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Achille e la tartaruga – La storia dell’uomo che fermò il mercato

oscar farinetti

Il protagonista della nostra storia un signore dall’aspetto gioviale, di nome Oscar Farinetti, che senza che nessuno se ne accorgesse, in vent’anni, dai familiari alle persone sperdute nei posti più disparati, ha stupito tutti. Di norma, le storie degli imprenditori famosi oramai risalgono, con molta probabilità, ai decenni delle grandi guerre, ditte con almeno mezzo secolo di storia e di grandezza, esempi lineari di progresso che nelle logiche del mercato si adeguano alla corsa sempre più forsennata del capitalismo vecchia scuola.

Oscar Farinetti

Oscar Farinetti, immagine forbes.it)

Oscar questo non lo ha fatto. C’è una storia risalente agli anni più bui del liceo di ognuno di noi, che proviene dalla Grecia. Zenone postula un paradosso; ed una tartaruga piega l’eroe dal piè veloce.
Ora, tolto che la serie matematica del suddetto paradosso sia stata dimostrata matematicamente convergente, e quindi questo risolto, l’immagine di un Achille che frena il suo impeto al cospetto di una testuggine, ci appaga molto di più come idea. Tanto più se questi è il mercato, con la sua alta variabilità e irrefrenabile mutamento, e la tartaruga un bonaccione uomo che come valore ultimo ha adottato la tranquillità e la certezza.

Oscar Farinetti e il progetto Eataly 

Eataly Oscar Farinetti

Uno shop Eataly a Boston.

La nostra storia, quella di Eataly, comincia con un progetto di ricerca nel 2002. Oscar Farinetti, proprietario già di Unieuro, azienda di famiglia, incomincia lo scouting insieme a Slow Food (partner), alla ricerca di collaboratori che condividano i valori e gli obiettivi del progetto:

l’attenzione per la qualità, per la sostenibilità ambientale ed economica, per la responsabilità e per la condivisione.

Durante questo percorso di selezione si sono imbattuti in innumerevoli realtà minori, poco note, in grado di aggiungere un valore inestimabile all’identità del progetto.
Nel 2007, l’azienda apre la sua prima sede a Torino. La sua mission può cominciare a compiersi: creare luoghi armonici nei quali permettere al pubblico di trascorrere del tempo, assaggiando gli stessi prodotti di alta qualità che si possono anche acquistare e conoscere attraverso le attività di didattica.
Nel 2010, dopo una enorme serie di successi sul territorio italiano, Eataly sbarca a New York, dove finalmente potrà portare una parte della cultura Italiana tra i prodotti in esportazione.
Dopo l’apertura a Roma nel 2012, le esportazioni cominciano ad estendersi anche ai blocchi che non sono legati alle filosofie del consumismo, impattando ed avendo successo anche in realtà come quelle del Medioriente nel 2013 e successivamente in tutto il mondo.
Una storia che, se presa in una logica economica, risulta abbastanza lineare e meno travagliata di molte altre.

I dettami della tartaruga

Se esportare in centinaia di paesi del mondo bastasse, l’articolo sarebbe stato dedicato certamente ad altre aziende che da più di mezzo secolo fanno conoscere la cucina italiana nel mondo.
Barilla e la tartaruga però non suona per nulla bene.
L’insegnamento che dovremmo trarre, in primo luogo, tenendo a mente che adattarsi è importante in ambienti ostili (ed in alcuni settori più che in altri) e che garantirsi uno stato di sopravvivenza attraverso lo studio del mercato è fondamentale, è che non si vive per sopravvivere.
Il primo insegnamento della via della tartaruga è quindi: trovare il proprio tempo e la propria dimensione.
L’azienda Eataly ha descritto infatti una via alternativa alle necessità del capitalismo di stampo statunitense e ha valorizzato, contro ogni logica di consumo, ogni singolo elemento della propria produzione secondo la cultura e la storia che è pronta a far conoscere.
Si tratta solo di cultura però? Sarebbe riduttivo.
Il secondo insegnamento della tartaruga è imparare la lentezza.
La lentezza è cultura? La lentezza è utile? Come si definisce.

slow food

Logo Slow Food

Per Eataly lo slow food non è soltanto il retaggio che ci tramanda la nostra tradizione. Lento non vuol dire morto, tanto meno storico, slow food è, prima di tutto, uno stile di vita, e neanche questo basta. È a tutti gli effetti anche un ideale. Per quanto riempirsi la bocca di cibo e di parole non possa rendere questa sensazione appieno, l’ideale è qualcosa che ha bisogno di essere perseguito.
Slow food significa essere vivi. Ed esserlo prima di essere produttivi.
Quello che l’azienda torinese vende, ed in secondo luogo esporta fuori dal nostro territorio, deve comprendere tutte e tre le cose contemporaneamente. Ed ha avuto successo a livello imprenditoriale perché ha venduto, a differenza di altri prodotti o imitazioni di prodotti Dop, un modo di essere.
Ha venduto un modo di stare al mondo e ha condiviso con chi non può conoscerlo, una serie di scelte che premiano la persona prima ancora della sua definizione di capitale umano. Ha portato il mindset italiano nel relazionarsi in luoghi in cui spesso la persona viene dimenticata. Ha creato una possibilità, per quanto frivola di essere felici. E offriamo (offrono), come italiani, una cesura al modello capitalistico e consumista delle economie di mercato più aggressive.
Ci troviamo (si trovano) a fronteggiare una lotta ideologica, e prima ancora ecologica, per sostenere la terra in cui viviamo, e delle tradizioni che non ci spersonalizzino. Slow food è l’Italia intera, ma non solo.
Slow food è la Grecia, il Nord Europa, è tutte le tradizioni di ogni paese fino all’estremo oriente del Giappone. Slow food è condivisione (Slow food è lottare, in un certo senso, contro una produzione senza amore).
Quello che Eataly esporta, e dovrebbe esserci d’esempio, è una spinta vitalistica a concedersi un attimo di felicità, non importa dove e in che contesto. A costo di essere contraddittori e a costo di sembrare privilegiati. L’obiettivo è essere sostenibili nei confronti di ogni ingranaggio presente nella filiera.
L’ultima lezione della tartaruga è infine, oltre ad essere stata la prima, quella di riscoprire noi stessi per quelli che già vivono nel mediterraneo, attraverso ciò che siamo.
Riscoprire piatti dimenticati e l’amore per la tavola sono il primo passo per la qualità. Stare insieme con calma, nella serenità materna e cordiale di un convivio può e deve essere un idillio che non rischi l’oblio. Pericolo quantomai attuale come oggi, in un periodo pandemico che dovremmo sempre tentare di sventare.
Cosi parlò la Tartaruga.


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Uno sguardo al futuro

oscar farinetti prossimi progetti

Oscar Farinetti: quali progetti per il futuro? La sostenibilità.

Come in un post-scriptum nascosto a piè di pagina, nella migliore delle tradizione letterarie, come ultima volontà, dischiudiamo, tutti chini come il nostro momentaneo maestro, un inverno di pensieri distesi su di un ritmo meno formale.
L’esperimento di Oscar Farinetti fu un successo. Non c’è dubbio, e prospererà per parecchi decenni, ma è davvero tutto quello che ha lasciato a questo mondo? (È ancora vivo, non bisogna preoccuparsi)
Sapete qual è la dote più grande di un animale lento e longevo? La testuggine oltre ad avere una pazienza proverbiale, tende il collo all’orizzonte. Comincia a sognare centomila passi prima il luogo dove sa che dovrà arrivare. Nessun essere sulla terra, potrà mai dire di aver sognato come una tartaruga. Per sua natura guarda, insomma, lontano, ovunque debba arrivare con gli occhi e l’immaginazione.
Oscar, per il suo futuro ha già ricominciato a sognare. Ha infatti aperto un nuovo progetto, Green Pea, che è disposto a percorrere la strada presa in precedenza, fino in fondo.
Il desiderio è quello di prendere le redini dello sviluppo ed arrestarsi, anche solo per poco, a riflettere. L’obiettivo è ridurre il consumo forsennato e la produzione fine a sé stessa. Per farlo ha adibito un retail store per includere marchi eco-sostenibili e con filosofia green, e ha costruito un piano interamente adibito all’ozio, per costruire e raccogliersi in comunità, e aumentare l’engagement con questo tipo di cultura.
E voi cosa ne pensate? Vi sentite anche solo un po’ più fieri di rappresentare valori così ampi all’estero?


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