Quanto è difficile fare startup in Italia?
I numeri dicono che fare startup in Italia è possibile, ma non per tutti. Crescono gli investimenti e, con essi, il numero di imprese innovative, ma restiamo distanti da altri Paesi europei. C’è poi il Mezzogiorno. In questo articolo, puoi trovare il quadro aggiornato della situazione e alcune suggestioni per accorciare le distanze.
Spesso sento dire che fare startup in Italia, oggi, è materia di Santi o folli. Difficile capire chi sia l’uno o l’altro, ma forse non hanno tutti i torti quelli che la pensano così.
In effetti, ancora oggi, rispetto all’Europa e al Regno Unito, fare startup nel Bel Paese è impresa ardua e perigliosa. Mancano le infrastrutture, la preparazione, la cultura e i fondi adeguati per fare startup sul serio.
A peggiorare il quadro, la maggior parte delle startup italiane è concentrata nel Nord del Paese, mentre le aree meridionali sono ancora relativamente poco sviluppate.
Tuttavia, con il continuo aumento del numero e della qualità delle startup italiane, si può essere ottimisti sul loro futuro.
Ma, allora, cosa può credere di ottenere chi si approccia al mondo delle startup made in Italy per la prima volta? Cosa può e deve fare per sperare di farcela?
Da questi e da tanti altri quesiti è nata l’idea di questo articolo, che spero ti condurrà alla risposta – o almeno a una delle risposte – che stai cercando!
Cos’è una startup in Italia, e altre domande frequenti
Negli ultimi anni, il numero di startup in Italia è in aumento. Eppure, c’è ancora molta confusione su cosa sia effettivamente una startup.
A dirla tutta, il termine “startup” in Italia viene spesso abusato, utilizzato sia per le nuove imprese sia per le imprese affermate che stanno innovando in qualche modo.
Ma allora, che cos’è una startup in Italia? Una startup in Italia è definita come un’azienda che si trova nelle prime fasi di sviluppo ed è in genere caratterizzata da elevata incertezza e rischio.
Una volta chiarito il punto, per quanto possibile, ecco però che ulteriori domande sorgono inevitabilmente.
- Qual è la definizione legale di startup in Italia? – Non esiste una definizione legale specifica di una startup in Italia. Tuttavia, secondo la legge italiana, una startup può essere classificata come una piccola o media impresa innovativa (SME) o una giovane azienda innovativa.
- Quali sono le caratteristiche principali di una startup? – Le caratteristiche principali di una startup sono la sua natura innovativa, l’elevata incertezza, il rischio e il potenziale per una crescita elevata. Le startup sono in genere fondate da imprenditori che hanno un’idea innovativa che ritengono abbia il potenziale per avere successo. Per dare vita alla loro idea, devono superare una serie di sfide, tra cui l’attrazione di finanziamenti, la costruzione di un team e lo sviluppo del loro prodotto o servizio.
- Quali sono i principali requisiti legali per l’avvio di una startup in Italia? – I principali requisiti legali per l’avvio di una startup in Italia sono gli stessi di qualsiasi altro tipo di azienda. Tali requisiti comprendono la redazione di statuti e la registrazione presso la Camera di Commercio. Le startup devono anche scegliere una struttura legale, che può essere una società per azioni o una società a responsabilità limitata.
- Qual è la differenza tra una PMI innovativa e una giovane azienda innovativa? – La differenza tra una PMI innovativa e una giovane azienda innovativa sta nella sua età e dimensione. Una PMI innovativa è definita come una società che è in funzione da meno di 10 anni e ha meno di 250 dipendenti. Una giovane azienda innovativa, d’altra parte, è definita come una startup che è in funzione da meno di cinque anni e ha meno di 50 dipendenti.
- Quali sono i vantaggi di essere classificati come PMI innovative o giovani aziende innovative? – Ci sono diversi vantaggi che derivano dalla classificazione come PMI innovativa o giovane azienda innovativa. Questi vantaggi includono l’accesso a determinati programmi di finanziamento e agevolazioni fiscali, nonché semplificazioni nel processo di registrazione della società.
Come funziona l’ecosistema startup italiano?
L’italia non è un Paese per startup. O meglio, potrebbe essere un paese migliore per startup.
Come funziona l’ecosistema startup italiano? L’ecosistema startup italiano è molto diverso dagli altri ecosistemi europei – e ancor più da quello americano, col quale non condivide nulla a parte il nome startup (tant’è che il nome stesso, startup, è ormai considerata dai addetti ai lavori una forzatura necessaria per animare il trend).
Parafrasando e semplificando un concetto espresso benissimo da Daniele Manca in un suo articolo dello scorso febbraio, siamo sulla buona strada, ma siano ancora per strada.
Abbiamo le leggi che determinano e regolano la natura delle imprese innovative, la parziale defiscalizzazione e anche le risorse economiche e umane – spesso, queste ultime sono il nostro fiore all’occhiello anche all’estero.
Il problema è che nessuna di queste direttrici – nemmeno se messe tutte assieme – è riuscita finora a fare da volano dell’innovazione. Complice, certo, un sistema giuridico e burocratico che complica dannatamente ogni cosa, ma non solo.
Nel Bel Paese, il profilo tipico di un amministratore, o manager, d’azienda viene tutt’ora da una formazione economico-finaziaria, il che rappresenta di per sé uno dei principali limiti dell’ecosistema startup italiano, ossia la carenza di imprenditori o fondi di investimento realmente capaci di comprendere le dinamiche del mondo delle idee e delle startup e, quindi, di interfacciarsi con esso per generare nuovo valore.
È un problema culturale ancor prima che strutturale.
Ciononostante, l’ecosistema italiano delle startup è ancora in evoluzione e sta crescendo. A luglio 2022, ha riportato il MISE, le startup innovative iscritte al Registro delle imprese erano 1462.
Fare startup in Italia: quali sono le principali difficoltà?
Sono ancora in molti i cosiddetti startupper che preferiscono avviare la propria attività al di fuori dei confini italiani, prediligendo lidi ben più agiati e invitanti per chi vuol fare startup oggigiorno.
Né mancano quelli che scelgono di trasferire all’estero la propria startup avviata in paesi come Germania, Francia e Regno Unito (il sogno però resta la Silicon Valley).
C’è da capirli. Le difficoltà legate all’avvio e alla gestione di una startup in Italia sono tante. Ho provato a riassumere i più importanti in un elenco di soli quattro punti per concentrare il focus:
- La mancanza di finanziamenti per la crescita nelle fasi iniziali – l’accesso al credito è complesso, richiede un processo lungo ed elaborato e offre comunque soluzioni inadeguate al mercato dal punto di vista economico;
- La mancanza di competenze ed esperienza tra gli imprenditori – questo aspetto si riallaccia al quanto detto prima sul nostro tessuto dirigenziale, ma in realtà abbraccia un po’ tutto, compresa spesso l’inadeguatezza del team di cofounder che non hanno sufficiente esperienza o acume per il business;
- La mancanza di sostegno pubblico all’imprenditorialità – Rispetto ad altri Paesi europei come Francia e Regno Unito, il governo italiano non ha attuato politiche e misure degne di nota;
- La burocrazia necessaria per fondare una startup – In Italia, per avviare una startup occorre affrontare le spese notarili, iscriversi al registro delle imprese, rispondere a una lunga serie di requisiti per poter essere considerata tale (e avere accesso ai fondi e agli sgravi previsti dalla legge), curare gli aspetti legali e scegliere la forma giuridica e affrontarne i relativi costi – assieme a quelle risorse umane in caso di assunzioni -, produrre utili, affrontare la complessità della contrattualistica e della gestione fiscale.
Ma non è tutto.
C’è la questione della tassazione. L’Italia è tra i paesi UE con il più elevato gettito fiscale alle imprese. È pur vero che esistono degli agevolazioni fiscali per le startup innovative, ma sono irrisori.
Il costo del lavoro si aggiunge al quadro generale, gravando sulle aziende ulteriormente; un salasso spesso insostenibile per startup che annaspano in cerca di un modello di business sostenibile e fondi per attuarlo.
Abbiamo parlato della giurisdizione in merito alle startup, tuttavia restano forti alcune lacune in termini di flessibilità e capacità di adattamento del nostro sistema ad assorbire nuove forme di business.
Il vero problema, però, resta il primo di questa lista: i fondi.
I bandi però sono ancora pochi e con pochi fondi e gli investitori sono difficili da raggiungere. I finanziamenti, poi, sono difficili da reperire poiché le banche italiane non sono molto propense a prestare denaro alle startup.
Inoltre, scarseggiano i venture capitalist e le private equity che tengono vivo il limo imprenditoriale in altri Paesi UE. Nel primo trimestre dell’anno del 2022 sono stati investiti complessivamente nel Venture Capital in Italia, secondo i dati dell’ Osservatorio di Growth Capital, oltre 996 milioni, dato in aumento rispetto al secondo semestre 2021 (+30%).
Basti sapere che, nel 2021, in Italia sono stati investiti 1,2 miliardi in startup, cifra notevole rispetto al passato, ma che impallidisce a confronto con i 34 miliardi del Regno unito, i 16,2 della Germania, i 7,6 della Svezia, i 6,6 della Francia e i 5,8 dei Paesi Bassi.
Giusto per dare un altro parametro di riferimento, nello stesso anno, negli USA, sono stati investiti oltre 300 miliardi di dollari.
Anche l’accesso a capitali stranieri è estremamente difficile, complici più o meno tutti i problemi succitati, che scoraggiano fortemente chiunque a investire in un paese a lenta crescita e con così tante difficoltà nel fare innovazione.
Fare Startup in Italia: quale futuro attendersi?
Il mercato italiano delle startup sta vivendo una fase di accelerazione, come detto in apertura. Con oltre 4.000 startup tecnologiche, l’ecosistema italiano delle startup è fra i più grandi in Europa.
Milano e Torino guidano la classifica delle città italiane col più alto tasso di densità di startup e un numero di dipendenti che lavorano in startup che raggiunge le 60000 unità. Negli ultimi anni in particolare, sono le startup tecnologiche a fare da traino all’intero ecosistema nostrano.
Purtroppo, nonostante le sue dimensioni, è ancora relativamente giovane e “immaturo”. Il nostro Paese, come detto, conta solo un numero limitato di investitori e acceleratori.
Come se non bastasse, è molto frammentato: ci sono innumerevoli eventi e meetup che si svolgono durante l’anno, eppure la maggior parte delle persone non ne è a conoscenza.
Inoltre, nelle università il movimento delle startup è recente, quindi le figure professionali disposte a lavorare in una startup e che ne comprendono i meccanismi sono difficili da trovare. Per non parlare di figure come i mentor, essenziali per far crescere una startup da semplice progetto a vera e propria azienda.
Abbiamo quindi ancora molto da lavorare sullo sviluppo di startup e di idee, e lo Stato Italiano deve dare il suo contributo.
Segnali incoraggianti anche dal Venture Capital che, nel primo trimestre del 2022, ha investito complessivamente in Italia oltre 996 milioni, con un aumento rispetto al secondo semestre 2021 del 30%, secondo i dati dell’Osservatorio di Growth Capital.
Cosa serve per alimentare l’ecosistema italiano delle startup?
I settori chiave per la crescita sono l’istruzione, l’accesso al capitale, il talento e le infrastrutture. Per agevolarne la crescita, il Governo italiano dovrebbe:
- Continuare a promuovere l’imprenditorialità e l’innovazione sostenendo la creazione di incubatori, acceleratori e spazi di co-working, contribuendo significativamente alla costruzione di un’infrastruttura che supporti le startup, in modo che abbiano tutto ciò di cui hanno bisogno per avere successo;
- Fornire incentivi per incoraggiare la formazione di ecosistemi di startup, investendo nella creazione di un ambiente in cui gli imprenditori prosperino grazie all’accesso a capitali, tutoring e reti;
- Sostenere la promozione dell’imprenditorialità e dell’innovazione tra i giovani fornendo accesso a opportunità di istruzione e formazione, assicurandosi che le nostre università producano laureati in grado di capire come avviare le imprese.
Per fortuna, i primi segnali stanno arrivando. Le Istituzioni hanno cominciato a prestare maggiore attenzione alla creazione di centri di ricerca e sviluppo e di innovazione, che sosterranno le nuove imprese al fine di promuovere gli aumenti di produttività e la crescita.
Perché fare startup nel Sud Italia è più difficile che al Nord?
Torno a citare il MISE come fonte: la Lombardia resta la prima regione d’Italia in quanto a numero di startup, con oltre il 26,7% di tutte le startup italiane; seguono il Lazio con il 12,1% e la Campania con il 9,2%, mentre a livello provinciale tra le prime dieci ci sono, guarda caso, Milano (2737), Roma (1599), Napoli (675), Torino (532), Bari (362), Bologna (358), Padova (331), Salerno (302), Bergamo (291) e Brescia (286).
E il sud?, ti domanderai.
Il Sud resta indietro, ma non per questo fermo.
Uno dei motivi principale di questa arretratezza sta nella cultura nel Sud Italia, meno incline all’imprenditorialità rispetto al Nord. Questo fa sì che, sul territorio, ci siano meno persone che hanno esperienza nella gestione di imprese e startup.
Altro motivo importante – forse una conseguenza ancor prima che una causa – è lo scarso numero di VC disponibili a investire in startup rispetto al Nord Italia. Questo rende ancor più difficile raccogliere fondi e, di conseguenza, assumere talenti.
Talenti che però non scarseggiano nel Meridione. Tutt’altro!
Fare startup in italia: cosa si può fare per sostenere l’ecosistema del Mezzogiorno?
Questa è una domanda davvero difficile. Proverò a dividere la risposta in due parti. La prima ci riporta alle considerazioni fatte un paio di paragrafi fa: i settori chiave per la crescita dell’ecosistema startup nel Meridione sono l’istruzione, l’accesso al capitale, il talento e le infrastrutture.
A guardar bene, ci si rende conto che nel Meridione mancano le infrastrutture per le startup, mancano strutture di capitali dedicate al rischio e mancano incentivi sufficienti alla localizzazione delle risorse.
La seconda parte della risposta si basa su un personale esercizio di fantasia: ho provato per un attimo a immaginarmi nei panni di un imprenditore locale, o di un finanziatore, o di un politico che, mosso da spirito di iniziativa, ha provato a darsi delle risposte. Ecco cosa ho immaginato:
- In primo luogo, si può alimentare la conoscenza e la formazione in merito alle startup partecipando a eventi, parlando con le persone che operano già nel settore e leggendo i blog a tema;
- In secondo luogo, si può contribuire all’ecosistema offrendo i propri servizi o investendo in imprese in cui si crede;
- In terzo luogo, si può contribuire a modificare le politiche e le normative a vantaggio dell’ecosistema;
- Quarto, si può contribuire a rafforzare le organizzazioni, gli eventi e le risorse che contribuiscono alla crescita della comunità delle startup nelle Regioni del Sud.
Si deve, insomma, creare un ambiente in cui gli imprenditori si sentano abbastanza a loro agio da avviare le proprie attività. In questo modo potranno vedere quanto potenziale c’è nel Sud Italia e sfruttarlo costruendo aziende di successo.
Quanto è difficile fare startup in Italia?