Come misurare la maturità di un prodotto: guida per investitori e founder nella fase di lancio – parte 2
Sono tre gli elementi da misurare per valutare la maturità di un prodotto che uniti al framework aiutano a valutare il raggiungimento del product market fit
Gli investitori interessati a startup in early stage e gli stessi founder di startup spesso usano un’euristica qualitativa e soggettiva per valutare la maturità del prodotto di una startup. Queste euristiche possono essere raccolte in tre categorie: persone, prodotto e mercato.
Tuttavia, date le tante incognite intrinseche, tale valutazione potrebbe rapidamente diventare obsoleta.
Una valutazione che tenga conto dei progressi di apprendimento di una startup aiuta a superare questo problema, poiché è ampiamente riconosciuto che la massima priorità di una startup dovrebbe essere quella di massimizzare la velocità di apprendimento.
Il precedente articolo ha fornito un framework per Venture Capital e founder per misurare la maturità di un prodotto attraverso le principali tappe del viaggio dell’azienda verso il product-market fit (PMF).
Questo contenuto delineerà tre ulteriori elementi da misurare per valutare la maturità di un prodotto, i quali, uniti al framework di cui l’articolo sopra, completano il quadro e aiutano a valutare la probabilità che l’azienda raggiunga il PMF e cresca con successo.
I 3 elementi da misurare per valutare la maturità di un prodotto
- persone e attitudine all’apprendimento;
- processi di apprendimento;
- primi ricavi.
Persone e attitudine all’apprendimento
La maggior parte degli investitori nelle prime fasi affermerà giustamente che il principale fattore che influenza la decisione di investire in una società è il suo team. Ma che significa esattamente? Come si può misurare questo elemento?
La misura oggettiva di un team, dal punto di vista del prodotto, è la sua attitudine all’apprendimento, che comprende due componenti principali: competenze nel settore di riferimento e capacità di apprendimento. Analizzando queste aree, gli investitori possono valutare la maturità del team e la sua probabilità di raggiungere il PMF.
Ciò consente loro di raggiungere una decisione ragionata/informata sull’investimento e di identificare eventuali campanelli d’allarme.
Competenza nel settore
Il team deve diventare esperto nel settore in cui opera. Deve comprendere i problemi del settore a cui si rivolge: quali sono le soluzioni esistenti? Quali sono i loro punti di forza, debolezza e le lacune?
Il team dovrebbe anche comprendere il “tipo di mercato” in cui si trova (nuovo/esistente/risegmentato/di nicchia), al fine di sviluppare la giusta strategia.
Per consentire al team (e ai potenziali investitori) di comprendere la propria posizione rispetto a questi temi ci si può servire di un semplice calcolo: riepilogare il numero totale di anni di esperienza nel settore di tutti i componenti del team e dei consulenti. I membri del team dovrebbero essere ponderati al 100%, i consulenti dovrebbero essere ponderati in base al loro specifico investimento in termini di tempo (di solito tra il 5% e il 40%). Un risultato superiore a 20 è eccellente. Se, invece, il risultato è compreso tra 5-20 significa che ci potrebbero essere lenti progressi nelle tappe verso il PMF; acquisire maggiori competenze potrebbe essere la soluzione.
Qualunque punteggio inferiore a 5 dovrebbe essere immediatamente affrontato con:
- reclutamento di consulenti;
- interviste agli utenti finali;
- partecipazione a conferenze di settore;
- assunzione di persone che hanno esperienza nel settore.
Facciamo un esempio reale.
Una società i cui founder sono entrati in un settore in cui non avevano né connessioni professionali né esperienza. Tuttavia, hanno deciso di entrarvi perché hanno riscontrato l’esistenza di molti problemi irrisolti e di gravi perdite economiche causate da tali problemi.
Hanno trascorso un intero anno solo imparando, costruendo relazioni, facendo le proprie valutazioni e confrontandosi con i consulenti. Hanno letto tutte le notizie di settore e hanno partecipato a eventi professionali. Hanno imparato a conoscere i fallimenti passati in quell’ambito così come ad individuare i principali opinion leader. Proprio analizzando quei fallimenti passati, hanno buttato giù un piano per una soluzione (composta da un prodotto e da alcuni servizi correlati ad esso) che hanno iniziato a pitchare.
Alla fine di quell’anno, avevano già una fila di potenziali clienti così colpiti dal loro livello di comprensione dei propri problemi e dalle soluzioni proposte, che aspettavano solo che il prodotto fosse disponibile per poterlo acquistare. Tutto questo prima di scrivere anche solo una riga di codice.
Copertura delle capacità di apprendimento
Oggi, per la maggior parte dei nuovi prodotti il rischio tecnologico è minimo rispetto al rischio di non offrire un prodotto di cui il mercato abbia realmente bisogno.
Pertanto, le competenze più importanti per le aziende nella fase iniziale sono quelle che accelerano il percorso di apprendimento al fine di risparmiare denaro fino a quando la spesa non sia effettivamente necessaria. Ciò non significa che ciascuno dei seguenti ruoli debba essere assunto il primo giorno, ma il team dovrebbe assicurarsi di coprire sufficientemente le seguenti competenze attraverso l’assunzione di nuove risorse o la collaborazione con consulenti esterni.
- Competenze di base di gestione del prodotto:
Una persona skillata sulla gestione del prodotto produrrà cicli di apprendimento “disciplinati”: elencherà e testerà le ipotesi invece di incoraggiare una cassa di risonanza di validazione delle proprie assunzioni; si concentrerà sulla scoperta di risposte ad incognite note, nonché sulla scoperta di nuove incognite; capirà l’importanza di acquisire i giusti early adopter che forniranno un feedback significativo prima di creare tecnologie complesse; mirerà a realizzare prototipi a bassa fedeltà per questi test al fine di ridurre gli sprechi e apprendere rapidamente.
- Competenze UX:
Con la proliferazione di app per dispositivi mobili, le persone sono ormai abituate a standard elevati di UX. Proprio la user experience è diventata la principale causa di fallimento per il 17% delle startup. Una buona UX non inizia con la creazione di modelli, come molte persone credono, ma inizia molto prima con la fase di ricerca.
I professionisti esperti di UX realizzeranno uno studio sistematico degli utenti target e delle loro esigenze: definire le personas, comprenderne pain e gain, al fine di sviluppare una value proposition che risolva i problemi dell’utente e non ambisca solo al “sembra carino“.
- Competenze di marketing del prodotto:
In queste prime fasi, il team dovrà essere in grado di comunicare una value proposition convincente e iterare rapidamente su di essa. Schede tecniche e white paper possono essere utilizzati per testare problemi o ipotesi di mercato in anticipo, senza la necessità di sviluppare alcun codice.
Se una gran parte del team ha le seguenti competenze, potrebbe esserci qualcosa di cui preoccuparsi:
- ingegneria: le aziende che assumono molti ingegneri e investono molto nello sviluppo prima di convalidare il mercato e le ipotesi del problema creano molti sprechi di codice ed ottengono un burn rate gonfiato. Bisogna fare attenzione soprattutto con le aziende in cui tutti i founder provengono da contesti tecnologici: persone incredibilmente intelligenti con profondi background tecnologici possono spendere un sacco di soldi e tempo per sviluppare tecnologie complesse senza pensare al burn rate o al problema reale che stanno risolvendo.
- vendite: i founder devono essere i primi venditori. Non ci si può aspettare che un team di vendita venda un prodotto se la value proposition non è stata testata. Al massimo, se i venditori vengono assunti, il loro obiettivo iniziale dovrebbe essere quello di creare connessioni professionali e costruire relazioni.
La società citata in precedenza è stata un ottimo esempio di assunzione dei talenti giusti nelle fasi giuste. Mentre erano ancora nella fase di apprendimento riguardo il mercato ed i problemi che volevano affrontare, hanno sperimentato discussioni sulla leadership di pensiero nell’ambito di conferenze e hanno scritto documenti di marketing per testare il proprio livello di comprensione dei problemi che volevano affrontare.
Alla fine del primo anno, non avevano ancora assunto alcun ingegnere, eppure avevano già una lista d’attesa di clienti desiderosi di pagare per la soluzione di cui stavano parlando. Quello era il momento giusto per iniziare a lavorare sulla soluzione effettiva.
Paragoniamo questa situazione a quella di un’altra società con cui ho lavorato. La società era composta da 15 ingegneri e 2 venditori che hanno bruciato milioni di dollari di investimento sviluppando una tecnologia molto matura che semplicemente non erano in grado di vendere.
Sono stati guidati fino al momento della progettazione per cercare di capire realmente quale mercato volessero affrontare e quale problema potessero risolvere con la loro tecnologia; hanno finito per accantonare molta di quella tecnologia che avevano sviluppato e solo adesso stanno facendo veri progressi verso il product-market fit.
Processi di apprendimento
I processi dovrebbero essere implementati per aiutare il team, non per il puro gusto di avere processi definiti. Inoltre i processi cambiano nel tempo e dovrebbero essere progettati in base alle esigenze e alle sfide che l’azienda deve affrontare in un determinato momento, pertanto non esiste una modalità di implementazione univoca.
Un processo di apprendimento ben strutturato accelererà il percorso verso il PMF, oltre a ridurre sprechi di denaro e risorse. Questo processo dovrebbe essere guidato dai risultati, misurabile e veloce.
Formulare domande sui seguenti indicatori aiuterà a valutare il processo di apprendimento e la sua efficienza:
- Una mentalità orientata ai risultati (che si riflette nella roadmap e nei lavori in corso): una roadmap definita in base ad obiettivi e risultati (in termini di impatti sul comportamento dell’utente che possono essere misurati) del processo di apprendimento e non in base agli output della produzione (feature di prodotto) lascia spazio a sperimentazione e apprendimento.
Le aziende che si comportano come fabbriche di nuove feature creano un elenco di funzionalità e date (che in realtà è un piano di rilascio, spesso erroneamente utilizzato come roadmap), e questo dà più rilevanza alle spedizioni e alle consegne piuttosto che ai risultati, creando molti sprechi.
- Misurazione (come indicato nelle metriche e nelle definizioni delle attività): per ogni singola attività, il team deve definire (in anticipo) in cosa consiste il successo (l’impatto previsto sul comportamento dell’utente), come verrà misurato e quale decisione prendere in base al risultato.
Ponendo domande relative alle feature che sono già state lanciate, gli investitori e i membri del team possono valutare in che misura i processi del team sono guidati dai dati e se si è instaurato un meccanismo di apprendimento dagli errori del passato.
- Velocità (ovvero la velocità con cui il team riceve il feedback ed è in grado di acquisire nozioni utili da tale feedback). Lanciare rapidamente sul mercato una feature inutile in realtà non fornisce alcun valore. La velocità non dovrebbe essere misurata dalla velocità in termini ingegneristici, ma dalla frequenza con cui vengono ricevuti e processati nuovi feedback.
La frequenza con cui il team tiene riunioni con i clienti (dovrebbero essere fatte almeno 5 riunioni a settimana) e il tempo impiegato per creare il nuovo prototipo o prodotto testabile in base agli apprendimenti incorporati (auspicabilmente, 1-2 settimane al massimo) sono buoni indicatori di velocità.
È stato applicato ad una startup. La value proposition si rivolgeva ad utenti che avevano bisogno di eseguire ricerche sui dati raccolti dal prodotto. L’interfaccia di ricerca era molto complicata e richiedeva l’apprendimento di un linguaggio di scripting che, naturalmente, ha portato i clienti a non utilizzare il prodotto. Il team sapeva che i clienti non stavano usando il prodotto, ma non si stava preoccupando di apportare alcun miglioramento in tal senso; si stava concentrando, invece, sul lancio di un elenco predefinito di feature, senza misurare l’impatto di nessuna di esse.
Era chiaro che quei clienti avrebbero abbandonato il prodotto e che non aveva alcun senso investire in funzionalità aggiuntive se i clienti non avevano modo di testare la proposta di valore fondamentale del prodotto.
La proposta fu di cancellare la roadmap originale e di concentrarsi su ciò che era effettivamente necessario per convalidare l’ipotesi della soluzione: risolvere il problema reale per cui i clienti avevano acquistato il prodotto.
Abbiamo disegnato la roadmap e delineato le aspettative del team nel modo seguente: “X% dei clienti esegue Y+ numero di ricerche al giorno“. Questo ha trasformato la roadmap in un framework a supporto del processo decisionale, che ha consentito al team di continuare a iterare e prendere decisioni (in questo caso su come aumentare il numero delle ricerche) al fine di raggiungere l’obiettivo dell’azienda.
Il team ha deciso di aggiungere dei campi predefiniti alla ricerca dei parametri più comunemente necessari, semplificando significativamente la ricerca. Dopo ogni modifica, è stato misurato l’impatto sull’usabilità e questa misurazione ha aiutato a stabilire i passaggi successivi, fino a quando non si è convalidata l’ipotesi della soluzione.
Primi ricavi
I ricavi sono uno dei più importanti indicatori finanziari di successo e non devono essere ignorati. Tuttavia, nelle startup in fase iniziale, spesso le entrate possono essere fuorvianti. Per le aziende che hanno delle entrate, è importante assicurarsi che i clienti paganti abbiano un caso d’uso corrispondente alla value proposition.
L’esempio più semplice (e negativo) di questo fenomeno è il documento dello “Statement Of Work“, in cui essenzialmente i ricavi provengono da servizi professionali: la società crea un “prodotto” per ogni potenziale cliente, un fenomeno che è molto comune con i grandi clienti.
Una startup in fase iniziale con cui ho lavorato, aveva circa 700.000 dollari di ARR (Accounting Rate of Return) da 6 clienti diversi. Sulla carta, questo dato sembrava abbastanza positivo; tuttavia, non ci è voluto molto tempo per capire che ogni cliente stava usando il prodotto per uno scopo diverso, e che quindi stava spingendo il team in direzioni diverse, impedendogli di formulare una vera strategia.
Non solo, ma il ciclo di vendita è stato molto opportunistico: questi primi clienti avevano tutti legami con gli investitori o con il capo delle vendite, ma non c’era nulla di ripetibile nel ciclo di vendita, quindi per tutti i 6 mesi successivi non è stato chiuso alcun contratto.
Alla fine, il cliente più grande era quello che rappresentava la direzione che il team aveva capito essere la migliore da seguire. Sono stati in grado di convertire altri 2 clienti con lo stesso caso d’uso e visione, e quindi hanno dovuto inevitabilmente separarsi dagli altri.
Lezioni imparate
- Le startup nella fase iniziale hanno bisogno di uno spettro di diverse metriche, traguardi e competenze dei founder.
- La valutazione delle persone non deve essere un esercizio soggettivo e può fare affidamento su un framework ben definito.
- Gli investitori e le startup in fase iniziale dovrebbero essere cauti nel fare riferimento ai ricavi come un importante indicatore di successo.
Credit: Liron Pergament-Gal
Link: medium.com
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