AI Governance: usare le nuove tecnologie in modo etico
L’AI Governance e la Data Governance sono alla base dell’utilizzo etico delle nuove tecnologie in ambito aziendale e privato.
Prima di introdurre i concetti legati all’AI Governance, è bene fare un preambolo ampio sull’intelligenza artificiale (AI) è una vasta branca della computer science che si occupa della costruzione di macchine intelligenti, sistemi basati su algoritmi in grado di eseguire compiti che, in genere, richiedono l’intelligenza umana.
La sua origine non è così recente come si può credere: già alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il matematico Alan Turing, colui che decifrò il codice Enigma, pubblicò un paper in cui si domandava “Can machines think?”, gettando le basi di un dilemma etico e ontologico ancora aperto oggi.
L’AI è entrata a far parte delle nostre vite in modo quasi subdolo, da almeno vent’anni a questa parte ormai. Non ha la figura del cyborg, tipica dell’immaginario collettivo cresciuto con i film di fantascienza degli anni ‘80, ma è arrivata incorporata in tantissimi servizi che sfruttiamo ogni giorno, nel nostro quotidiano.
Non è dunque Blade Runner con i suoi Sintetici, né la SKyNet di Terminator, ma potrebbe comunque catapultarci in una disturbante puntata di Black Mirror, se non viene utilizzata nel modo corretto.
La percepiamo come innocua, infatti, oltre che utile, ma c’è un punto su cui è bene riflettere: abbiamo man mano delegato buona parte delle nostre scelte di ogni giorno all’IA.
Basti pensare a quanto ci affidiamo ai servizi di mappe online, come quello offerto da Google: per esempio, la semplice scelta di un ristorante in un cui andare per cena è, di fatto, una delega alla macchina che, sulla base di alcune nostre caratteristiche come la geo localizzazione stessa, ci restituisce un elenco di risultati possibili, classificati in un ordine – che influenza profondamente la nostra scelta – “deciso” dalla macchina stessa.
E questo accade con moltissimi servizi digitali che usiamo di continuo, dai social, che popolano il nostro feed sulla base di ciò che “ci piace”, ma finiscono con l’orientare i nostri acquisti – e non solo, spesso persino ideologie e credo politici – ai servizi di fruizione video on-demand, che ci mostrano serie TV e film che potrebbero piacerci, di fatto influenzando il nostro gusto mentre ci illudiamo di guidare la configurazione dell’algoritmo con le nostre scelte di visione precedenti.
Il substrato è quindi, sempre, composto da dati: i dati che disseminiamo nel web, mettendo like, visitando luoghi, lasciando recensioni, sono ciò che permette ai sistemi basati sull’AI di anticiparci e suggerirci delle scelte che potremmo fare in futuro.
Delegare le nostre scelte all’AI, implicazioni e rischi
Cosa c’è di male in questa sospensione della decisione e nel fare affidamento sugli algoritmi, se serve a semplificarci la vita e a consentirci esperienze utente più personalizzate?
Nulla, in apparenza, ma bisogna fare attenzione ad alcuni aspetti. In primis, la comodità di delegare le nostre scelte cosa ci porta via, in termini di capacità? Ad esempio, l’utilizzo del navigatore ci ha tolto la capacità di muoverci in autonomia verso una meta o all’interno di una città.
Cosa accade, quindi, quando deleghiamo decisioni più importanti? Quali capacità e volontà stiamo sacrificando, in nome della praticità di servirci della macchina?
Bisogna essere molto consapevoli del fatto che non possiamo permetterci di delegare la nostra capacità di scelta, il nostro libero arbitrio, in un certo senso, a un oggetto.
L’Intelligenza Artificiale è sicuramente un enorme progresso, un passo in avanti positivo che, a livello di imprese, sta portando efficientamenti di processo considerevoli in tutti i settori in cui viene applicata.
L’AI, infatti, ha il vantaggio di far risparmiare una risorsa di cui siamo sempre più privi, oggi: il tempo.
La sua velocità di elaborazione consente di sveltire e automatizzare tutte quelle attività ad alto effort e time-consuming, che non necessitano di grandi sforzi interpretativi, lasciando all’uomo il tempo per tutto ciò che è pensiero strategico, l’aggiunta del quid umano.
Un esempio notevole di questo, citato da Paolo Benanti nel suo TED Talk “Topoi o dei miti digitali”, è l’applicazione che si sta facendo dell’IA in UK, in ambito medico, quindi un settore molto delicato.
I dottori vengono supportati dalle potenzialità di analisi del linguaggio e di interrogazione di dati dell’intelligenza artificiale nel fare delle prime diagnosi di massima molto rapide, ovviamente senza mai perdere la propria responsabilità umana e personale nel verificare i dati in modo empirico e nel prendere la decisione finale sulla cura da dare al paziente.
Altra applicazione positiva dell’AI è a supporto dei processi industriali per migliorare l’ottimizzazione e la sostenibilità dei processi produttivi o della logistica, quindi con risvolti migliorativi in ottica di consumi e di impatto ambientale.
L’AI si usa oggi anche per potenziare le performance di Marketing: il MarTech, ossia le tecnologie per il marketing, si basa proprio sulla gestione ed elaborazione di grandi quantità di dati, che vengono arricchiti, segmentati e attivati proprio tramite l’uso di algoritmi intelligenti.
Il MarTech è in ascesa e pone nuove sfide nella costruzione di processi senza intoppi, nell’ottica di unire dati, competenze umane e tecnologia.
Questo non implica necessariamente maggiore complessità, anzi: l’ampia disponibilità di soluzioni di AI e Machine Learning permette alle imprese di connettere soluzioni diverse con il cosiddetto approccio low-code o persino no-code, ossia senza aggiungere gradi di complicazione ai sistemi aziendali già in essere.
Secondo un recente studio di Gartner, infatti, marketing technologies e strumenti di business intelligence stanno diventano centrali nelle strategie di imprese di ogni dimensione e industry, con una crescita rispettiva del +50% e +41% come metriche di adozione.
Autocoscienza e interpretazione: il dubbio etico dell’AI
La sfida grande, in un momento storico in cui saremo sempre più accompagnati da strumenti che possono facilitare le nostre scelte e che possono aumentare la nostra capacità e intelligenza umana, sgravandoci da azioni ripetitive, è di mantenerci sempre in equilibrio tra l’opportunità positiva di potenziare la nostra intelligenza umana e il rischio negativo di una perdita di consapevolezza e di auto-determinazione.
C’è un tema etico, quindi, di AI Governance, sottostante al modo di utilizzare l’intelligenza artificiale e a come questa si integri con la nostra umanità.
Recente la notizia, trapelata da Google stesso, di LAMDA, intelligenza artificiale che, secondo l’ingegnere Blake Lemoine, sarebbe diventata senziente, consapevole di sé e dei propri sentimenti.
L’affermazione è stata subito smentita da Mountain View – che avrebbe di recente licenziato il dipendente – e attaccata da molti esperti di AI globali.
Dal dialogo tra Lemoine e la macchina non emerge autocoscienza, ma semplicemente una sorprendente capacità di costruire frasi molto umane, grazie all’apprendimento fatto studiando miliardi di testi e conversazioni.
Il concetto di apprendimento dell’AI è, infatti, qualcosa molto più vicino a un’analisi di correlazione che al nostro concetto di apprendimento e la domanda sull’autocoscienza è il più delle volte sbagliata alla radice.
La notizia resta comunque estremamente interessante per un motivo che potremmo dire essere il dubbio stesso: il fatto che un’intelligenza artificiale, programmata dall’uomo, riesca a far nascere nella mente umana il dubbio di essere autonoma e dotata di coscienza è di per sé grave e fa riflettere.
AI Governance per la formazione e il lavoro del futuro
Sta emergendo la necessità di adeguare la formazione dei professionisti di domani a queste nuove tematiche, a nuovi strumenti dotati di potenzialità incredibili, ma anche di una complessità etica e umana notevole, non solo tecnologica.
Le competenze professionali che servono sono diverse da quelle di un decennio fa: bisogna imparare a essere efficaci, come umani, in un contesto in cui l’automazione ha sempre più spazio.
Le figure più ricercate dalle aziende saranno quelle capaci di unire i puntini, di mescolare competenze tecniche e capacità interpretative, strategiche.
In questo senso, la tradizionale dicotomia tra discipline scientifiche e umanistiche viene a cadere: i professionisti di oggi e di domani non saranno un aut-aut – ingegneri votati ai soli numeri o letterati persi in volumi di poesia – ma una efficace sintesi tra questi due aspetti, in un approccio che si potrebbe definire di umanesimo digitale.
Un termine che sta tornando in voga è “bionico”, ma, come si accennava all’inizio, non è riferito al mondo dei cyborg. Al contrario, etimologicamente parlando, sta a indicare un connubio di vita umana ed elettronica, di biologia e tecnologia.
Ciò significa che le organizzazioni che sperano di adottare l’AI su larga scala non possono permettersi di ignorare l’aspetto umano nell’uso della tecnologia, in un vero avvento del Rinascimento Digitale.
Per sfruttare al meglio i vantaggi dell’Intelligenza Artificiale, Corporate e PMI devono concentrarsi sul talento delle persone e sulla creazione di capacità umane che siano una sintesi di scienza e umanesimo.
Le interazioni uomo-macchina sono relativamente nuove e ancora in evoluzione, e le imprese non possono permettersi di ancorarsi solo a competenze tecniche.
Inoltre, affinché l’intero ecosistema funzioni in modo ottimale, le imprese devono stabilire chiare AI Governance e Data Governance, un modello operativo ed etico, e metodi di lavorare adatti a questo nuovo assetto organizzativo, che è lo specchio di un nuovo modo di approcciarsi alla realtà, tutta.
AI Governance: usare le nuove tecnologie in modo etico