Lezioni di cioccolato e imprenditoria – La storia del gruppo Ferrero
Non c’è solo il profitto nella costruzione di una industria: la storia del gruppo Ferrero legata ai valori italiani e alla loro cultura.
Classe 1898, Farigliano, la storia è quella di una famiglia contadina, l’ambientazione le langhe piemontesi.
Nel ’34 si trasferisce a Torino e nel 1940 apre una modesta pasticceria. Penso che oramai sia chiaro a tutti che non è l’antenato del presidente Ferrero della Sampdoria, originario dell’Urbe, stiamo parlando del re indiscusso dell’imprenditoria multinazionale italiana. Il vero, unico, solo e grande CEO della Nutella (anche se ecco, non so come dirvelo, la inventa il figlio).
Questa avventura, a causa di un evento concomitante non da poco, finisce alle ortiche. La guerra devasta la sua attività.
Voleva produrre dolciumi innovativi ma economici, per tutti, ricordiamo che sono gli anni del ventennio, per giunta verso il tramonto. La condizione socioeconomica, diciamo, poteva essere decisamente migliore e questo lui lo sapeva.
Sconfitto ma indomito, torna ad Alba e apre un altro laboratorio dolciario.
Le materie prime scarseggiano, se le vendono sono a costi esorbitanti, del resto c’è la fame, ma in loco c’è un prodotto molto diffuso ma soprattutto molto, ma molto poco, caro.
Le nocciole.
Che dire di questa frutta secca, rispondevano perfettamente al bisogno di creare dolci economici.
Il cacao è fuori discussione, e nasce quindi: il janduiot.
1946 e infinite notti insonni dopo, con una moglie al limite della sua sanità mentale, aggiungerei, dato che la svegliava nel cuore della notte per farle assaggiare le sue miscele.
Chiunque altro sarebbe diventato un criminale di guerra, ma no, riuscì a fondare, nello stesso anno la Ferrero indenne.
Il gianduiotto sarà un impasto di questa crema avvolto in carta stagnola, ed è quello che tutti noi conosciamo adesso.
Un kilo di gianduiotto costa 600 lire, uno di cioccolata 3000.
La guerra è finita, la Ferrero cerca personale e la formula è brevettata. È tempo di ripresa, tempo di fiorire, e così fu.
L’azienda come la conosciamo cresce. Ma questa storia imprenditoriale non è quella di un uomo solo, è la storia di una famiglia, ed arriva il momento di gettare luce sulla star indiscussa di questo processo.
Michele Ferrero e il mercato globale
Cominciamo a prendere appunti perché le lezioni di imprenditoria che si possono trarre da questa storia cominciano con lui.
Come si entra nel mercato globale? A gamba tesa e a manate.
Anche se forse dovremo ritrattare questa versione quando ci saranno cause legali, nel dubbio nega tutto.
Michele ha fatto dell’incredibile in questo senso.
Si apre, prima di tutto, con la Germania, paese che consuma cioccolato tutto l’anno. La brezza però è quella del dopoguerra, c’è diffidenza sia politica che culturale, e come sappiamo “il tradimento italiano è rimasto uno dei motivi d’odio nei confronti del nostro paese più grandi della storia”.
Vendere è impossibile, ma Michele decide che non si vuole arrendere, decide di vendere i cioccolatini in pezzi singoli e ripieni di liquore alla ciliegia.
Gli animi si sciolgono.
Innovatore, visionario, determinato.
E i prodotti da lui ideati diventano il 50% del fatturato intero dell’azienda, è lui a inventare Nutella, Rocher, Mon Cherie, e a esportare progressivamente in Francia, poi Belgio, Austria, Svizzera e via dicendo.
Arriviamo però al motivo per cui siamo qui.
La morale, mi dica la morale
Espansioni e Acquisizioni: matematiche, ragionate, efficienti, brillanti. Il capolavoro di Michele è stata la sua capacità di vedere lontano con acquisizione strategiche mirate.
Nel secondo dopo dopoguerra e fino agli anni Ottanta, l’internazionalizzazione è stata dominata prettamente dalle multinazionali che effettuavano investimenti diretti orizzontali, con l’obiettivo di ridurre la spesa di trasporti ed export e stare sul mercato locale, in seno anche alla produzione di scelte localizzate e dal gusto calibrato sulla cultura d’arrivo.
In realtà in quegli anni Ferrero era leader del suo segmento in più paesi del mondo, non fu da meno di nessuno: le sue politiche internazionali nel corso degli anni permisero integrazioni strategiche sia in senso orizzontale che verticale, ampliando la sua filiera produttiva in lungo ed in largo, in tutti i continenti, senza contare che divenne nel 1995 anche leader indiscussa del settore intero, in Italia.
Nonostante il gruppo abbia una immagine forte di Made in italy però, la catena del valore è distribuita su scala mondiale e ha la sua fonte primaria in cinque paesi che forniscono ciascuno la quasi totalità di una particolare materia prima impiegata e trasformata nei numerosi stabilimenti produttivi, prima attraverso trattati commerciali e poi tramite vere e proprie acquisizioni di aziende locali: la Turchia fornisce nocciole, la Cina la vanillina, lo zucchero proviene dal Brasile, il cacao dalla Nigeria, l’olio di palma dalla Malesia.
Negli anni più moderni però è dove più si brilla, sono questi ad aver permesso di moltiplicare il fatturato dai 4 del 2001 ai 12 miliardi attuali di capitale, il gruppo italiano copre tutte le parti in cui è scomponibile la global Value Chain dei loro principali prodotti, dai brevetti fino alla distribuzione finale, e lo fa mantenendo un forte spirito di responsabilità sociale, con campagne di acquisizione sempre più consistenti e sempre più mirate e uno sviluppo sostenibile che va a controllare la coltivazione e la preparazione della materia prima anche nel rispetto di ambiente e persone, che sono due dei valori più importanti dell’azienda.
La spinta finanziaria porterà l’azienda anche ad acquisire anche la Nestlè nel 2018 per quanto riguarda la produzione dolciaria americana. Un canto del cigno quello di Michele nel 2015, che le assicura il momento che vince l’inerzia e che porterà la società, alla guida oramai di Giovanni Ferrero, pregno dell’eredità culturale del padre, a una frenesia di acquisizioni che ne culminerà il sogno imprenditoriale (ad oggi sono la terza potenza industriale nel campo dei dolciumi, superata solo dalle americane Mars e Mondales).
Una storia dalla bellezza vecchio stampo ma dal cuore profondamente moderno e progressista
E le persone?
Beh di questo non ne abbiamo parlato ma fin dai primi anni ’50 le pratiche umanistiche di Ferrero perseguono ideali di benessere per i dipendenti dell’azienda, cosa al tempo non da poco e che portò a costruire molti dei primi stabilimenti su misura per i propri dipendenti, senza contare i servizi di agevolazione sviluppati nel corso degli anni e i benefit alle famiglie dei dipendenti, finanche la colonia per i bambini per il mare. Ad oggi la responsabilità si è tradotta in una importantissima campagna per lo sport in tutti gli stadi della formazione, fino a quella che è la fondazione Ferrero per i progetti culturali e per l’uomo.
È il segno che non c’è solo il profitto nella costruzione di una industria, soprattutto se così fortemente legata ai valori italiani e alla loro cultura (e coltura, nel mondo).
Quello di Michele forse era davvero un bel sogno.
Lezioni di cioccolato e imprenditoria – La storia del gruppo Ferrero