Qual è il vero “valore” di Bitcoin?
Qual è il valore di bitcoin e perché gli viene attribuito? Proviamo a capire da dove deriva e i due motivi proncipali per cui questa criptovaluta vale.
Quanto vale Bitcoin e perché gli viene attribuito un valore?
Quante volte negli ultimi anni abbiamo sentito o letto domande del genere sulla più famosa criptovaluta del mondo? Questo tema è stato affrontato moltissime volte sia da chi prova a spiegare e giustificare l’incredibile e costante incremento della quotazione di mercato (nel momento in cui scrivo intorno ai 50 mila dollari), sia da chi nel tempo ha sempre denigrato o provato a mettere in guardia dal Bitcoin sostenendo che potesse essere uno schema Ponzi, “una trappola per topi” o una perenne bolla speculativa.
Senza farne una crociata ideologica, ma piuttosto approcciando la questione da un punto di vista tecnico, proviamo a capire da dove deriva il “valore” di Bitcoin.
Valore del Bitcoin: da dove deriva?
Un aspetto riguarda sicuramente la questione della scarsità di Bitcoin, che ho già affrontato in questo articolo 2020 = Halving! Bitcoin si dimezza di circa un anno fa, poco prima del terzo halving.
L’altro aspetto, è strettamente collegato al motivo per cui è nato Bitcoin. Pochi mesi dopo il fallimento di Lehman Brothers, infatti, venne pubblicato il paper dove veniva illustrato il funzionamento della Blockchain di Bitcoin: un sistema di pagamento digitale protetto da crittografia che avrebbe permesso transazioni di valore in rete senza la necessità di intermediari e senza rischio di duplicazione della spesa. La risposta di uno o di una comunità di sviluppatori a quello che ritenevano essere la causa principale della crisi del 2008, ovvero l’operato degli intermediari finanziari e di conseguenza il fallimento della fiducia verso gli stessi.
Per fare a meno di qualsiasi intermediario Satoshi Nakamoto (l’ormai famoso pseudonimo del creatore, o dei creatori di Bitcoin) mette in piedi un sistema complesso unendo diverse tecnologie già esistenti, creando una soluzione geniale per risolvere il problema del consenso in un sistema distribuito.
Il problema del consenso e la metafora dei Generali Bizantini
Per progettare un sistema di moneta decentralizzata bisognava innanzitutto utilizzare un’architettura di base, la blockchain, un registro digitale formato da un network di computer (nodi). In un sistema informatico distribuito, però, i nodi del network devono raggiungere il consenso per concordare su una decisione, e questo deve accadere anche se alcuni nodi falliscono o si comportano in modo disonesto.
Il consenso, infatti, è uno dei problemi fondamentali per i sistemi distribuiti che devono garantire un elevato standard di affidabilità. Nel 1982 gli informatici Leslie Lamport, Marshall Pease e Robert Shostak teorizzarono il problema del consenso distribuito utilizzando una metafora, quella dei Generali Bizantini.
Supponiamo di avere un certo numero di divisioni dell’esercito Bizantino che circondano la città nemica e ciascuna di queste è capeggiata da un Generale. I Generali devono mettersi d’accordo per prendere una decisione: attaccare o ritirarsi. Tuttavia alcuni di loro potrebbero essere dei traditori e provare a impedire che si raggiunga una decisione comune, qualsiasi essa sia.
I Generali possono inviarsi informazioni tramite messaggi (come i nodi di un network) e un Generale traditore o corrotto può inviare informazioni differenti o false.
Un algoritmo di consenso distribuito deve garantire che tutti i Generali leali decidano lo stesso piano d’azione e che tale piano venga eseguito in maniera coordinata, e allo stesso tempo che il piccolo numero di Generali traditori non porti i Generali leali ad accordarsi su un piano d’azione sbagliato.
A conclusione dei loro studi Leslie Lamport, Marshall Pease e Robert Shostak dimostrarono che non esiste una soluzione al problema nel caso il numero dei processi non corretti fosse maggiore o uguale a un terzo del numero totale dei processi.
La soluzione di Bitcoin
Come fare in modo che un processo decisionale venga eseguito in modo sincronizzato e che tutti i nodi della rete siano concordi e condividano ogni messaggio, anche se alcuni nodi dovessero inviare informazioni errate?
Nella soluzione di Bitcoin sul consenso distribuito, Nakamoto mette insieme diverse tecnologie già esistenti, ma la vera svolta è la combinazione di crittografia asimmetrica e algoritmo di Proof-of-Work (PoW). La “prova di lavoro” che ogni nodo della blockchain di Bitcoin è chiamato ad eseguire per risolvere un problema crittografico: due nodi possono ad esempio eseguire la stessa operazione (e dunque potenzialmente duplicare una spesa), ma solamente un blocco di operazioni verrà aggiunto alla catena, il primo che ha risolto il problema crittografico, a cui tutti dovranno adeguarsi. In questo modo non potranno esserci sulla blockchain operazioni doppie o differenti riguardo la stessa transazione.
Questo sistema comporta ovviamente un tempo necessario perché il network processi le operazioni e un notevole consumo di energia per permettere ai computer di elaborare e risolvere le operazioni crittografiche, quello che viene chiamato processo di mining.
Inoltre, a 12 anni dalla nascita, date le dimensioni e il valore raggiunto, la blockchain di Bitcoin è considerata la più affidabile e sicura poiché è più remota la possibilità che questa possa subire degli attacchi da una minoranza di nodi corrotta.
Potenziali attacchi risulterebbero ormai antieconomici in quanto per un nodo conviene competere in modo leale per minare nuovi blocchi e ricevere nuova criptovaluta come ricompensa per il lavoro svolto.
Credit
- Photo by Ewan Kennedy on Unsplash
- https://cryptonomist.ch/
- https://academy.binance.com/it/
- https://it.wikipedia.org/
Qual è il vero “valore” di Bitcoin?