Che senso hanno oggi le Risorse Umane?
Che senso hanno oggi le Risorse Umane?
È di inizio anno la normativa francese che “autorizza i dipendenti a non leggere le mail di lavoro quando sono fuori dall’ufficio”.
Su questo l’Harward Business Review si è subito posta un dubbio: dal 2008 l’eccessiva comunicazione via mail è in costante crescita, e il punto non è quando leggere le mail, ma se davvero tutte queste mail servono.
Il punto è che, se l’eccessiva comunicazione di questo tipo è un problema di organizzazione, allora necessita di soluzioni organizzative: di un cambiamento.
Recentemente ho partecipato ad un convegno in cui si parlava delle sfide per il 2017 delle funzioni HR.
Sono tanti gli aspetti che mi hanno colpita, ma quello che mi ha fatto riflettere più di tutti è che l’HR si vede ancora come “tradizionale”: sa di poter, anzi di dover essere un business enabler, ma nella quotidianità resta ancorato al vecchio ruolo di “amministratore del personale”.
In uno dei tanti interventi della giornata, la professoressa Bagnato, Docente del dipartimento di Management e Tecnologia dell’Università Bocconi, parla della necessità del “senso”, inteso come motivazione, ragione, significato del lavoro. In una bellissima esposizione racconta l’importanza non solo di avere chiaro dove si va, ma del perché si deve andare in quella direzione.
La coerenza tra il professato e l’agito, diventa sempre più importante, e questo è riconosciuto soprattutto nelle giovani generazioni del lavoro, che chiedono a gran voce un cambiamento.
Su questo mi sono trovata a riflettere anche di recente, durante un incontro di lavoro: attorno a un tavolo si discuteva della scarsa attitudine delle giovani generazioni a “sacrificarsi” per raggiungere posizioni lavorative di rilievo. E ho posto il dubbio del “fare carriera” come valore attuale.
Perché mi sono resa conto che, da quando sono uscita dalle dinamiche aziendali che mi mostravano una “nuova generazione” che non aveva voglia di lavorare, che non si dava da fare, che era accoccolata nella sicurezza fornita da mamma e papà, mi sono imbattuta, invece, in una grande generazione che ha tanta voglia di mettersi in gioco, di provarci, di darsi da fare, ma con delle regole nuove .
È una generazione che non vuole adattarsi a un mondo del lavoro a cui non sente di appartenere nei valori e nelle dinamiche, quindi propone un cambiamento.
Sempre su questa scia è interessante un recente articolo di Senza Filtro in cui, parlando di dinamiche di recruiting, spicca una frase: “Pertanto è evidente che alcune pietre miliari della selezione non solo non siano più attuali, ma addirittura si siano capovolte”.
Del cambiamento si parla da tantissimo (oserei dire troppo) tempo, ma cosa si fa per questo?
Si parla di nuove professioni, nuova cultura del lavoro, nuove regole del lavoro, ma può esistere il cambiamento se si continua a valutare tutto con vecchi parametri?
Se nel lavoro di oggi ci troviamo sommersi dalle email, non varrebbe la pena interrogarsi sull’utilità di uno strumento che forse è superato, invece di mettere dei blocchi orari al suo utilizzo? Per altro in un momento storico in cui si ragiona – o si dovrebbe ragionare – di risultati e non di ore trascorse al pc?
Se alcuni contesti organizzativi non riescono a reclutare persone che, come loro anni fa, accettano di lavorare 20 ore al giorno a pochi euro, e se nei colloqui di lavoro si inizia a chiedere che spazio viene dato alla vita privata, non si dovrebbe iniziare a ragionare su nuove dinamiche?
È abbastanza evidente che certi meccanismi non sono più sostenibili, ne sono la prova il welfare che vacilla, i figli che non si fanno più, i troppi over 40 fatti uscire dal mondo del lavoro, gli stessi che poi si lamentano di una mancanza di competenze e professionalità che, ovviamente, faticano a trovare in giovani alla prima esperienza, spesso sottopagati.
Qual è il ruolo delle Risorse Umane oggi, in tutto questo?
Il termine “Risorse Umane” fu utilizzato per la prima volta nel 1965 proprio per sottolineare il cambiamento nelle aziende avvenuto con il superamento delle vecchie teorie organizzative, basate sul taylorismo, che inducevano a sottoporre gli individui a controlli rigidi e a pretendere il rispetto rigoroso di norme e procedure. Insomma, le risorse umane sono nate per contribuire allo sviluppo dell’azienda, per consentirgli di adattarsi ai cambiamenti della società.
Buffo no?
Forse le Risorse Umane dovrebbero cercare il “senso” di quello che stanno facendo, interrogarsi sul perché si stanno prendendo delle direzioni invece di altre, e una volta appurati questi aspetti, cambiare i propri processi, i propri strumenti, le proprie modalità, per andare incontro al mercato del lavoro di oggi.
Altrimenti si rischia di perdere una grande occasione, e le figure HR rischiano di essere solo spettatori di quello che sarà il futuro del lavoro.
Che senso hanno oggi le Risorse Umane?