Serenità vs Tossicità: le “nuove” importanti battaglie
“Si scappa dai capi e non dalle organizzazioni”. “Le aziende sono il capo”. Queste sono due delle frasi che spesso si leggono in rete, e le consapevolezze che si maturano velocemente in azienda. È innegabile quanto la percezione cambi grazie (o a causa) al team in cui ci si trova e, prima di tutto, a chi lo guida. Basta parlare all’interno con Persone diverse e riscontrare sicuramente dei punti in comune, ma molti aspetti variegati di luci e ombre ed emozioni contrastanti, dipendenti da quei micro-climi creati nel gruppo di lavoro spesso non fedeli all’azienda nel suo complesso.
Serenità e tossicità: le nuove sfide aziendali
Non è tanto il lavoro svolto, quanto il più delle volte, la leadership assente o autoritaria (quindi non la non – leadership) o la mancanza di fiducia, a creare tensione e ansia, quindi quello che viene definito un clima tossico. Quel clima che oggi “le grandi dimissioni” ci stanno insegnando che siamo sempre meno disposti ad accettare.
La libertà ha assunto un peso molto diverso dallo scenario pre-COVID perché viviamo tutti “un rumore di fondo, un’inquietudine sottile e individuale”, come sostenuto da Raffaella R Ferrè (I VECCHI RITMI SONO INSOSTENIBILI, INUTILE FINGERE: SIAMO CAMBIATI E DEVE CAMBIARE TUTTO IL SISTEMA), che afferma anche che “la ripresa non ci interessa se la locomotiva economica ci travolge buttandoci a terra”. Sempre di più diventa grande “il bisogno di maggiore serenità per pensare alle cose per noi davvero importanti e alla direzione che ha preso la nostra vita”, citando ancora lo stesso articolo.
Quasi mai quindi, per le ragioni sopra riportate, è l’intera azienda ad essere “tossica”; l’ambiente non sano è fatto dalle Persone, dai loro comportamenti e abitudini, dagli obiettivi o dalle aspettative sbagliate come leva di frustrazione. Spesso è riconducibile alla cultura che esalta il lavoro fino a tardi e alla banale retorica del primo a fare la battuta “hai fatto part-time”, segnalando orari normali come qualcosa di “sbagliato”.
Tutto questo ci fa comprendere che la tossicità non è assolutamente solo un elemento di prossimità fisica e da remoto; alle più tipiche fonti di tossicità, se ne aggiungono di nuove dettate dalla pandemia. Quindi oggi, tra straordinario e ordinario, l’ambiente tossico passa per lo scarso riconoscimento della grande crisi umana in atto per via delle restrizioni continue, il perseverare alla “vecchia maniera”, come se nel frattempo le nostre vite non fossero cambiate.
Le mancate rassicurazioni, le indicazioni vaghe e/o non contestualizzate, le riunioni a tutte le ore e magari defocalizzate, gli eccessi di email (spesso in orari inopportuni), le intrusioni sui telefoni personali via chat, le pretese autoritarie, i mancati coinvolgimenti o riconoscimenti, le regole non chiare o variabili; e ancora la diffusione di energia negativa, i conflitti all’ordine del giorno, l’assenza di empatia, la perenne pressione inutile, le manie di controllo, le ingiuste riprese, la mancata professionalità, l’esasperazione del potere, le lamentele costanti, la trasparenza assente, l’approssimazione, i capi eccessivamente presenti o eternamente assenti…
Come riconoscere un ambiente tossico in azienda
Scappare o meno da situazioni di questo tipo? Nel Webtalk “Ambiente Tossico: Come riconoscerlo e come sopravvivere”, tenuto il primo dicembre da #SoluzioniNoStress – a cura di Francesca Larocca (Happiness Ambassador e CHO di HP) e Diana Nesyn (Fondatrice e consulente dell’azienda A Lavoro Felici) e con ospiti Danila De Stefano (Founder di #unobravo) e Valerio Lalli (Community Manager di ELIS e contributor di Spremute Digitali) – sono stati trasmessi due concetti molto importanti: “abbandonare la nave è la cosa più sana da fare”, “la tossicità spegne le Persone luminose e una Persona spenta fa più danni di una Persona disingaggiata”.
Una sintesi estrema, estrapolando due soli concetti di una discussione ben più ricca da cui è emersa, in situazioni come queste, l’importanza del “coraggio di dire” (cit. Docente di Comunicazione d’Impresa Annalisa Galardi – libro “Il coraggio di decidere – storie di saggezza decisionale”). Quel coraggio che spesso manca per varie ragioni e che invece potrebbe in molti contesti cambiare le cose, spostando l’energia sul “locus of control interno” e quindi su tutte le variabili e risorse che dipendono da noi e che potrebbero cambiare il nostro vissuto e quello degli altri.
E qui ci sta la condivisione della celebre citazione di Martin Luther King:
“Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla.”
Martin Luther King
Questo, però, richiama un’altra volta le Organizzazioni ad attivare più forme e modalità di ascolto, incrementando al proprio interno un mindset teso a far sentire le Persone aiutate senza giudizio; innescare quindi, così, attraverso “i tanti ascolti” un circolo virtuoso positivo e un concreto “scudo” contro le uscite.
Come sopravvivere alla tossicità in azienda per la serenità
L’ascolto è un antidoto ai diversi Off-Boarding che potrebbero essere evitati se correttamente e tempestivamente intercettati, quando causati da elementi tossici. Un ascolto aperto, quindi, anche contro la tossicità da raccontare e far emergere con trasparenza e non come elemento da nascondere, un taboo che il più delle volte si ha paura di tirar fuori e che facilmente si trasforma in sintomi emotivi e fisici.
“Prevenire e ascoltare anche il non detto, che è sempre meglio che curare”, come sostenuto nel Webinar prima citato.
Se qui si parla di ascolto come prevenzione da parte delle aziende, ce n’è uno ancora più importante che dipende dal singolo e che si sostanzia nell’attenta osservazione del contesto anche prima di entrare in un’organizzazione. Troppa poca attenzione viene spesso dedicata a tutti quei segnali che possono essere indice di un ambiente tossico. Si può respirare nei processi di selezione (dove è fondamentale ricordarsi che non deve essere una sfida a farsi “assumere”, ma una scelta reciproca in cui notare ogni aspetto che emerge nella relazione di conoscenza), nei luoghi di lavoro, nelle facce delle Persone, nel modo di scrivere le comunicazioni, nel modo di approcciarsi del futuro capo…
E come si ascolta a distanza, non detto incluso, da remoto? Come si garantisce un ambiente nutriente distribuito tra le case, le vecchie sedi e i nuovi spazi? Come si permette ad un candidato di immergersi nella realtà aziendale per fare una scelta attenta e consapevole da una visuale offuscata dall’ibrido?
Tutto questo fa parte dei grandi ridisegni organizzativi che non possono essere limitati alla unica scelta della presenza o meno in ufficio. Ancora una volta, “People First” è vero solo se l’Employee Experience è SEMPRE al centro della visione e delle azioni strategiche basate sull’ascolto.
Altrimenti è uno slogan banale, una parola abusata e non autentica e attendibile, che può celare un ambiente tossico. Quindi, in conclusione, per riprendere Annalisa Galardi e il suo recente libro, mai come oggi è importante il coraggio di tutti. Di dire, di fare, di dare, di essere nella relazione. E di decidere.
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