Design Thinking in Italia: la metodologia e i settori in cui è più utilizzata
Utilizzato per gestire e risolvere problemi con una vision creativa, il Design Thinking in Italia è una metodologia applicata in vari settori.
Una sala riunioni vuota, che piano piano comincia a riempirsi. Persone con tazze piene di caffè in mano che parlano e si avvicinano a una lavagna bianca. Pennarelli e post-it colorati a disposizione di tutti, pronti per essere compilati. I foglietti colorati cominciano a trovare il loro posto, vengono attaccati e spostati, collegati da linee colorate, raggruppati e di nuovo divisi, le voci si mescolano e propongono, ritrattano, cambiano punto di vista.
Non si tratta di un gioco di gruppo, questo è un semplice esempio di una delle tante riunioni affrontate ogni giorno da aziende che hanno scelto l’approccio del Design Thinking.
Cos’è il Design Thinking?
Il Design Thinking è un approccio innovativo utilizzato per la gestione e la risoluzione di problemi pratici e complessi utilizzando una vision creativa. Metodo fortemente incentrato sull’utente, nasce dalle esigenze di progettisti e designer per poi trovare un’applicazione molto più vasta, praticamente in qualsiasi campo legato alla progettazione di prodotti o servizi.
Il Design thinking è un approccio funzionale, utilizzato ormai in svariati campi per arrivare a decisioni e soluzioni di problemi analitici pensando “out of the box”.
Design Thinking: un concetto tutto moderno?
A gettare le basi di questo nuovo metodo di analisi è stato lo psicologo e sociologo Herbert Simon, che nel 1969 nel suo articolo “Sciences of the Artificial” porta all’attenzione di tutti l’applicabilità di tecniche creative per la risoluzione di problemi analitici.
Il design viene infatti utilizzato per la risoluzione di problemi “ambigui” per i quali il solo approccio scientifico non sarebbe abbastanza, vista la loro unicità e il loro allontanamento da settori canonici. Da allora il Design Thinking ha subito diverse evoluzioni e trova una definitiva codificazione grazie agli studi fatti presso l’università americana di Standford nei primi anni 2000, dettata da un avvicinamento di questa disciplina verso i bisogni umani.
Infatti, una delle principali cause del fallimento di ogni business è proprio l’errata considerazione delle necessità dei consumatori. Una volta individuato e circoscritto il bias, è chiaro che fare finta di niente non è né possibile né conveniente: le vecchie analisi quali-quantitative di sterili dati non sono più abbastanza, considerata la pluralità e la mutevolezza dei bisogni dell’utenza, che vuole ovviamente avere un servizio valido e magari poter dire la propria su come migliorare il servizio stesso.
Ed è qui che entra in gioco l’approccio metodologico del Design Thinking, capace di sincronizzare le necessità umane con i processi di innovazione e le esigenze tecnologiche e funzionali, arrivando alla completa soddisfazione per il consumatore e al risultato economico per l’azienda.
Design Thinking, tra obiettivi e principi
L’obiettivo del Design Thinking è sostanzialmente uno: trovare soluzioni originali e innovative a problemi non lineari.
Come? Soddisfacendo tre criteri fondamentali:
- Desiderabilità: cosa vuole davvero il cliente? Cosa vorremmo se fossimo noi i clienti?
- Fattibilità: quali sono le tematiche e i modelli più utili per una valutazione realistica dei comportamenti degli acquirenti?
- Sostenibilità economica: qual è la soluzione migliore in termini di sostenibilità nel tempo e di profitto?
Per far sì però che questo metodo riveli tutte le sue potenzialità è necessario non perdere mai di vista i principi che danno vita al Design Thinking, ossia la user-centricity, la multidisciplinarietà e la sperimentazione.
La focalizzazione sul cliente parte infatti dall’assunto che il ruolo dell’utente sia centrale nella realizzazione di un progetto sviluppato servendosi di questa metodologia. Le esigenze dei consumatori vanno ascoltate e comprese e il successo del business dipenderà proprio da questa analisi.
“La diversità è ricchezza”, questo potrebbe essere il vero mantra del nostro secolo. Per questo motivo costruire team multidisciplinari formati da persone con diversi background può dare vita a molte più idee di quanto non lo farebbe un team piatto e omogeneo, individuando anche problematiche diverse che possono essere analizzate con occhi diversi.
Infine, la sperimentazione costante: le domande da porsi sono molte e i bisogni da soddisfare ancora di più, è necessario non fermarsi alla prima ipotesi e continuare a interrogare il nostro pubblico di riferimento. Questo principio è rappresentato dal modello chiamato “Loop” e caratterizzato da tre dictat: “observe, reflect, make”, quindi una catena infinita e intrecciata di osservazione, riflessione e azione che punta a un continuo miglioramento.
Le 4 regole per riformulare i 3 principi del Design Thinking
Ovviamente nel corso degli anni gli studi in materia sono aumentati e alla Standford University la teorizzazione ha raggiunto ulteriori specifiche. Secondo C. Meinel e H. Leifer del Hasso-Plattner-Institute of Design, i principi di questo processo potrebbero essere riformulati e riletti attraverso 4 regole:
- La regola umana: tutte le attività devono essere pensate come “human centred”.
- La regola dell’ambiguità: per ogni problema ci sono diverse interpretazioni e quindi diverse soluzioni, la sperimentazione può aiutare a tenere per le briglie l’incognita dell’apparente inafferrabilità di una questione.
- La regola della ri-progettazione: il fulcro del Design Thinking potrebbe essere riassunto con la necessità di creare nuovi mezzi di fruizione per vecchi bisogni.
- La regola della tangibilità: prendere il problema e renderne l’eventuale soluzione tangibile sotto forma di un prototipo che può aiutare i progettisti a trasmettere in modo più efficace le proprie idee e soluzioni, mettendo in evidenza prima i dettagli da migliorare.
Le 5 fasi del Design Thinking
Le fasi da attraversare per portare a termine un progetto di Design Thinking sono cinque.
- Empatizzare: è necessario conoscere l’utente e capire cosa fa, pensa e prova quotidianamente. Per superare questo primo step, strettamente connesso con la regola umana, è possibile servirsi di interviste, focus group, user research e altri mezzi di osservazione.
- Definire il problema: una volta ottenute tutte le informazioni è necessario mettersi nei panni dei consumatori per individuare le difficoltà e gli ostacoli, capendo come poterli superare.
- Ideare: è arrivato il momento per ogni membro del team di lasciare libera la creatività, raccogliere più idee possibili e progettare soluzioni, utilizzando tecniche come il brainstorming o le positioning maps.
- Prototipare: è la fase che prevede la trasformazione delle idee del team in prodotti veri e propri, delle versioni elementari del risultato finale che incorporano le potenziali soluzioni individuate precedentemente. Perché un prototipo risulti efficace deve aiutare a mettere in luce problemi e difetti affinché si intervenga con le dovute modifiche.
- Testare: dopo la prototipazione è il momento di mettere la soluzione in pista e ascoltare il feedback degli utenti. Sebbene in alcuni casi questo sia il passaggio finale, molte volte il risconto dei consumatori implica invece un passo indietro alla fase precedente, per rianalizzare la problematica iniziale e discutere di nuove idee.
Quali sono i principali settori di utilizzo del Design Thinking in italia?
Il Design Thinking è ormai considerato applicabile a problemi strategici, organizzativi o di sviluppo in ogni campo, ed è visto come uno dei processi di analisi che fornisce i risultati migliori per situazioni complesse o scarne di dettagli, anche nello scenario post-pandemico e per la gestione dei remote team.
Per esempio, viene utilizzato per la definizione di strategie aziendali a medio o lungo termine, per l’ideazione di prodotti, servizi o processi, per progetti di ri-organizzazione aziendale e di acquisizione, o ancora nell’ambito delle risorse umane e per l’avvio di startup. Il Design Thinking può essere impiegato in diverse attività e in diversi settori, i quali hanno come scopo la ricerca di soluzioni innovative e che mettono al centro il consumatore.
L’ Osservatorio Design Thinking for Business della School of Management del Politecnico di Milano ha approfondito la questione. Nello specifico in Italia sarebbero circa 289 gli innovatori che utilizzano questo approccio, soprattutto nei settori legati alla finanza e alle assicurazioni, alla comunicazione e anche alla Pubblica Amministrazione.
452 sono invece i progetti di consulenza in Europa (200 in Italia, 103 in Svezia, 36 nel Regno Unito, 42 nei Paesi Bassi e 71 in altri paesi), dove il Design Thinking viene utilizzato per risolvere problemi di complessità elevata, per testare prodotti e servizi, per coinvolgere i dipendenti in processi creativi e per rivisitare la visione strategica aziendale.
In media il giro d’affari si avvicina a 225 milioni di euro e i settori maggiormente coinvolti risultano essere
- finanza e assicurazioni
- manifattura
- vendita
- ICT
- automotive
- Pubblica Amministrazione
- energia e consulenza.
Il Design Thinking aiuta anche a sfruttare al meglio le opportunità del mondo digital: le aziende che sfruttano maggiormente questa metodologia lavorano nel campo dei Big Data (52% dei progetti), dell’Artificial Intelligence (40%) e dell’Internet of Things (37%).
Rimane indietro il mondo delle startup: sono 279 le aziende nel mondo che offrono soluzioni digitali generate attraverso questo metodo e solo 4 sono italiane, condizione indicativa di una carenza generale in questo settore. Nello specifico la zona con il maggior numero di imprese innovative si conferma il Nord America (con 146 startup con una concentrazione di 137 negli USA), a seguire troviamo Europa (80) e Asia (41).
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Design Thinking in Italia: la metodologia e i settori in cui è più utilizzata