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Avvocati e Intelligenza artificiale: quale futuro?

avvocati e intelligenza artificiale

Avvocati e intelligenza artificiale: quale futuro?

Negli ultimi mesi, non c’è dubbio che termini come intelligenza artificiale machine learning siano davvero sulla cresta dell’onda. Nella mia città, a Roma, per esempio, fioccano numerosi eventi sul tema, con interventi di ospiti illustri.
La domanda che voglio portare alla tua attenzione oggi, tuttavia, è la seguente: come impatteranno queste nuove tecnologie sul lavoro degli avvocati?
Facendo parte della categoria, la prima tentazione sarebbe quella di sostenere che una macchina non potrà mai soppiantare l’esperienza, la creatività e la preparazione di cui un bravo legale dovrebbe essere in possesso per esercitare con successo la professione. Tuttavia, ragionandoci meglio, mi vengono in mente una serie di esempi che hanno inciso (e profondamente) su settori, dove mai avrei immaginato ci sarebbe potuta essere innovazione.
Penso a Uber (taxi e noleggio con conducenti) e alle polemiche che ne sono derivate, ad Amazon (che non necessita di presentazioni), a come Tripadvisor abbia influito sulle scelte “gastronomiche” dei consumatori. Gli esempi, come detto, sono innumerevoli.
Per cui, direi che sarebbe sbagliato ed, anzi, sarebbe un errore imperdonabile arroccarsi su una posizione difensiva e difendere a spada tratta la propria professione, ritenendola talmente peculiare da lasciarla “al sicuro” dalle nuove tecnologie. Non è così.
Come sempre, basta volgere lo sguardo al di là dell’oceano per averne la prova.
Avete mai sentito parlare di COIN? COIN è un acronimo per “COntract INtelligence” ed è la denominazione di un software elaborato da JP Morgan in grado di effettuare in pochi secondi la revisione di contratti finanziari (la stessa attività, secondo le stime pubblicate, richiederebbe circa 360.000 ore di lavoro di avvocati specializzati).
Conoscete un certo Ross? Non è il protagonista della serie Friends, ma un robot sviluppato da IBM che, a quanto si dice, sarebbe in grado di effettuare precise ricerche giurisprudenziali in pochi secondi, suggerendo anche le strategie da seguire e dando consigli su come redigere gli atti processuali. Questo robot, tra l’altro, sembrerebbe essere stato acquistato anche da alcuni fra i più importanti studi legali italiani. Si dice che il costo mensile di Ross equivalga alla tariffa oraria di un avvocato (suppongo di medio-alto profilo).
I due sistemi sopra indicati si basano sulle nuove tecnologie, in particolar modo sull’intelligenza artificiale.

Una macchina può fare il lavoro di un avvocato?

In realtà è molto più semplice di quanto si immagini. L’avvocato e la macchina, da un certo punto di vista, ragionano in un modo simile. L’attività dell’avvocato si basa, fondamentalmente, sull’analisi di un caso concreto per ricondurlo ad una fattispecie astratta (disciplinata dalla norma giuridica).
Se venisse nel mio studio un cliente e mi chiedesse: Avvocato, ho acquistato un computer ad un negozio di informatica, ma dopo due giorni l’hard disk si è improvvisamente fuso…” In primo luogo andrei ad analizzare la normativa vigente per individuare la fattispecie giuridica e, secondariamente, per trovare la regola da applicare al caso concreto (Troverei l’art. 1470 che mi dice che la vendita è il contratto che ha per oggetto lo scambio di cosa contro prezzo e non dovrei fare altro per individuare una regola da applicare al mio caso). Troverei poi quella norma in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, con cui avrei la possibilità di chiedere: a) la risoluzione; b) la riduzione del prezzo (l’art. 1490).
Lo schema è, quindi: FATTO – NORMA – CONSEGUENZA.

Come ragionerebbe la macchina?

Una macchina ragiona praticamente nello stesso modo. Pensiamo ad un costrutto tipico dell’informatica: l’istruzione condizionale IF (presente in qualsiasi linguaggio di programmazione). La sintassi è la seguente:

if (condition A) {

do something

} else if (condition B) {

do something else

} else {

do nothing

}

Se si verifica la condizione A, la macchina eseguirà un’istruzione, se si verifica la B ne eseguirà un’altra, se si verifica una condizione che non rientra né in A, né in B, non farà nulla. Mi rendo conto che si tratta di uno schema elementare, ma vi faccio capire come potrebbe essere applicato al caso di prima, utilizzando le istruzioni if annidate:

If (contratto == ‘vendita’) {

if (!vizio) {

return ‘non ci sono vizi, non si può fare nulla’

}

if (vizio) {

if (vizio == ‘riconoscibile’) {

risposta = ‘non si può fare nulla’

}

else if (vizio == ‘occulto’ || vizio == ‘occultato’) {

risposta = ‘azionare la garanzia per vizi’

}

}

else {

risposta = “non ho riconosciuto il contratto di vendita”

}

Prima si verifica se c’è un contratto di vendita o meno, poi se esiste un vizio (se l’istruzione non è presente il ciclo si interrompe con una risposta negativa), se il vizio è presente si deve indagare se questo è riconoscibile o meno (solo nel secondo caso l’istruzione azionerebbe la garanzia per i vizi).

Come hai modo di vedere, il ragionamento dell’avvocato e quello della macchina, nell’astratto, sono molto simili.

Qual è l’obiezione classica?

Come fa la macchina a stabilire le condizioni e a verificare se siano vere o no?
Ecco dove entra in gioco l’intelligenza artificiale: tramite algoritmi sempre più complessi e, soprattutto, tramite la possibilità di essere ulteriormente istruita (cd. Machine learning) il nostro buon elaboratore sarebbe in grado di dare una soluzione molto più vicina a quella che avrei dato io.

Quali potrebbero essere i risvolti per la mia categoria (e per le altre professioni)?

Più gli algoritmi di intelligenza artificiale migliorano (e, visti gli investimenti in gioco è ragionevole immaginarlo), più le soluzioni date dai “robot-avvocati” si avvicineranno a quelli forniti dagli avvocati “umani”.
Considerando che la velocità di elaborazione delle informazioni da parte del robot-avvocato è infinitesimale se paragonata a quella dell’avvocato “umano”, riterrei molto probabile che, in un certo ambito di materie (quelle dove si trova una casistica più consolidata) la macchina diventerà molto più conveniente dell’avvocato.
Si potrebbe, quindi, obiettare che sulle questioni più specifiche (che, considerando il nostro diritto, non sarebbero poche) l’esperienza e la preparazione dell’avvocato avrebbe la meglio sulla macchina. Quest’ultima, infatti, potrebbe non analizzare correttamente il caso, incontrando dei problemi nell’elaborazione di una soluzione. Anche qui, tuttavia, la pratica potrebbe sconfessare la teoria!
Devo, infatti, ricordare, per dovere di cronaca, che la University College of London, nel 2016, ha fatto analizzare ad un sistema “intelligente” circa 500 casi decisi dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ed il risultato quale è stato? Nel 79% delle volte è stata emessa una sentenza simile a quella dei giudici di Strasburgo.

In conclusione, cosa accadrà?

Dare un pronostico esatto è, certamente, difficile. Sono, comunque, convinto che le nuove tecnologie, nel giro di 5-10 anni, impatteranno in modo molto incisivo nelle varie categorie professionali (non a caso Bill Gates ha proposto di far pagare le tasse ai robot che soppianteranno i lavoratori).
Non credo, tuttavia, che un neo-luddismo sia la soluzione.
A mio avviso, le varie categorie professionali, se non vogliono scomparire, dovranno, necessariamente, evolversi, puntando, soprattutto, sulla qualità, sull’efficienza ed, inevitabilmente, sulla competitività e, perché no, anche utilizzando queste nuove tecnologie per migliorare i propri servizi!
In fondo come si dice, “se non puoi batterli, unisciti a loro!”

Avvocati e Intelligenza artificiale: quale futuro?

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