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Discorsi sul metodo: Gamification – La faccia della medaglia che teniamo nascosta

implementazione gamification

L'implementazione della gamification quando può essere considerata dannosa? Le aziende devono pensare prima alle persone poi al profitto.

Nelle puntate precedenti: la prima cosa da dire è che Omnia Junior era una enciclopedia fantastica. Fine dei bei ricordi, andiamo al sodo. Abbiamo visto come la Gamification fosse la traduzione di comportamenti ludici in ambienti non ludici. Detto in termini meno comprensibili: abbiamo visto come le dinamiche di affermazione sociale vengano legittimate molto più facilmente nei contesti ludici. Riportato alla normalità: “giocare” stimola la competizione e l’engagement. Abbiamo inoltre ricordato che giocare permea dalla preistoria ad oggi il comportamento sociale umano, e ne abbiamo mostrato le potenzialità.

Arriviamo quindi nel vivo di quello che è il cuore della questione, perché quando si ragiona, si sa, lo si fa per avere le paranoie, ossia: la gamification può essere dannosa? La risposta più secca possibile è: Si.

Quello che però non viene fuori su siti come noncielodikono.com e su altrettanti articoli che tentano di delegittimarla, però è: in che misura la gamification è dannosa? – Che mi sembra, una domanda molto più ragionevole – E perché?

Trattato sul comportamento umano alla “se vabbé”

La Gamification, come i maggior detrattori saranno felici di sapere, diventa problematica quando sfocia nella Pointsification, ovvero quella condizione in cui le leadboards su cui i punteggi della competizione di gioco vanno a favorire sia i comportamenti tossici e abusivi tra dipendenti, soprattutto dei datori di lavoro verso la loro forza primaria.

In genere un sistema “pointficato” non produce grandi risultati, questo si riassume nella degenerazione del gioco che viene orientato più sui premi che sul divertimento dato dal gioco e dall’interazione. I premi, in un sistema studiato per aumentare la produttività, sono infatti generalmente simbolici, atti a mostrare il proprio valore “sociale” all’interno della “partita” insieme agli altri dipendenti, e per limitare questo processo in un ambiente sano, vengono forniti immateriali. Non dovrebbe esserci nessuna conseguenza pratica data dalla partecipazione al gioco da parte di un dipendente, tantomeno alla sua mancanza.

Caso virtuoso è il programma per i magazzini Amazon, caso vizioso invece sono gli hospitality departments della Disney. Due esempi diametralmente opposti della PBL (Points, badge, leadbords) il sistema più comune di classificazione.

Introduciamo quindi l’acerrimo nemico del divertimento

gamification

La manipolazione è l’acerrimo nemico di divertimento e gamification

La Disney (ma questo lo sapevamo già) viene considerata l’esempio classico di come può cadere in basso un sistema che dovrebbe in teoria far piacere alla propria forza lavoro. Esempio esaustivissimo di come fare Pointsification da veri re.

L’intero Sistema della casa del Topo, si basava su un sistema di punti e stimolazione visuale che promuoveva la produttività nel cambiare la biancheria dalle camere di Disneyland.

Con il sistema di tracciamento e scoring, agli impiegati veniva dato un nuovo obiettivo di produttività che prima non era neanche minimamente richiesto, e sono stati costretti a svolgere i compiti a ritmi strazianti per tenersi il posto.

Ricordi quando ho detto che il gioco legittima la competizione e l’imposizione gerarchica? È perché le rende innocue, cosa succede però se il gioco impatta la tua vita lavorativa? Esatto succede che diventa un incubo di proporzioni mai viste perché non solo non fai divertire i tuoi dipendenti, che è il meno, ma li poni davanti alla scelta di sovraprodurre per un contratto, in cui quello prima non rientrava, con la scusa di monitorarli, sempre per un gioco, e poi li mandi a casa se non sono abbastanza produttivi.

Sembra un brutto passo da un libro distopico di fine anni ‘50. Succede che, se si lasciano delle persone in condizione di sopravvivenza per un gioco, committeranno in maniere così accanite che aumenteranno gli incidenti, ed è stato registrato anche dal sito di Disneyland, e che la produttività subirà un forte calo.

Succede che sempre in virtù della narrativa del gioco, le persone vengono giudicate e ne risentono a livello sociale a causa delle valutazioni, seppur minime dei superiori, o delle macchine che li monitorano (e sappiamo quanto è rischioso far prendere questo tipo di decisioni alle macchine), e personalmente non mi sembra il caso di mettere delle flag a semaforo come discriminante di “sto andando bene o male“, quantomeno non nel posto di lavoro (ma che stiamo in Tempi Moderni?).

Significa trasporre nuovamente, in buona sostanza, un precariato dentro a una contrattualità che dovrebbe essere una certezza. Questo metodo estremamente semplicistico di schiavismo digitale, la frusta elettronica, ha fallito prima di subito, ed è diventata famosa come uno degli esempi più gravi di quanto sia pericolosa la gamification semplicistica e rozza.

Tornando alla sociologia spicciola, viene fomentato all’inverosimile il principio di presa di posizione all’interno del contesto sociale (grazie Pierre Bourdieu, sei sempre nel mio cuore), questo perché le dinamiche vengono rese tossiche non per loro stesse, ma per l’utilizzo valutativo che se ne fa. Mettere sotto pressione le persone con dei giochi è sadico, non li fa divertire, l’Enigmista è un film superato da circa 15 anni.

Ma quindi torniamo alla domanda principale. Se questa vagonata di cattiverie è vera, le corporation che fanno Gamification sono cattive e la sfruttano? 

Considerazioni conclusive sul Vil danaro – La risposta è no

No, come veniva sottolineato all’inizio, la gamification è produttiva e costruisce circoli virtuosi se progettata con criterio e adottata in funzione del divertimento (o quantomeno nell’aumento dell’engagement), e può essere una manna anche ai fini del training aziendale, non solo in settori in cui il lavoro è monotono ed estremamente ripetitivo. Ne è la prova il fatto che si possa assegnare valore anche ad azioni qualitative e non solo quantitative.

Per avere una migliore implementazione della gamification è necessario sempre sottolineare l’importanza dei goals e dell’allineamento ai suddetti. Se il gioco è manipolativo e serve a usare gli impiegati per degli scopi che non sentiranno propri (come aumentare la produttività al posto di avere un relief dallo stress, a detta prettamente personale) allora l’attrito porta a problematiche pesanti, come la perdita di engagement e di fiducia, oltre che alla creazione di dipendenza e ossessione nel caso opposto.

Il modo migliore per evitarlo è entrare a far parte della audience e ascoltare di cosa questa ha bisogno, nella fattispecie, ascoltare i lavoratori cosa pensano del sistema che gestisce il loro lavoro.

Il concetto chiave è Strumento. Non soggetto, non sei tu che controlli tramite gioco, ma dai uno strumento per creare l’opportunità creativa. Un esempio virtuoso in questo senso è Duolinguo che usa i concetti di gioco e la psicologia comportamentale per insegnare a parlare lingue diverse.

Finché il gioco è volontario, finché c’è modo di pensare alle persone e non al profitto, la gamification è e sarà buona. Giocate una buona volta.

Discorsi sul metodo: Gamification – La faccia della medaglia che teniamo nascosta

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