Corporate Innovation

Perché lo smart recruiting non è più un’opzione per HR

smart recruiting

Come mai sembra ancora così assurdo inserire in azienda una nuova risorsa in maniera smart, e fare dello smart recruiting una best practice per HR?

Quando ho detto ad amici e conoscenti di aver trovato lavoro durante il lock-down, nessuno riusciva a crederci. Al di là del naturale stupore dovuto al fatto di aver cambiato occupazione in un periodo di forte crisi per il mercato del lavoro italiano, notavo in tutti una grande sorpresa nell’apprendere che avevo iniziato a lavorare senza aver mai incontrato i miei colleghi, ne tanto meno aver mai messo piede nel mio nuovo ufficio.
Queste reazioni hanno fatto sorgere spontanea una domanda: come mai nel 2020, con gli strumenti digitali di cui disponiamo che ci permettono di essere ovunque in qualunque momento, sembra ancora così assurdo assumere ed inserire in azienda una nuova risorsa in maniera smart? 
E, attenzione, “smart” non significa contattare i candidati via mail o svolgere i colloqui via Skype!
La risposta è probabilmente da rintracciare nel ritardo – soprattutto di natura culturale – che abbiamo accumulato rispetto a tutto ciò che riguarda la digital transformation in azienda, un ritardo che non ha risparmiato la funzione HR.
Ancora troppo spesso, infatti, la digital transformation viene associata all’implementazione di nuove tecnologie e più in generale alla mera digitalizzazione dei processi interni all’organizzazione. In realtà, come in Seedble ribadiamo spesso ai nostri clienti, la trasformazione digitale deve essere intesa come un cambiamento radicale a livello culturale e organizzativo, un percorso più che una soluzione one shot riferita ad un need specifico.

Ma qual è il ruolo di HR in questo percorso?

Con l’avvento della pandemia Covid-19 gli HR sono diventati gli interlocutori privilegiati del dibattito sulla digital transformation. Questo perché hanno dovuto dare una risposta repentina al bisogno di ripensare in chiave digitale i processi organizzativi per consentire all’organizzazione di portare avanti l’attività lavorativa nonostante le difficoltà legate alle misure di prevenzione del virus.
Il risultato senz’altro più immediato e più concreto di queste azioni è stato il consolidamento (per alcuni) o il lancio (per molti) dello smart working. Ma, di fatto, a distanza di alcuni mesi possiamo renderci conto di come questo percorso obbligato di digital transformation abbia portato a ridefinire non “solo” le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, ma anche il livello di attenzione dato a temi quali i nuovi stili di leadership e il change management.
Dunque, HR ha assunto il ruolo di protagonista attivo della digital transformation in azienda con lo specifico obiettivo di sfruttare le potenzialità delle nuove tecnologie per generare soluzioni innovative focalizzate sulle persone.
Siamo però sicuri che solo HR entra sul palcoscenico del cambiamento?
Assolutamente no: è l’intera organizzazione che deve adattarsi ai nuovi schemi e solo quelle aziende che hanno messo le persone nelle condizioni di prendere decisioni in autonomia, di lavorare in maniera flessibile, di esser responsabili e collaborativi, vivono con serenità questo periodo.
Perché in realtà non tutti se ne sono resi conto, ma la trasformazione digitale è in atto da tempo.
Al di là dello smart working, le aree di intervento privilegiate in questa rapida quanto necessaria trasformazione digitale di massa sono state definite anche in base alle indicazioni specifiche del Governo e sono le seguenti:

  • digital workplace: l’avvento dello smart working sta cambiando in modo significativo la concezione del luogo di lavoro. Intelligenza artificiale, machine learning, realtà virtuale ed altre tecnologie emergenti verranno impiegate sempre di più in settori chiave della gestione delle risorse umane: ad esempio, i lavoratori che operano da remoto avranno necessità di poter entrare rapidamente in contatto con lo staff di supporto, di sentirsi sicuri per tutto ciò che riguarda la propria privacy, di poter prendere parte attiva ad attività formative.Come si fa con i clienti dell’azienda, diventa allora fondamentale mappare le esigenze delle persone per disegnare una user experience seamless ed efficace, riuscendo così a creare un ambiente di lavoro digitale semplice e funzionale.
  • digital learning: implementare il giusto percorso di formazione per le proprie risorse è ancor più importante quando l’organizzazione ha implementato il lavoro da remoto. Questo per due motivi principali: prima di tutto, bisogna occuparsi del necessario upskilling e reskilling dei worker alla luce delle nuove modalità lavorative introdotte.
    Lo smart working richiede, infatti, lo sviluppo di specifiche competenze soft, di una maggior consapevolezza delle logiche digitali, ma anche di una buona conoscenza e padronanza di strumenti di collaborazione. Bisogna, poi, considerare le logiche dell’employer branding e pensare alla formazione come ad un canale di comunicazione privilegiato per creare un senso di “vicinanza” e di contatto con i colleghi, anche quando non si condividono gli spazi dell’ufficio.

E il recruiting?

Se è vero che la pandemia ha accelerato l’andamento della digital transformation per quanto riguarda molti aspetti importanti della gestione delle risorse umane, non bisogna però trascurare il tema fondamentale del recruiting. Dal punto di vista dell’inserimento di nuove risorse, un primo fondamentale impatto della trasformazione digitale è quello dei nuovi criteri di selezione: la funzione HR deve ormai assumere ed attrarre talenti che abbiano già un background digitale forte e che possano farsi ambasciatori della trasformazione digitale all’interno dell’organizzazione.
E se è vero che queste risorse possono supportare la causa della digital transformation e accelerarne i tempi, è anche vero che per poter attrarre talenti di questo tipo, l’azienda deve necessariamente comunicare all’esterno i propri avanzamenti nel campo della digitalizzazione e dichiarare apertamente l’ambizione di portare avanti un percorso di trasformazione digitale.
Infatti, secondo una ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, le imprese “agili” esercitano una capacità di attrazione e di retention più alta, con l’85% dei dipendenti che si dichiara motivato e coinvolto (quasi il triplo di quanto avviene nelle società con un approccio tradizionale).
Ma quello che conta davvero per fare dello smart recruiting una best practice piuttosto che la risposta ad uno stato di necessità è il salto culturale che deve fare l’organizzazione, quello di ridimensionare l’importanza di incontrare di persona il candidato per poter chiudere il processo di selezione. Avete mai fatto caso che anche le aziende che usualmente erogano colloqui ed assessment online richiedono quasi sempre almeno un ultimo colloquio di persona? Vi siete mai chiesti perché?
Certo, in video chiamata non vediamo che il mezzo busto del nostro interlocutore e non possiamo stringergli la mano per soppesare la presa, ma quanto possiamo considerarlo un limite per la valutazione dell’opportunità di inserimento di una persona in azienda?
Nello specifico, la funzione HR dispone, poi, di diversi escamotage per ottemperare al problema della distanza fisica di un candidato durante la selezione:

  • meccanismi di gaming o project work individuali possono sostituire efficacemente un assessment di gruppo in presenza;
  • le video-call e la più sofisticata virtual reality possono farci incontrare virtualmente il candidato, ascoltarne la voce, guardarlo negli occhi ed osservarne il linguaggio del corpo;
  • i social media sono una risorsa insostituibile per conoscere gli aspetti più umani di una persona, come i suoi interessi o il suo modo di interagire con gli altri.

E dunque, perché molti HR continuano a preferire il colloquio di persona? Probabilmente perché risponde più ad una consuetudine di tipo culturale che all’emanazione di un effettivo bisogno interno all’organizzazione.
Alla luce di tutto questo, puoi dirti sicuro del fatto che il tuo processo di selezione sia quello più adatto a rispondere alle esigenze dell’attuale contesto? E ancora, è solo il processo di selezione che deve essere ridisegnato oppure l’intera strategia di posizionamento verso nuovi candidati della tua organizzazione?
E per quanto riguarda il personale della tua azienda, sei certo del fatto che l’employee experience sia ottimizzata in base ai bisogni specifici delle tue persone?
Se vuoi inquadrare meglio questi concetti o condividere le tue riflessioni sul tema, scrivi a [email protected]. Sarà un piacere risponderti.

Perché lo smart recruiting non è più un’opzione per HR

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