Qual è il futuro del lavoro nella Platform Economy?
Il modello delle piattaforme cambia la concezione classica del lavoro dando vita a nuove professioni e forme contrattuali. C’è il rischio di maggiore precarietà?
Qual è il futuro del lavoro nella Platform Economy? Cosa si intende per lavoro on-demand? Chi sono i Gig Workers? Come si pronuncia il diritto?
Ogni volta che si sente parlare di normative e regolamentazione del lavoro sappiamo di trovarci di fronte a una delle questioni più spinose che riguardano da vicino la vita di molte persone.
La Platform Economy sta rivoluzionando l’economia favorendo lo sviluppo di nuovi mercati e modelli di business, forte di un vantaggio competitivo legato alle interazioni e alla formula del Solution to Consumer o S2C.
Ma non è oro tutto quel che luccica: se da una parte aziende e clienti vedono nelle piattaforme e nei relativi ecosistemi economici delle solide opportunità, dall’altra c’è bisogno di osservare con attenzione i loro riscontri sociali, specialmente dal punto di vista dei lavoratori.
In questo articolo analizzeremo come sta cambiando la concezione del lavoro mediante le piattaforme e quali potrebbero essere i futuri risvolti. Siete pronti? Partiamo.
Il Futuro del lavoro nella Platform Economy: lavoro on-demand
Sicuramente non siamo nuovi al termine on-demand, tipico delle piattaforme di streaming di serie TV e film, ma difficilmente avremmo pensato di vederlo accostato al lavoro.
Si tratta di un concetto che in effetti ricalca perfettamente l’essenza stessa della Platform Economy, trasformando il lavoro da costo fisso a costo variabile: lavoratori on-demand e (quasi) sempre disponibili per prodotti e servizi on-demand sempre disponibili.
Questo argomento è stato già trattato nel 2014 in un articolo dell’Economist, delineando chiaramente i contorni di un nuovo orizzonte professionale contraddistinto, da un lato, da un’estrema flessibilità – con la possibilità di lavorare come, quando e quanto desiderato in qualità di freelance – dall’altro dal forte rischio di un aumento della precarietà nel mondo del lavoro.
La questione è scivolosa. Molti lavoratori oggi rivendicano maggiore libertà nell’organizzazione del tempo, dello spazio e del modo in cui lavorare, accettando di sacrificare le tutele garantite da un regolare contratto.
Fenomeni più che mai attuali, come la great resignation o il nomadismo digitale, sono esempi che sottolineano questo cambiamento e che inquadrano il lavoro come uno strumento di libertà. Ma la domanda è: si è davvero più liberi?
Chi sono i Gig Workers?
Riders, baby sitter, pet sitter, autisti, insegnanti privati, sono solo alcune delle figure che oggi lavorano on-demand attraverso le piattaforme. Questi lavoratori hanno un nome: Gig Workers.
Il termine Gig deriva dall’inglese e nel tempo ha assunto molti significati, profondamente differenti a seconda del periodo storico. In tempi remoti si riferiva al calesse, principale mezzo di trasporto dell’epoca.
Poi è stato adottato come sinonimo di barca di piccole dimensioni, così come di fiocina, uno strumento tipicamente usato nella pesca.
Di recente è diventato parte dello slang della musica dal vivo, con particolare riferimento alle esibizioni serali di band emergenti nei locali: da qui, infine, deriva l’attuale significato di “lavoretto” o lavoro a prestazione.
Gig Workers in Italia
Nel report Lavoro Virtuale nel Mondo Reale, pubblicato nel gennaio 2022 dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP), emergono dati interessanti che fotografano la situazione dei lavoratori della Platform Economy in Italia.
Nel Bel Paese si contano circa 570.000 Gig Workers, pari circa al 26% di coloro che guadagnano attraverso attività mediate da Internet e all’1,3% della popolazione in età lavorativa. Di seguito, ecco la loro suddivisione:
- 274.000 (48%) lavora su piattaforma come occupazione principale;
- 139.000 (24%) lavora su piattaforma come occupazione secondaria;
- 157.000 (28%) lavora su piattaforma solo occasionalmente.
L’indagine ricostruisce accuratamente anche un vero e proprio identikit del Gig Worker italiano, presentando queste caratteristiche socio-economiche:
- maggiore impiego di uomini rispetto alle donne (media di 4 su 5);
- età media compresa tra i 35 e i 49 anni (70% del totale);
- livello di istruzione medio-basso (50% diplomati, 30% fermi alla scuola dell’obbligo);
- prevalenza di lavoratori con figli a carico (45%) o che sostengono altri familiari (11%);
- per 8 lavoratori su 10 il reddito guadagnato mediante le piattaforme, seppur sensibilmente minore rispetto alla media, è importante per soddisfare le proprie esigenze personali;
- il 57% dei lavoratori ha un contratto di collaborazione autonomo (occasionale e non), il 12% ha un contratto di lavoro subordinato formale e il 31% non ha un contratto di lavoro.
In merito al tipo di attività professionale svolta dai Gig Workers in Italia, i dati riportano che:
- il 50% si occupa di delivery, di cui il 36% di pasti a domicilio e il 14% di prodotti o pacchi;
- il 35% svolge prestazioni professionali autonome online, sia occasionali sia continuative;
- il 9% si occupa di mansioni domestiche, come baby sitting o pet sitting;
- il 5% offre servizi di trasporto privato in qualità di autista;
- l’1% svolge altre tipologie di attività miste o non classificabili nelle precedenti categorie.
Il futuro del lavoro nella Platform Economy: diritto del lavoro
Cosa dice il diritto in materia di Platform Economy e di Gig Workers? È una domanda assolutamente non scontata e di grande attualità, che fa luce sulla grande lacuna di questo fenomeno: la gestione del lavoro e i diritti dei lavoratori occupati nelle piattaforme.
L’etica delle piattaforme digitali tra algoritmi e management
Se da una parte è lodevole guardare con fiducia alle nuove tecnologie e alla loro implementazione nella quotidianità, anche e soprattutto in azienda, dall’altra non si possono ignorare i limiti e i rischi che questa scelta comporta dal punto di vista etico.
È il caso del management algoritmico, un modello gestionale che affida a sistemi di intelligenza artificiale alcuni compiti chiave legati all’assegnazione degli incarichi o alla valutazione delle performance, scoprendo il fianco a possibili errori gravi che possono compromettere la vita professionale dei Gig Worker.
A tal proposito, in occasione del convegno Lavoro e Diritti nella rivoluzione di Internet organizzato dall’Università Ca’ Foscari, è stato fatto il punto sulla questione della trasparenza degli algoritmi e soprattutto delle loro decisioni. Tra i principali temi affrontati:
- mancata consapevolezza dei lavoratori in merito al funzionamento degli algoritmi;
- motivazioni che spingono gli imprenditori a gestire il lavoro dei dipendenti tramite algoritmo;
- comprensione del meccanismo di misurazione delle performance automatizzato;
- comprensione del meccanismo di premiazione e sanzionamento dei lavoratori.
Occorre dunque tenere gli occhi ben aperti e, probabilmente, mantenere un approccio meno entusiastico e più obiettivo nei confronti della tecnologia e del modo in cui la utilizziamo.
Dal punto di vista giuridico, però, si sono già mossi i primi passi verso l’adozione di diritti concreti a garanzia dei lavoratori delle piattaforme. Vediamo la questione più nel dettaglio.
Una legislazione europea per i diritti dei Gig Worker
I governi e le istituzioni politiche di tutto il mondo sono stati forse tra i soggetti maggiormente colti alla sprovvista dalla rapida diffusione della Platform Economy e dall’avvento dei Gig Workers.
Ma dopo anni di sostanziale anonimato lavorativo, in Spagna è stata approvata la prima legge in Europa, il Real Decreto-Ley 9/2021, che riconosce queste professioni – in particolar modo i rider – e garantisce loro lo status di lavoratori dipendenti con tutti i relativi diritti.
Si tratta di un importante intervento legislativo arrivato in seguito a due sentenze, emesse rispettivamente dai giudici della Corte Suprema Spagnola e del Tribunale di Barcellona.
Nel primo caso, la sentenza garantiva genericamente ai Gig Worker la presunzione della sussistenza di un rapporto di lavoro formale alle dipendenze delle piattaforme, alle quali spettava dimostrare l’autonomia dei lavoratori nello svolgimento delle proprie mansioni.
Nel secondo caso, invece, la sentenza ha riconosciuto i rider di una nota piattaforma di delivery come lavoratori dipendenti a tutti gli effetti e ha obbligato la società a formalizzare i loro contratti e regolarizzare la loro posizione dal punto di vista fiscale e previdenziale.
L’esperienza spagnola ha fatto da apripista a quello che sarà sicuramente un lungo iter di lavoro per l’adozione di regolamenti e norme specifiche di carattere comunitario, già avviato con la presentazione di una Direttiva Europa nel dicembre 2021: sul tavolo ci sono, sì, i diritti dei lavoratori, ma anche la regolamentazione dell’attività delle piattaforme.
E com’è la situazione in Italia?
Il tema dei Gig Worker non è del tutto nuovo nel nostro ordinamento, data l’esistenza della Legge 128/2019 e successiva Circolare Ministeriale 17/2020.
Queste fonti hanno finora rappresentato un primo tassello verso l’inquadramento formale di queste figure professionali, nella fattispecie i rider, anche se la loro efficacia è limitata al solo riconoscimento della professione (in forma perlopiù autonoma) e di alcune tutele contrattuali di base: uno scenario piuttosto diverso rispetto a quanto visto nella legislazione spagnola.
Ma se la politica finora non è stata abbastanza lungimirante per riconoscere pienamente lo status di lavoro dipendente ai Gig Worker, la giurisprudenza ha già iniziato a muoversi verso questa direzione – proprio come in Spagna.
In particolare, le sentenze emesse tra il 2020 e il 2022 dai Tribunali di Palermo, Torino e Milano sono concordi nell’individuare le tipiche caratteristiche del lavoro subordinato nell’attività professionale di questi lavoratori, tracciando una chiara direzione da seguire per la formalizzazione del lavoro su piattaforma mediante un’apposita legge.
Insomma, il tema della tutela del lavoro è certamente un ingranaggio importante del complesso meccanismo che mette in moto la Platform Economy. Ma l’adozione di una legislazione europea in materia può davvero essere l’antidoto definitivo allo sfruttamento del Gig Work e all’avanzare di una nuova precarietà digitale? Non ci resta che attendere e osservare con attenzione gli sviluppi.
Qual è il futuro del lavoro nella Platform Economy?