Impresa sociale e incubatori nell'esperienza delle città europee
Impresa sociale e incubatori nell'esperienza delle città europea
Jobs and skills in the local economy rappresenta una delle undici tematiche prioritarie della politica per lo sviluppo regionale ed urbano in Europa. La promozione e la realizzazione di programmi rivolti all’imprenditoria sociale, a favore dello sviluppo di un sano ecosistema di imprese e startup con obiettivi di welfare e sostenibilità, può sfruttare la riconversione di beni immobili in forma di asset comunitari, rappresentando anche un’importante occasione per coniugare gli obiettivi dell’impresa sociale con le strategie di rigenerazione urbana (per alcuni spunti in questo senso si v. un precedente articolo).
In questo contributo si propone una sintetica descrizione della categoria “impresa sociale” e la comparazione tra tre amministrazioni urbane europee, accomunate dalla presenza di Impact Hub in qualità di incubatore.
Nell’Ottobre 2010, il mondo accademico invia una lettera aperta alla Commissione europea, intitolata “Dalle parole ai fatti: sostegno alle cooperative e imprese sociali per un’Europa più inclusiva, sostenibile e prospera.” Il Parlamento europeo già nel 2009 aveva adottato una risoluzione sull’economia sociale (la c.d. Relazione Toia), mentre il Comitato Economico Sociale Europeo, dava contemporaneamente un parere sul tema della “Diversità delle forme di impresa”.
Su questi basi la Commissione adotta la COM(2011) 78 final , Riesame dello Small Business Act per l’Europa (2008) e la COM 2011-682 final, Iniziativa per l’imprenditoria sociale – Costruire un ecosistema per promuovere le imprese sociali al centro dell’economia e dell’innovazione sociale.
Nel 2013, alla vigilia dell’avvio del nuovo ciclo di fondi 2014-2020, viene approvato il Regolamento (UE) n. 346/2013, Fondi europei per l’imprenditoria sociale, da leggere in combinato disposto con il Regolamento (UE) n. 345/2013 relativo ai Fondi europei per il venture capital.
L’impresa sociale costituisce quel particolare tipo di impresa che, coniugando all’interno di un medesimo processo aspetti produttivi e distributivi, «si prefigge di intervenire a vantaggio della comunità o di un gruppo di cittadini in campi non già riconosciuti dalla Pubblica Amministrazione», per rispettare, sul piano quantitativo come su quello qualitativo, i mutamenti dei bisogni e le evoluzioni delle domande locali (il documento così richiama Borzaga, 2009).
Il Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE) definisce poi l’Economia Sociale come:
«l’insieme delle imprese formalmente costituite con autonomia decisionale, create per soddisfare i bisogni dei propri membri attraverso la produzione di beni e l’offerta di servizi (inclusi quelli assicurativi e finanziari), dove sia il processo decisionale, sia la distribuzione degli utili non è direttamente connessa alla quota di capitale versata da ogni socio» (la definizione è così richiamata da questo documento).
L’impresa sociale si fa, quindi, elemento chiave per lo sviluppo della strategia Europa 2020 godendo anche di risorse dedicate.
L’impresa sociale, infatti, è uno strumento non solo a favore della crescita, ma anche e soprattutto dello sviluppo, inteso non solo come sviluppo “ambientale sostenibile”, ma anche come sostenibilità economico-sociale, coerentemente con i SDGs 2030 (Sustainable Development Goals), tra cui l’obiettivo n. 11, Sustainable Cities and Communities e il lancio del programma Habitat III.
Non è facile rintracciare in Europa un modello unico di impresa sociale potendo, essa, ben assumere forme giuridiche tra le più diverse (ad esempio, società cooperative, mutue, fondazioni e associazioni). Non tutti i paesi, poi, possiedono strategie nazionali ad hoc per il loro sviluppo.
Nonostante questo, è possibile studiare il fenomeno dal basso, ovvero, dal livello urbano. In questo tentativo, è importante ricostruire la rete degli attori. Se da un lato si ha l’impresa sociale, in Italia recentemente regolata dalla l. n. 106/2016, Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale e dal d.lgs. n. 117/2017 (il c.d. Codice del Terzo settore), dall’altro, per l’attuazione delle politiche pubbliche, troviamo le amministrazioni nazionali e locali, ma anche terzi soggetti che facilitano i processi.
Tra questi ultimi, in tema di coworking vi sarà spesso capitato di sentir parlare di Impact Hub. Da una recente ricerca emerge che circa il 38% dei coworking in Italia appartengono a reti, in genere orientate a specifiche finalità, fondate su brand, ma soprattutto su modelli relazionali, umani e lavorativi.
Si parte da soluzioni che prevedono il franchising di un marchio, con il quale si acquista un pacchetto base per aprire un coworking assolvendo rapidamente a tutte le procedure amministrative. Fino a network che, insieme alla condivisione dello spazio lavorativo, offrono alla propria comunità molteplici servizi quali, ad esempio: percorsi formativi, supporto ai coworker e ai manager di coworking, accelerazione di impresa, incubazione per startup e visibilità globale.
Fortemente orientato a temi e ambiti sociali è appunto Impact Hub, inserita nel network globale The Hub, che include oltre 60 città nel mondo. Propone spazi di coworking dove le persone possono lavorare, condividere idee e sviluppare progetti imprenditoriali che migliorano la società e il territorio.
Un contenitore creativo e di supporto imprenditoriale per quelle imprese ad alto contenuto innovativo, capaci di intercettare i bisogni emergenti nel tessuto sociale (ad es. microfinanza per favorire l’accesso al credito, mobilità e turismo sostenibile, integrazione solidale).
Impact Hub sembra essere un elemento ricorrente in alcune esperienze urbane.
È, innanzitutto, il caso del FabriQ di Milano, esperienza nata da un’Associazione temporanea di impresa tra Impact Hub e la Fondazione Giacomo Brodolini, come incubatore di innovazione sociale per startup con obiettivi di sostenibilità ambientale, economica e sociale, localizzata nel quartiere periferico di Quarto Oggiaro, dove il Comune è attivo in un progetto di rigenerazione urbana con uno stanziamento di 486.000 euro.
Si ricorda che il Comune di Milano ha emanato negli ultimi anni delle Linee guida sui coworking, stabilendo un loro accreditamento e l’erogazione di fondi dedicati. Regolando il fenomeno del coworking e sfruttandone le sinergie, si muove, dunque, nel solco della promozione dell’imprenditoria sociale.
In realtà, non solo connette quest’ultima con la rigenerazione urbana e i coworking, ma si muove sulla falsariga della strategia nazionale per le startup innovative, puntando sul sistema degli incubatori.
Si guardi, poi, al caso della città di Amsterdam. La Amsterdam City Fellowship accelerator è focalizzata sull’innovazione sociale, in modo particolare con obiettivi di salute e benessere, ed è parte del programma City of Amsterdam’s Social Entrepreneurship action programme (1 mln di euro).
Partecipano al progetto di acceleratore sociale Amsterdam Impact Hub e la City of Amsterdam. La città sta attuando la strategia urbana per lo sviluppo delle imprese sociali, Action Programme Social Entrepreneurship 2015-2018: Amsterdam, the place to be for social entrepreneurship, ma, differentemente da Milano, non sembra ancora averla integrata con la rigenerazione urbana, nonostante possa vantare già splendidi esempi in ambito culturale (si v. il Cafè de Ceuvel o il Westergasfabriek).
Infine, passando dal Sud, al Centro, al Nord Europa, anche la Svezia sembra intenzionata ad affrontare le sfide dell’innovazione sociale con la sua Strategic research and innovation agenda, basata sul programma Strategic Innovation Areas (SIO), promosso e diretto dalla Swedish innovation agency VINNOVA, la research council Formas e la Swedish Energy Agency, Energimyndigheten.
In realtà, in questo caso l’Impact Hub di Stoccolma agisce come incubatore di imprese sociali, dialogando direttamente con la Commissione europea attraverso la Social challenges innovation platform.
Conclusioni
L’impresa sociale sembrerebbe poter apportare un enorme contributo alle strategie di sviluppo in Europa, soprattutto affiancando alla sostenibilità ambientale ed economica quella sociale, in linea con la strategia globale ribadita a Rio nel 2012 e con il concetto di sviluppo sostenibile recepito poi dall’Unione europea.
In questo senso, le diverse strategie in favore delle startup innovative nei vari paesi possono essere pensate e trasposte anche nel campo dell’imprenditoria sociale, accompagnando poi le strategie di rigenerazione urbana, ad esempio attraverso il contributo dei coworking e della loro idea di spazio materiale e di quello immateriale, nonché in senso più ampio le politiche urbane, caratteristica di ogni città.
In particolare, dei casi richiamati, colpisce l’architettura di una governance multilivello, da una parte “continua” (attori globali, amministrazioni sovranazionali, nazionali, locali, terzo settore, società civile) e dell’altra, invece, “per salti”, in cui la Città interagisce direttamente con la Commissione europea o si appoggia a network globali, sfruttando strategie nazionali per rilanciare attori del sistema produttivo o di welfare.
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