Artigiani e digitale: come innovare il saper fare?
Artigiani e digitale: come innovare l’impresa artigiana
Li si chiami makers, new crafts, artigiani digitali o con altro qualsivoglia appellativo, una cosa è certa: gli artigiani che si aprono alle nuove tecnologie hanno un potere competitivo enorme nella nuova era del business. Se ne sono accorti in tanti e si moltiplicano le iniziative volte a sottolineare che la manifattura artigiana, da sempre colonna portante della forza del Made in italy, è ancora la best way per superare la crisi economica e occupazionale attuale e ricostruire il valore del saper fare.
D’altronde, è un dato di fatto che dal 2014 ad oggi sono ben 243 mila le startup artigiane nate in Italia. Tante, ma non abbastanza, se si pensa che, nel solo 2016, 16 mila imprese artigiane hanno chiuso battenti. Il sapere di 43 artigiani al giorno è stato disperso nel nulla, a fronte di una disoccupazione giovanile che, ad oggi, sfiora il 40%. Due mondi paralleli sospesi, che si ammirano, ma non dialogano.
Non si può liquidare questo dato quale “naturale turn-over”, perché il sapere artigiano è un capitale intangibile e non rigenerabile.
Possiamo immaginare anche una scena verosimile di una cena familiare, nella quale un papà falegname lamenta i prezzi di Ikea con i propri tre figli, un ingegnere che lamenta il fermo del mercato immobiliare, un architetto disincantato dal sogno di diventare il nuovo Calatrava e, il piccolo, webmaster, che sforna siti a duecento euro. Il tavolo di una piccola cucina diventa, così, un oceano tra due mondi paralleli.
È questa, una rappresentazione immaginifica e semplicistica di una realtà ben più complessa e a volte drammatica, ma necessaria a porre il punto sulla domanda cardine della mancata valorizzazione della straordinaria manifattura italiana: quanto sei aperto a ripensare il tuo modo di lavorare?
Artigiani verso il digitale: cosa innovare
L’innovazione tecnologica è uno dei fattori più importanti nella strategia competitiva delle imprese. Le innovazioni di prodotto consentono di migliorare qualità e caratteristiche dei beni prodotti. Le innovazioni di processo consentono di modificare struttura dei costi di produzione, riducendo i costi e migliorando l’efficienza interna.
Per gli artigiani e le imprese artigiane, la vera sfida consiste nell’introdurre innovazioni in grado di ottenere questi risultati pur preservando (o ancor meglio, migliorando) il carattere artigianale del prodotto.
La maggior parte delle imprese artigiane italiane disconosce o guarda con diffidenza all’innovazione. Vi ricorre, spesso tardi e maldestramente, quando la situazione è disperata e non sussistono più le condizioni minime necessarie a far maturare gli elementi innovativi. Una parte minore di esse è stata, invece, in grado di programmare con dovizia la trasformazione digitale ed oggi ne raccoglie i frutti. Infine, le startup artigiane, che sono nate proprio sul fondamento del connubio con il digitale stanno segnando nuove vie, spesso anche romantiche, ad un nuovo Made in Italy.
Non è il mestiere artigianale che dobbiamo inseguire, ma il profilo e le caratteristiche dell’artigiano: la sua passione per la qualità del lavoro, il suo desiderio di migliorare nell’esercizio e nell’approfondimento delle tecniche, il suo radicamento in comunità di pratiche socialmente riconosciute. [Richard Sennett, l‘uomo Artigiano]
Sennett mette il dito sulla questione vera dell’innovazione artigiana: cosa deve comunicare un prodotto manifatturiero? Qualunque sia la strada perseguita essa, a ritroso, deve rafforzare questo assunto: passione, tecnica, comunità.
Una ricerca del 2009 pubblicata su Quaderni di Ricerca dell’Artigianato, ponendosi la domanda su quali siano le strategie più efficaci adottate dalle piccole imprese artigiane del Made in Italy, ha evidenziato che “delle tre forme di imprenditorialità aziendale possibili (nuovi prodotti, nuovi mercati e diversificazione, ovvero nuovi prodotti su nuovi mercati), solo una risulti essere correlata positivamente e ad un livello sufficiente di significatività statistica con la performance. Si tratta dello sviluppo di nuovi prodotti”.
Come innovare il saper fare?
Da quando Giuseppe Rubinacci è subentrato al padre nella gestione della falegnameria familiare, La Rubinacci Falegnameria di Quagliano, alla falde del Vesuvio, è passata in pochi anni dalla produzione di cornici per quadri alla realizzazione di mobili per l’interior design di classe, incrementando sensibilmente, oltre che il proprio fatturato, anche la percezione di qualità associata al proprio marchio e, di conseguenza, le opportunità di sviluppo.
Il bello è che Giuseppe questo percorso non lo ha percorso esclusivamente da solo, ma attraverso uno stretto e costante confronto con una fitta rete di relazioni composta da diversi attori, dai consulenti ai partner della filiera, che hanno affiancato l’azienda nella definizione di una strategia sostenibile fatta di prove, analisi di mercato e test commerciali.
Anche io, nel poco tempo di una zeppola ed una passeggiata a Mergellina, al termine di un corso sulla gestione d’impresa, sono stato per un’ora inondato di domande da parte di Giuseppe nel suo tentativo di ottenere ulteriori suggerimenti. Con la sua praticità, in una sorta di patto solidale basato su una royalty, ha così coinvolto alcuni architetti nel disegno di arredi d’interni in grado di utilizzare la tecnologia esistente in azienda. Il risultato è lo sviluppo di una serie di nuovi prodotti di design che sono diventati gli elementi di punta del marchio. Prodotti che hanno mantenuto e rafforzato i valori della passione (Giuseppe), della tecnica (la lavorazione del legno) e della comunità (la rete dei partner).
Questa è una delle tante storie di innovazione che non parlano delle solite aziende note, ma di piccole PMI che hanno avuto il coraggio di buttare lo sguardo oltre la quotidianità, accettando questa sfida, sì, ma intuendo che fosse necessario coinvolgere altri attori in questo percorso. È il concetto della Open Innovation (ben spiegata qui da Alfredo Valentino) e di un modello innovativo di collaborazione definita in gergo economico win-win, dove entrambi i soggetti coinvolti creano valore reciproco.
L’attenzione intorno a questo termine è, negli ultimi tempi, rivolta alle startup ed al loro enorme potenziale di contributo che potrebbero offrire alle imprese artigiane. Ma quando ci si riferisce alle startup non si pensa ai loro prodotti, quanto piuttosto alla capacità e alle competenze dei loro membri di rielaborare ed innovare la risposta a un bisogno specifico dell’individuo, della società o, come in questo caso, dell’impresa.
Sarà poi il grado di apertura dell’artigiano o dell’imprenditore all’innovazione a determinarne la modalità di attuazione e, quindi, se fare rete con altri artigiani, con un centro di ricerca universitario, con una startup, con dei professionisti del territorio (magari i propri figli) o, magicamente, piano piano con tutti questi.
Come attivare l’innovazione?
L’artigiano ha molte opportunità per avviare il proprio piano di sviluppo. È importante però garantire al processo sostenibilità, per sé e per i partner coinvolti. Per questo sarà di estremo aiuto il proprio commercialista, che dovrà essere il primo ad essere chiamato ad un surplus di attenzione e programmazione finanziaria delle attività, sulla quale ho avuto modo già di proporre alcuni consigli sui finanziamenti per l’innovazione aziendale più spinta o sulla possibilità di formazione interna offerta dai fondi inter-professionali. Senza dimenticare il microcredito, per progetti con un rapido time to market.
E se si vuole creare un unico programma in grado di includere quanto detto finora, dal 1° Marzo sarà attivo il bando del MISE reti d’imprese per l’artigianato digitale, che cofinanzierà programmi d’investimento di almeno 100k basati sull’introduzione di tecnologie digitali nella fabbricazione artigianale in rete. Le agevolazioni, se si considerano anche quelle del Piano Industria 4.0, potrebbero raggiungere il 50% del valore del programma.
Una cosa è certa: è importante remunerare i professionisti o le giovani competenze (ben selezionate) per garantirvi tempo adeguato dedicato. Utilizzare forme di equity o partecipazione agli utili solo in quota parte, per stimolare il coinvolgimento emotivo degli stessi. Il rischio d’impresa non può essere trasferito o delegato perché ciò significherebbe l’assenza dell’impresa per definizione.
Forse la famiglia del falegname, ma anche di un fabbro, di una sarta o di tante altre figure care alle nostre sempre piccole comunità, potrebbe avere un futuro diverso, se riuscisse ad alzare lo sguardo oltre la quotidianità.
Artigiani e digitale: come innovare il saper fare?