Flessibile o ibrido, basta che il lavoro cambi. Che ci pensino gli irrequieti con l’Innovability
Puntare all’Innovability integrando leadership, sostenibilità, ascolto e innovazione; così riusciremo a cambiare il mondo del lavoro.
Qualcosa sta cambiando nello stereotipo del mondo del lavoro che per anni abbiamo portato avanti; successo e carriera stanno assumendo un significato diverso e c’è sempre più bisogno di empatia, come di flessibilità e Work Life Balance che ormai, avendole sperimentate, non sono più semplici teorie. E anche di Innovability.
I giovani – e non solo – a colpi di YOLO “you only live once” e di rivalutazioni della vita personale e professionale, ce lo stanno dimostrando nelle loro scelte; il lavoro a distanza ha creato nuove opportunità e offerto più tempo per se stessi ed è diventato prioritario preservare la propria sostenibilità mentale e fisica.
È – finalmente – sempre più importante che le organizzazioni e i loro leader facciano piena attenzione alla vita al di fuori del lavoro, ascoltando le diverse prospettive ed esigenze umane e reali delle persone che con la pandemia per molti sono cambiate.
Anche sotto questo punto di vista è fondamentale fermarsi a riflettere sui cambiamenti in corso. Cosa desiderano oggi le persone nel loro quotidiano e nel lavoro?
Cosa cercano oggi le persone entrando nel mondo del lavoro?
Suggerisco la lettura di un recente articolo – “The New Meaning Of CEO: Chief Empathy Officer – 4 Reasons Leaders Need Empathy Now” – uscito su Forbes.
Siamo ora passati alla fase del cambiamento in cui si sta venendo a creare, come sostenuto da Domenico De Masi – Professore emerito di Sociologia del lavoro all’Università La Sapienza di Roma, pioniere e visionario, il primo in Italia a credere nel lavoro a distanza -, la profonda differenza tra il coraggio lungimirante delle imprese private e la paura miope della Pubblica Amministrazione.
Eppure la situazione è ancora più complessa.
“Il 41% della forza lavoro globale sta valutando di lasciare il proprio posto nel 2022, il 70% ne vuole uno flessibile. Sempre più emerge l’importanza di dare dignità e importanza a quello che succede quando non lavoriamo”
come riportato da Isabella Colombo.
Il tema non è fare quindi lo Smart Working o tornare tutti di corsa in ufficio nella speranza della ricostruzione del passato (banale semplificazione della R-Evoluzione), la vera sfida delle organizzazioni che vogliono rispondere alle esigenze emergenti è rimettersi al tavolo con ogni persona e ridisegnare in modo personalizzato e flessibile il lavoro.
Abbiamo persone che tanto hanno appreso e abitudini nettamente diverse, o ascoltiamo il cambiamento e rimettiamo in discussione questa scacchiera che ha già buttato giù tutte le pedine (certezze) o metteremo in crisi la produttività nel medio e lungo termine.
E per questa ragione può essere utile riprendere l’articolo pubblicato da Harvard Business Review – “The Happiness Dividend” – e ricordarci che “investing in happiness pays great dividends“: il più grande vantaggio nell’economia moderna è una forza lavoro felice e ingaggiata.
La felicità aumenta quasi tutti i risultati aziendali: aumento delle vendite del 37%, produttività del 31% e accuratezza delle attività del 19%, oltre a una miriade di miglioramenti della salute e della qualità della vita.
Non è banale mettere tutto in discussione, ma è sicuramente pericoloso pensare di ignorare fenomeni che sono sempre più sotto i nostri occhi, per motivi più grandi di noi e che hanno preso la forma di pandemia impattando il benessere fisico e mentale, come tutto ciò che era una consolidata certezza.
Persone, ambiente di lavoro e carriera: una diversa visione del bisogno
“Quello che dobbiamo sacrificare in termini di famiglia, di amicizie, di passioni personali, più genericamente di libertà ha assunto una dimensione talmente preponderante da cancellare i vantaggi di un lavoro più prestigioso e meglio retribuito.”
Anna Prandoni
Questa di Anna Prandoni – “E se la carriera non ci interessasse più?” – è solo una delle tante riflessioni che ho recentemente letto, o ascoltato in via più diretta, e che portano alla luce una sempre più predominante diversa visione di bisogno: più equilibrio, meno precarietà e una migliore retribuzione. Si cercano luoghi di lavoro in cui ci si senta compresi prima di tutto come Persone e senza aspettarsi un sacrificio totale.
Mentre il cambiamento passa attraverso rinnovate esigenze, nelle organizzazioni ci si chiede cosa fare da gennaio: tutti in ufficio come se non fosse successo nulla? Un giorno da remoto, o due, o tre? O invece un numero fisso di giorni al mese in cui andare?
Questa è la situazione che provando a sintetizzare vede grandi differenze nella posizione. Proviamo a fare una macro sintesi, anche mostrando l’esito di un mio piccolo sondaggio in rete:
La maggior parte delle organizzazioni non ha ancora regolamentato in via ufficiale, per cause chiaramente note, e si sta muovendo prevalentemente sulle esigenze delle persone, offrendo piena flessibilità sicuramente almeno fino a fine dicembre.
Ci sono aziende che richiedono la presenza solo in momenti o fasi particolari, come ad esempio l’ingresso di neo-assunti, la chiusura del fiscal year o gli staff meeting; chi ha già comunicato che non si rientrerà, optando per il full remote working e chi invece da novembre richiamerà cinque giorni su cinque in ufficio.
Ci sono realtà che stanno optando per l’affitto di sedi innovative e flessibili, in co-working, da mettere a disposizione delle proprie persone; chi chiede la presenza solo due giorni al mese e chi alterna il lavoro da remoto su base bisettimanale, proponendo di fare una settimana due giorni in sede e quella dopo tre giorni a casa; c’è chi sta istituendo dei giorni specifici in cui fissare i meeting in presenza per vedersi e chi sta ragionando sui voucher da dare alle persone per arredare al meglio la postazione a casa. Chi delega tutto alla discrezione del responsabile.
L’ascolto delle persone: il primo passo verso la sostenibilità e l’Innovability
Aldilà delle riflessioni su cosa fanno gli altri, che sicuramente è sempre una buona ispirazione, ma solo come punto di partenza, visto che si parla tanto di sostenibilità, oggi si potrebbe riempire questa parola di valore attraverso l’ascolto delle persone. Un ascolto organizzativo finalizzato a ridisegnare il nuovo quotidiano professionale tra “vecchie” sedi, nuovi “HomOffice”, rinnovati bisogni di Community e senso di appartenenza “Onlife” e priorità personali in cambiamento.
Porre l’organizzazione concretamente in una posizione “People Centred”, trasformando questa crisi in occasione di vera centralità delle sue persone: questa può essere l’innovazione ad alto impatto per la società presente e futura e, forse, questo è davvero il momento di augurarsi nelle organizzazioni più irrequieti, perché ora la scacchiera è tutta fuori ordine e c’è bisogno di una nuova multipotenzialità diffusa con cui ricostruire.
Con loro, gli irrequieti, è possibile puntare all’Innovability, di cui ha recentemente parlato Ivan Ortenzi, integrando la leadership e la consapevolezza della sostenibilità e dell’innovazione come due scelte strategiche complementari e sinergiche di cui sentiamo un gran bisogno.
Che ci salvino loro, studiando – come scrive Roberto Battaglia in “Startupper in azienda. Liberare il potenziale imprenditoriale nascosto nelle organizzazioni” – da designer, architetti, ispiratori, connettori e, talvolta, agitatori.
Flessibile o ibrido, basta che il lavoro cambi. Che ci pensino gli irrequieti con l’Innovability