i vantaggi che derivano dal fare un business online, poiché i costi di mantenimento sono molto bassi e la crescita è incentivata dello 0% di imposta delle società sui profitti reinvestiti.
Inoltre, è possibile utilizzare l’euro per mitigare i rischi dovuti alla fluttuazione del cambio della moneta del paese di appartenenza, anche se non facente parte del UE.
Ad oggi vi sono all’incirca 83.000 estoni che utilizzano la piattaforma, con 170 paesi da tutto il mondo che vi hanno aderito e più di 16.000 aziende registrate. Per non parlare, poi, del software X-Road, che permette lo scambio di big data tra diversi server del governo, in totale sicurezza.
Queste sono soltanto alcune delle soluzioni socialmente utili adottate, ma è evidente che la maggior parte di esse sono state create con l’intento di rendere la vita dei cittadini e non, più semplificata ed efficiente, e tutto questo è stato possibile soltanto e unicamente mediante una partnership tra privato e pubblico, che insieme hanno svolto e realizzato evidenti cambiamenti.
Q. Qual è il ruolo della Coalescence Innovation nel supportare la creazione e lo sviluppo di ecosistemi di innovazione?
A. Il suo ruolo è focale poiché ad oggi è uno dei pochi paradigmi che guida metodologicamente la creazione di ecosistemi di innovazione destinati a perdurare nel tempo. Del resto, il paradigma è stato ideato per prendere il meglio di Social Innovation e Open Innovation, facendone convergere, rispettivamente, purpose e metodo .
Nel ventunesimo secolo non è più pensabile agire secondo logiche individualistiche o egoistiche. L’ambizione della Coalescence Innovation è guidare la creazione di ecosistemi che, come quello estone, siano in grado di evolversi di pari passo con i tempi e i nuovi trend di mercato, coinvolgendo gli agenti che possono concorrere al cambiamento e creando le condizioni ideali affinché possano trasformare un’idea in un progetto valido e rilevante per la società.
Q. In chiusura, sulla base della tua ricerca, quali sono le azioni più immediate che Paesi come l’Italia possono mettere in piedi per iniziare a costruire ecosistemi di coalescence innovation?
A. Il primo passo, specialmente in un contesto come quello italiano, è stanziare dei fondi che supportino il cambiamento, per dare la possibilità di creare un ecosistema virtuoso; quindi, bisogna mettere i change agent nelle condizioni di concorrere al cambiamento, trasformando idee e intuizioni in progetti a supporto dell’intera comunità globale.
Un primo passo in tal senso potrebbe essere quello di approfondire e diffondere la metodologia della Coalescence Innovation, supportando la crescita del paradigma attraverso la ricerca sul campo. Un ruolo cruciale in tal senso lo giocano scuole e università, fondamentali nell’attirare, diffondere e creare consapevolezza sull’innovazione.
Grazie, Rebecca! In bocca al lupo per l’inizio della tua carriera nel mondo dell’innovazione.
Ecosistemi di innovazione: l’esempio estone raccontato da Rebecca Philips partecipante di Innovators Factory