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La blockchain per il lavoro. Work in progress

blockchain e lavoro

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L’ordinamento giuridico italiano ancora non conosce forme di disciplina specifica per la Blockchain, sebbene qualcosa si stia finalmente muovendo.

Tra i vari fenomeni espressivi della digital transformation in atto su scala globale, la tecnologia blockchain riveste un ruolo centrale e, al tempo stesso, in un certo qual modo ancora misterioso.
Resa nota per effetto della dilagante diffusione della criptovaluta Bitcoin, che utilizza proprio lo schema tecnologico-operativo della blockchain, quest’ultima può essere inquadrata come una “trustless technology”.
In altre parole, «con o senza intervento delle regole di un ordinamento esterno statale, esiste un sistema privatistico transnazionale che, avendo permesso il download di un determinato dato in forma digitale, lo rende veritiero, per tutti gli operatori, sempre monitorabile, immodificabile, senza che vi sia il contributo o il controllo di un’autorità pubblica terza» (M. Faioli, Con la blockchain migliorano politiche del lavoro e previdenza, in Il Sole 24 Ore, 17 agosto 2018).
Si tratta, dunque, di un sistema crittografico in grado di veicolare digitalmente valori, dati e informazioni, in massima trasparenza e sicurezza, superando del tutto la necessità dell’intervento di soggetti terzi certificatori.
Un’innovazione disruptive, che si presta a molteplici impieghi, con prospettive applicative senza precedenti; in specie per ciò che concerne la trasmissione e la conservazione di informazioni, come anche per la gestione di processi ad elevata complessità (T. Treu, Blockchain, tecnologia a sostegno delle politiche del lavoro, in Guida lav., 2018, 48, 15).
Ma ciò che richiama l’attenzione del giurista è un dato, in particolare: la non necessarietà di un sistema di regolazione e di un soggetto munito di autorità pubblica, che eserciti una forma di controllo, vigilando sul corretto funzionamento del sistema.
Tale peculiarità richiama così l’attenzione, anzitutto, attorno al valore legale da riconoscere alla tecnologia in questione e, in special modo, alle transazioni che, per mezzo di essa, vengono concluse. Il tema centrale concerne invero il riconoscimento legale della blockchain e, in particolare, dei dati così scambiati e certificati.

Il riconoscimento legale della Blockchain

Nel momento in cui questo contributo viene pubblicato, l’ordinamento giuridico italiano ancora non conosce forme di disciplina specifica del fenomeno in questione, sebbene si ragioni insistentemente attorno ad interventi che inizino ad inquadrare normativamente la fattispecie.
In quest’ottica, si consideri l’attivazione da parte del Ministero dello Sviluppo Economico di due gruppi di esperti, chiamati ad elaborare quella che sarà la strategia nazionale sull’intelligenza artificiale e sulle tecnologie basate su registri condivisi e blockchain.
Durante il primo incontro del gruppo di esperti sulla blockchain, tenutosi il 21 Gennaio 2019, sono state esplorate, da un lato, le iniziative europee sulla tematica in questione e, dall’altro, i possibili elementi di confronto da considerare, ai fini della definizione della strategia.
A ben vedere, a tale iniziativa governativa, se ne affianca un’altra, promossa sul versante parlamentare.
È notizia di qualche giorno fa, infatti, che le Commissioni Affari Costituzionali e Lavori Pubblici del Senato hanno approvato un emendamento al decreto semplificazioni, recante la prima forma embrionale di regolamentazione della blockchain nell’ordinamento giuridico italiano (A. Longo, Valore legale della blockchain e smart contract: primo via libera al Senato, in Il Sole 24 Ore, 23 Gennaio 2019).
La disposizione in parola presenta un indiscutibile profilo di interesse, in ragione di ciò che essa, prendendo in considerazione le «tecnologie basate su registri distribuiti come la Blockchain», fornisce per la prima volta un inquadramento definitorio dell’ancora sfuggente e recondita categoria dei cc.dd. “smart contracts”.
Smart Contract intesi come «“traduzione” o “trasposizione” in codice di un contratto», capace di «verificare in automatico l’avverarsi di determinate condizioni (controllo di dati di base del contratto) e di auto-eseguire in automatico azioni (o dare disposizione affinché si possano eseguire determinate azioni) nel momento in cui le condizioni determinate tra le parti sono raggiunte e verificate» (M. Bellini, Blockchain Smart Contracts: che cosa sono, come funzionano, quali sono gli ambiti applicativi, 28 Dicembre 2018).
Ebbene, considerata da un punto di vista giuridico, la blockchain ha invero da sempre posto una questione ermeneutica attorno alla possibilità di attribuire valore giuridico alle transazioni effettuate, attraverso il ricorso alla tecnologia in parola.
L’intervento normativo sul quale si sta discutendo in Parlamento andrebbe così ad attribuire ad uno smart contract, in quanto tale eseguibile in automatico, il valore giuridico di un contratto “normale”.
La disposizione è ancora lontana dalla sua entrata in vigore, essendo l’iter legis lungi dall’essere completato. Ad ogni buon conto, non v’è dubbio alcuno che, un intervento normativo dell’utilizzo della blockchain risulti più che necessario, a fronte dei molteplici utilizzi che tale tecnologia sta nel frattempo sperimentando, per così dire in absentia legis.

Blockchain e lavoro

Nel frattempo, in ambito lavoristico, pare imprescindibile prendere le mosse proprio da un’attenta considerazione dello stato dell’arte della dimensione applicativa della blockchain, al fine di ragionare consapevolmente attorno al possibile utilizzo che la stessa può conoscere, ai fini della migliore gestione delle politiche attive del lavoro.
Ebbene, in tale contesto, un utile contributo è offerto (anzitutto in ottica di benchmarking) da autorevole dottrina, nell’ambito della ricerca CNEL – Università degli Studi Roma Tre, focalizzata in special modo attorno all’impiego della trustless technology nel match making domanda/offerta di lavoro (S. Ciucciovino – M. Faioli, Blockchain e politiche del lavoro, in Quaderni CNEL, 2018, 1).
Per le sue specificità la blockchain ben si presta ad apportare un contributo prezioso alla realizzazione di un sistema efficace di politiche del lavoro, che permetta il dialogo tra banche-dati, allo stato non comunicanti.
Attraverso l’utilizzo della tecnologia in esame sarebbe infatti possibile selezionare le informazioni utili ai fini della migliore gestione della sicura “profilazione” dei soggetti coinvolti nell’ambito del mercato del lavoro.
Ecco dunque che, sorretta da un idoneo apparato normativo – com’è auspicabile che si arriverà ad avere in tempi brevi, anche grazie all’apporto del gruppo di esperti all’UOPO istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico – la blockchain ben si presta a rappresentare quello «strumento generale e privilegiato di tutti gli attori del mercato del lavoro», capace di rappresentare un fattore di innovazione, capace di colmare lo strutturale gap di efficienza dei centri per l’impiego e, più in generale, di migliorare il sistema di gestione delle politiche attive del lavoro (T. Treu, Blockchain, tecnologia a sostegno delle politiche del lavoro, in Guida lav., 2018, 48, 16).

Avv. Stefano Bini, Ph.D.
Assegnista di ricerca in Diritto del lavoro
Università LUISS Guido Carli di Roma
[email protected]

 

La blockchain per il lavoro. Work in progress

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