Il 2021 con la testa di una Campionessa: intervista a Maurizia Cacciatori
Un'intervista per contaminarci ed ispirarci con il mindset di chi ha raggiunto grandi traguardi personali e di squadra. La parola a Maurizia Cacciatori.
Ogni nuovo inizio ci dà la possibilità di rimetterci in discussione ma, in realtà, nel 2020 abbiamo avuto più occasioni per riflettere su questo 2021, verso cui sicuramente riponiamo molte aspettative: tra il ritorno ad attività che ci sono state negate, alla speranza di novità che possano allontanarci da ciò che ci ha travolti improvvisamente, non dandoci minime indicazioni per programmare e prevedere il medio e lungo termine.
Molto del nostro successo personale, però, indipendentemente dalle situazioni complesse dello scenario, continua a restare il frutto dei nostri sacrifici e, prima di tutto, della nostra volontà che parte da obiettivi ben chiari.
Ho pensato così di intervistare una Campionessa, per contaminare i nostri piani con l’ispirazione di una mente che ha saputo raggiungere grandi traguardi personali e di squadra: Maurizia Cacciatori, il miglior talento del volley anni ’90.
In carriera ha conquistato 5 scudetti, 5 Coppe nazionali, 3 Supercoppe italiane, 3 Coppe Campioni (Bergamo 1997 e 2000, Tenerife 2004), 1 Coppa CEV (Napoli 1999). È stata capitana della Nazionale ed eletta miglior palleggiatrice. Oggi è mamma di due figli, moglie, speaker aziendale, commentatrice tv e autrice del libro “Senza Rete” (ROI EDIZIONI).
Intervista a Maurizia Cacciatori: siamo semplicemente le decisioni che prendiamo
Q. Cara Maurizia, ti conosciamo tutti molto bene quindi ti chiederei di presentarti in un modo diverso. Con l’# che contraddistingua una parola o un pensiero chiave per descriverti.
A. #SiamoleDecisioniChePrendiamo, semplicemente perché la mia vita è stata un continuo mettermi in discussione e dover fare delle scelte. Da donna di sport, per motivi personali e lavorativi, la vita mi ha portata spesso a decidere tra cose piacevoli e meno piacevoli, a volte anche nell’immediato, come giocare in una squadra o in un’altra nel giro di 24 ore.
Q. È periodo di bilanci, ricordi e prospettive per il futuro. Com’è stato il tuo 2020 e cosa ti aspetti dal 2021?
A. In tutta sincerità, ho vissuto il 2020 con profonda incertezza e uno stato d’animo, all’inizio, molto scuro perché il mio pensiero andava sempre e comunque ai miei bambini. Da donna, madre, la mia domanda è stata ed è: cosa mi invento adesso per loro? L’ho anche scritto in un post recente su LinkedIn: la mia vita è importante in questo momento, ma mai quanto la loro e dargli una qualità diversa e triste per me sarebbe una sconfitta. Io e mio marito abbiamo fatto di tutto per far sì che non fosse così. Quindi è stato un 2020 difficile.
Anche dal punto di vista lavorativo è stato un anno particolare. Questo cambiamento è stato complesso per me, essendo una persona empatica, senza vedere le persone e senza avere feedback, senza guardare i volti da vicino… Abituata in questi ultimi dieci anni ad allenarmi, a comunicare, a muovermi, a vedere tante persone e poi ritrovarmi con un pc e dovermi esprimere ed essere me stessa.
All’inizio è stato un po’ un muro. Ho creduto che non ce l’avrei fatta… Ma poi ho pensato: sono anni che parli alle persone di cambiamento in ambito aziendale e ora che fai, ti fermi? Ho capito che dovevo continuare in un’altra modalità, che era il momento di fare le cose diversamente e oggi mi sembra naturale, nonostante sia stato un cambio forzato.
Tutti i cambiamenti non sono mai semplici ma, se uno vuole migliorarsi ed avere risultati, deve sempre mettersi in gioco.
La difficoltà è stata anche legata al fatto di trovarmi in casa con due bambini, non grandissimi: dovermi concentrare e gestire la mia comunicazione insieme ai loro comportamenti. Molte volte mi sono trovata in situazioni stressanti, tipo normali baruffe, con un’alta gestione dello stress. Però devo dire che tutto questo mi ha insegnato che non si finisce mai di cambiare e di gestire la difficoltà.
Per il 2021 mi aspetto cose belle, anche se sto sempre con i piedi per terra: questo momento non finisce da un anno all’altro. Mi auguro un po’ più di serenità e qualcosa di felice perché, al di là delle polemiche, ce lo meritiamo tutti: siamo stati un Paese che ha dimostrato di essere all’altezza e di saper gestire questa pandemia nel miglior modo possibile e mi riferisco alle persone.
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Q. Con la metafora sportiva, ti chiedo dei consigli su come affrontare questa pandemia immaginandola come un avversario in campo da battere, nelle nostre vite personali e professionali. Quale può essere l’approccio mentale e quali delle sane abitudini?
A. Per la gestione di questo momento prendo la metafora dell’Italia Volley che gioca contro il Giappone, dove serve un atteggiamento molto resiliente. L’Italia è molto potente, abituata a schiacciare, a fare punto nell’immediato: siamo molto forti in attacco e solitamente siamo abituate ad azioni abbastanza brevi.
Il Giappone, invece, è molto forte in difesa e gli attacchi vengono difesi in continuazione, quindi serve avere tanta pazienza, come molta lucidità.
I nostri allenatori ci consigliavano come giocare queste partite lunghe (molto di più di quanto ci aspettassimo). Questo ci ha insegnato a saperci giocare la nostra partita giorno dopo giorno. Ogni giorno, palla su palla: questo è, a mio avviso, l’atteggiamento giusto.
Il futuro si conquista giorno dopo giorno. Non possiamo aspettarci, purtroppo, che domani sia finito tutto e per questo non parlo più di cambiamento, ma di evoluzione.
Come consiglio quindi: saper perseverare e gestire con grande equilibrio, anche se non lo possediamo, quindi saperlo sempre trovare fino alla fine, e saper aspettare. Come in quelle partite di tre ore dove ho imparato che dal primo minuto dovevo aspettare, punto dopo punto.
Q. Ritorno alla tua vita da Campionessa e ti chiedo qual è il primo ricordo più importante dell’inizio della tua carriera e cosa è stato a tuo avviso decisivo nel tuo successo in tutti questi anni?
A. Il momento più alto della mia carriera è stato quando mi hanno nominata capitana della Nazionale pallavolo, una Nazionale molto giovane, dove anche io avevo poco più di 25 anni. Il passaggio da giocatrice a capitana di una squadra che ha fatto la storia, perché per la prima volta siamo state alle Olimpiadi, cosa che nessuna Nazionale di volley aveva fatto prima.
Quella responsabilità mi ha cambiata molto: dovevo essere un esempio per la squadra e per l’allenatore e non volevo deluderli. È stata una responsabilità allenata giorno dopo giorno: dovevo proteggere la squadra, allenare l’empatia, parlare e allo stesso tempo capire quando dire determinate cose e quando invece stare in silenzio. Sono cresciuta tanto umanamente con questa esperienza. Volevo essere una buona capitana, professionista, senza prendere nulla sotto gamba.
Per me le cose si possono fare, fare bene o fare da professionista. Io ho scelto di fare la pallavolo da professionista e quando si sceglie di fare qualsiasi cosa della propria vita in modo professionale bisogna metterci molto di più di quello che vorresti mettere: più lavoro, più dedizione, più attenzione, più umiltà, più ascolto.
Q. Hai recentemente scritto un libro per ROI EDIZIONI “Senza Rete”. Io sono una grande sostenitrice della rete nel significato di networking e, quindi, con la metafora del titolo del tuo testo ti chiedo: cosa significa per te oggi “fare rete”? E, fuori dal campo come si riesce a creare un network costruttivo che permetta di fare rete?
A. “Senza Rete” è un libro molto importante nel mio percorso personale. L’ho dedicato ai miei figli ed è stato un successo inaspettato.
Fare Rete per me significa stare al gioco, essere in campo e non tirarsi mai indietro, collaborare, conoscere, saper ascoltare e allo stesso tempo avere la curiosità di attingere dalle persone. Io questo l’ho fatto nel mio nuovo mondo. Dopo 20 anni da atleta, sono passata al mondo aziendale e quello che qui ho fatto è sempre stato mettermi in funzione e in ascolto delle persone intorno a me per poi fare delle mie valutazioni.
In sintesi, avere la curiosità di allargare sempre di più la rete, conoscere, non fermarsi al primo step e andare oltre.
Q. Tu conosci molto bene le imprese perché sei spesso coinvolta in eventi aziendali dove porti la tua testimonianza ispirazionale e motivazionale. Ti chiedo: secondo te, è possibile, in un’organizzazione, essere squadra a distanza, mediati da schermo (in modalità “Grande Fratello”), senza avere un concreto contatto umano? Che consigli ti senti di dare per essere un team efficace in questo lavoro sparso tra le case?
A. Si può fare squadra sempre, perché nella vita tutto è allenabile e questo è importante da ricordare. Come già sostenuto, per me entrare in rete e comunicare a persone lontane era inammissibile e invece ho fatto un centinaio di collegamenti tra Zoom, Webex, ecc, È un modo di fare squadra strano, ma non vuol dire che toglie il nostro modo di essere e di interagire.
Serve la voglia di esserci però. Ho visto questa voglia di esserci soprattutto nei tanti festeggiamenti a distanza nelle aziende a cui ho partecipato in finale di anno: calici di vino bevuti nella propria casa, ma nessuno è stato solo, anche se a distanza. Così è un esserci ancora. Ritorneremo a vederci dal vivo, ma in questa fase, di grande evoluzione, bisogna aver colto il senso che serve nelle nuove modalità di lavoro efficaci: esserci fortemente, cercarsi e non tirarsi indietro.
Q. E a chi gestisce persone che suggerisci? A mio avviso, loro oggi sono l’Azienda agli occhi di chi ci lavora e hanno una responsabilità ancora più grande per alimentare il senso di appartenenza e mantenere alta la motivazione. Servono intelligenza emotiva e capacità di engagement; i responsabili devono essere attenti ai bisogni del singolo, con una forte attenzione ai delicati aspetti psicologici, che sembrano essere ancora un tabù nonostante la situazione che viviamo.
A. Una cosa che ho percepito in chi si occupa di Risorse Umane (o Umane Risorse, come piace dire a me), è un desiderio più forte, rispetto al passato, di sentire le proprie persone, di esserci e mettersi in funzione. Questa cosa mi è piaciuta molto. L’ho notato con le frequenti richieste che mi sono state fatte sulla collaborazione a distanza tra persone.
E questo è importante perché è fondamentale non far sentire le persone distanziate, lontane, non considerate. Bisogna valorizzarle al meglio, considerando che dare valore alle persone è allo stesso tempo dare ancora più valore all’azienda, essendo quest’ultima fatta nel suo DNA di ogni singolo.
Q. Ringraziandoti per la grande e generosa disponibilità nel rispondere alle mie domande, in conclusione ti chiedo una tua citazione, o un motto, per spronarci a scendere in campo per questa partita con il 2021 in modo efficace e “vincente” come te.
A. “Le coppe si vincono in allenamento e si va in gara solo per ritirarle”: mai come in questo momento il concetto è stato più vero e sta a significare che ogni giorno, ogni allenamento, ogni momento che dedichiamo al nostro lavoro, fa la conquista, che arriva solo alla fine.
Il mio augurio è quindi di non buttare via neanche un momento perché il futuro arriva giorno dopo giorno: diamo qualità alle nostre giornate, anche se possono essere tristi, malinconiche, non belle. E quando tutto finirà ci volteremo e penseremo: “Anche questa l’abbiamo superata!”
P.S: Ricordiamoci di aggiornare il nostro Curriculum Vitae, inserendo: gestione della pandemia 10 e lode!
Il 2021 con la testa di una Campionessa: intervista a Maurizia Cacciatori