Startup & Entrepreneurship
Spesso sento dire che fare startup in Italia, oggi, è materia di Santi o folli. Difficile capire chi sia l’uno o l’altro, ma forse non hanno tutti i torti quelli che la pensano così.
In effetti, ancora oggi, rispetto all’Europa e al Regno Unito, fare startup nel Bel Paese è impresa ardua e perigliosa. Mancano le infrastrutture, la preparazione, la cultura e i fondi adeguati per fare startup sul serio.
A peggiorare il quadro, la maggior parte delle startup italiane è concentrata nel Nord del Paese, mentre le aree meridionali sono ancora relativamente poco sviluppate.
Tuttavia, con il continuo aumento del numero e della qualità delle startup italiane, si può essere ottimisti sul loro futuro.
Ma, allora, cosa può credere di ottenere chi si approccia al mondo delle startup made in Italy per la prima volta? Cosa può e deve fare per sperare di farcela?
Da questi e da tanti altri quesiti è nata l’idea di questo articolo, che spero ti condurrà alla risposta – o almeno a una delle risposte – che stai cercando!
Negli ultimi anni, il numero di startup in Italia è in aumento. Eppure, c’è ancora molta confusione su cosa sia effettivamente una startup.
A dirla tutta, il termine “startup” in Italia viene spesso abusato, utilizzato sia per le nuove imprese sia per le imprese affermate che stanno innovando in qualche modo.
Ma allora, che cos’è una startup in Italia? Una startup in Italia è definita come un’azienda che si trova nelle prime fasi di sviluppo ed è in genere caratterizzata da elevata incertezza e rischio.
Una volta chiarito il punto, per quanto possibile, ecco però che ulteriori domande sorgono inevitabilmente.
L’italia non è un Paese per startup. O meglio, potrebbe essere un paese migliore per startup.
Come funziona l’ecosistema startup italiano? L’ecosistema startup italiano è molto diverso dagli altri ecosistemi europei – e ancor più da quello americano, col quale non condivide nulla a parte il nome startup (tant’è che il nome stesso, startup, è ormai considerata dai addetti ai lavori una forzatura necessaria per animare il trend).
Parafrasando e semplificando un concetto espresso benissimo da Daniele Manca in un suo articolo dello scorso febbraio, siamo sulla buona strada, ma siano ancora per strada.
Abbiamo le leggi che determinano e regolano la natura delle imprese innovative, la parziale defiscalizzazione e anche le risorse economiche e umane – spesso, queste ultime sono il nostro fiore all’occhiello anche all’estero.
Il problema è che nessuna di queste direttrici – nemmeno se messe tutte assieme – è riuscita finora a fare da volano dell’innovazione. Complice, certo, un sistema giuridico e burocratico che complica dannatamente ogni cosa, ma non solo.
Nel Bel Paese, il profilo tipico di un amministratore, o manager, d’azienda viene tutt’ora da una formazione economico-finaziaria, il che rappresenta di per sé uno dei principali limiti dell’ecosistema startup italiano, ossia la carenza di imprenditori o fondi di investimento realmente capaci di comprendere le dinamiche del mondo delle idee e delle startup e, quindi, di interfacciarsi con esso per generare nuovo valore.
È un problema culturale ancor prima che strutturale.
Ciononostante, l’ecosistema italiano delle startup è ancora in evoluzione e sta crescendo. A luglio 2022, ha riportato il MISE, le startup innovative iscritte al Registro delle imprese erano 1462.
Sono ancora in molti i cosiddetti startupper che preferiscono avviare la propria attività al di fuori dei confini italiani, prediligendo lidi ben più agiati e invitanti per chi vuol fare startup oggigiorno.
Né mancano quelli che scelgono di trasferire all’estero la propria startup avviata in paesi come Germania, Francia e Regno Unito (il sogno però resta la Silicon Valley).
C’è da capirli. Le difficoltà legate all’avvio e alla gestione di una startup in Italia sono tante. Ho provato a riassumere i più importanti in un elenco di soli quattro punti per concentrare il focus:
Ma non è tutto.
C’è la questione della tassazione. L’Italia è tra i paesi UE con il più elevato gettito fiscale alle imprese. È pur vero che esistono degli agevolazioni fiscali per le startup innovative, ma sono irrisori.
Il costo del lavoro si aggiunge al quadro generale, gravando sulle aziende ulteriormente; un salasso spesso insostenibile per startup che annaspano in cerca di un modello di business sostenibile e fondi per attuarlo.
Abbiamo parlato della giurisdizione in merito alle startup, tuttavia restano forti alcune lacune in termini di flessibilità e capacità di adattamento del nostro sistema ad assorbire nuove forme di business.
Il vero problema, però, resta il primo di questa lista: i fondi.
I bandi però sono ancora pochi e con pochi fondi e gli investitori sono difficili da raggiungere. I finanziamenti, poi, sono difficili da reperire poiché le banche italiane non sono molto propense a prestare denaro alle startup.
Inoltre, scarseggiano i venture capitalist e le private equity che tengono vivo il limo imprenditoriale in altri Paesi UE. Nel primo trimestre dell’anno del 2022 sono stati investiti complessivamente nel Venture Capital in Italia, secondo i dati dell’ Osservatorio di Growth Capital, oltre 996 milioni, dato in aumento rispetto al secondo semestre 2021 (+30%).
Basti sapere che, nel 2021, in Italia sono stati investiti 1,2 miliardi in startup, cifra notevole rispetto al passato, ma che impallidisce a confronto con i 34 miliardi del Regno unito, i 16,2 della Germania, i 7,6 della Svezia, i 6,6 della Francia e i 5,8 dei Paesi Bassi.
Giusto per dare un altro parametro di riferimento, nello stesso anno, negli USA, sono stati investiti oltre 300 miliardi di dollari.
Anche l’accesso a capitali stranieri è estremamente difficile, complici più o meno tutti i problemi succitati, che scoraggiano fortemente chiunque a investire in un paese a lenta crescita e con così tante difficoltà nel fare innovazione.
Il mercato italiano delle startup sta vivendo una fase di accelerazione, come detto in apertura. Con oltre 4.000 startup tecnologiche, l’ecosistema italiano delle startup è fra i più grandi in Europa.
Milano e Torino guidano la classifica delle città italiane col più alto tasso di densità di startup e un numero di dipendenti che lavorano in startup che raggiunge le 60000 unità. Negli ultimi anni in particolare, sono le startup tecnologiche a fare da traino all’intero ecosistema nostrano.
Purtroppo, nonostante le sue dimensioni, è ancora relativamente giovane e “immaturo”. Il nostro Paese, come detto, conta solo un numero limitato di investitori e acceleratori.
Come se non bastasse, è molto frammentato: ci sono innumerevoli eventi e meetup che si svolgono durante l’anno, eppure la maggior parte delle persone non ne è a conoscenza.
Inoltre, nelle università il movimento delle startup è recente, quindi le figure professionali disposte a lavorare in una startup e che ne comprendono i meccanismi sono difficili da trovare. Per non parlare di figure come i mentor, essenziali per far crescere una startup da semplice progetto a vera e propria azienda.
Abbiamo quindi ancora molto da lavorare sullo sviluppo di startup e di idee, e lo Stato Italiano deve dare il suo contributo.
Segnali incoraggianti anche dal Venture Capital che, nel primo trimestre del 2022, ha investito complessivamente in Italia oltre 996 milioni, con un aumento rispetto al secondo semestre 2021 del 30%, secondo i dati dell’Osservatorio di Growth Capital.
I settori chiave per la crescita sono l’istruzione, l’accesso al capitale, il talento e le infrastrutture. Per agevolarne la crescita, il Governo italiano dovrebbe:
Per fortuna, i primi segnali stanno arrivando. Le Istituzioni hanno cominciato a prestare maggiore attenzione alla creazione di centri di ricerca e sviluppo e di innovazione, che sosterranno le nuove imprese al fine di promuovere gli aumenti di produttività e la crescita.
Torno a citare il MISE come fonte: la Lombardia resta la prima regione d’Italia in quanto a numero di startup, con oltre il 26,7% di tutte le startup italiane; seguono il Lazio con il 12,1% e la Campania con il 9,2%, mentre a livello provinciale tra le prime dieci ci sono, guarda caso, Milano (2737), Roma (1599), Napoli (675), Torino (532), Bari (362), Bologna (358), Padova (331), Salerno (302), Bergamo (291) e Brescia (286).
E il sud?, ti domanderai.
Il Sud resta indietro, ma non per questo fermo.
Uno dei motivi principale di questa arretratezza sta nella cultura nel Sud Italia, meno incline all’imprenditorialità rispetto al Nord. Questo fa sì che, sul territorio, ci siano meno persone che hanno esperienza nella gestione di imprese e startup.
Altro motivo importante – forse una conseguenza ancor prima che una causa – è lo scarso numero di VC disponibili a investire in startup rispetto al Nord Italia. Questo rende ancor più difficile raccogliere fondi e, di conseguenza, assumere talenti.
Talenti che però non scarseggiano nel Meridione. Tutt’altro!
Questa è una domanda davvero difficile. Proverò a dividere la risposta in due parti. La prima ci riporta alle considerazioni fatte un paio di paragrafi fa: i settori chiave per la crescita dell’ecosistema startup nel Meridione sono l’istruzione, l’accesso al capitale, il talento e le infrastrutture.
A guardar bene, ci si rende conto che nel Meridione mancano le infrastrutture per le startup, mancano strutture di capitali dedicate al rischio e mancano incentivi sufficienti alla localizzazione delle risorse.
La seconda parte della risposta si basa su un personale esercizio di fantasia: ho provato per un attimo a immaginarmi nei panni di un imprenditore locale, o di un finanziatore, o di un politico che, mosso da spirito di iniziativa, ha provato a darsi delle risposte. Ecco cosa ho immaginato:
Si deve, insomma, creare un ambiente in cui gli imprenditori si sentano abbastanza a loro agio da avviare le proprie attività. In questo modo potranno vedere quanto potenziale c’è nel Sud Italia e sfruttarlo costruendo aziende di successo.