Rebranding: le 7 situazioni in cui è indispensabile farlo
Quando fare rebranding? In questo articolo mappiamo le 7 situazioni in cui è davvero necessario.
7 situazioni, ognuna delle quali riflette una condizione in cui è necessario intervenire sull'immagine di un brand. Quando fare rebranding?
In una precedente pubblicazione – una guida pratica sul rebranding – abbiamo spiegato cos’è questo processo strategico di marketing e abbiamo introdotto i passaggi chiave necessari a portarlo avanti in maniera efficace. In questo articolo, invece, ci concentreremo sula mappatura di tutte quelle situazioni in cui per un’azienda è indispensabile avviare un percorso di ripensamento della propria identità e immagine di brand.
Infatti, anche se alcuni CMO e, più in generale, marketer potrebbero cadere nella tentazione di fare rebranding per puro esercizio di stile o per inseguire la chimera della “novità”, in realtà, considerando il tempo e le risorse che è necessario investire in questo tipo di progetto, è fondamentale avviarlo solo quando si è strettamente convinti della sua rilevanza a livello strategico per l’azienda nel suo insieme.
Di qui la domanda: quando è davvero necessario fare rebranding?
Sono diverse le circostanze in cui un’operazione di rebranding è non semplicemente consigliata, ma addirittura indispensabile per dare nuova vita al brand. Di seguito, analizziamo insieme le principali.
L’azienda fa il suo ingresso in nuovi mercati e/o aree di business
Quando un’azienda mette piede in un nuovo mercato, spesso può godere dell’effetto positivo che la forza e l’heritage del proprio brand esercitano sul nuovo target di riferimento. Infatti, quando un brand gode di un posizionamento forte nel proprio mercato di origine, può ottenere più facilmente e velocemente la fiducia del nuovo mercato o settore di ingresso, beneficiando di un effetto che potremmo definire di “luce riflessa”.
Tuttavia, dove invece, l’azienda dovesse fare il suo ingresso in un mercato molto lontano da quello precedente, la sua immagine originaria potrebbe non essere percepita come un valore aggiunto, oppure potrebbe non risultare in linea con il nuovo target di riferimento.
In questi casi, dunque, l’unica soluzione è ripensare la strategia di branding, valutando eventualmente la creazione di umbrella brand.
L’azienda deve interfacciarsi con un pubblico differente
Se nel punto precedente il rebranding è la risultanza di un’azione strategica proattiva dell’azienda, in questo caso, invece, un nuovo brand è un’esigenza quasi fisiologica che interviene quando cambiano le caratteristiche socio-culturali e demografiche del pubblico di riferimento. Un brand è sempre la sintesi di significati più o meno espliciti in cui l’audience deve potersi identificare e riconoscere, e, dunque, è naturale che si evolva di pari passo con le persone con cui interloquisce.
Sappiamo che ogni generazione è caratterizzata da specifici valori chiave che sono anche intrinsecamente connessi con il contesto storico di riferimento. Pertanto, l’azienda deve riuscire a far evolvere il brand allo stesso ritmo del proprio pubblico, praticando eventualmente dei restyling periodici che non impattino sugli elementi chiave del brand, ma ne garantiscano una certa “freschezza” e modernità di tipo stilistico.
Si fa rebranding perché i trend di comunicazione sono mutati
Non solo le persone: a mutare sono anche i trend stilistici e di comunicazione. Come nella moda, anche nel mondo del graphic design (seppure, per fortuna, con minore frequenza) si avvicendano orientamenti stilistici differenti che determinano cosa funziona e cosa no.
Le nuove tendenze possono essere molto diverse da quelle in voga nel periodo in cui è stata disegnata e sviluppata la brand identity di un’azienda, rendendo necessario – o, quantomeno, fortemente consigliato – procedere alla rivisitazione dell’identità visiva.
L’azienda ha avviato processi di fusione o acquisizione con altre organizzazioni
Questa casistica si intreccia, in alcuni casi, anche con quella relativa all’ingresso dell’azienda in nuovi mercati (vedi punto 1).
In ogni caso, quandanche la fusione/acquisizione non dovesse determinare l’espansione in nuove aree di business, questo tipo di processi richiede comunque nella maggior parte dei casi di operare un rebranding che possa accogliere e rappresentare adeguatamente il vissuto, i valori e l’immagine delle altre organizzazioni che si uniscono all’organismo principale.
Si fa rebranding quando la startup ha iniziato la fase di scale-up
Come abbiamo raccontato in un precedente articolo, quando una startup cresce e inizia la fase di scale-up,deve riuscire a rappresentare questa evoluzione anche nella propria strategia di comunicazione, a partire dal brand.
Quando viene creata una startup, spesso non ci sono tempo, risorse o competenze sufficienti per lavorare adeguatamente al branding e alla strategia di comunicazione o, comunque, può capitare che il brand inizialmente elaborato non sia idoneo a rappresentare l’azienda nelle successive fasi di crescita ed espansione.
Seedble ne è un esempio lampante: nata come startup attiva nel campo della business acceleration, si è fortemente evoluta nel tempo, sia in termini di aree di attività presidiate (oggi, la business acceleration è solo una piccola parte di una più ampia offerta di servizi di innovazione), sia in termini di mission e obiettivi. Man mano che la startup cresceva e lasciava posto alla scale-up, cresceva internamente la sensazione che il precedente brand, non fosse più in grado di rappresentarla. Così, abbiamo raccolto input, idee e percezioni del team su come dovesse essere “la nuova Seedble” e poi sistematizzato tutti questi insight per avviare il rebranding e ripensare tutta la nostra strategia di comunicazione.
I competitor impongono un cambiamento
Si sa: nessuna azienda è un’isola e tutto ciò che succede sul mercato la influenza e impatta in maniera più o meno importante. È così anche nel campo del branding: se uno o più competitor opera trasformazioni o propone innovazioni che hanno il potenziale di generare un forte impatto sul mercato, l’azienda non può rimanere inerte e deve recepire – e, anzi, prevenire, se possibile – i nuovi trend che si innescheranno in risposta alle “mosse” dei propri rivali.
Se necessario, questo può significare intervenire anche a livello di brand identity o image.
L’azienda ha una cattiva reputazione
Se si lavora per bene sul fronte del branding, i consumatori percepiranno il brand dell’azienda come più di un semplice marchio: sarà una persona amica, un familiare, un compagno di giochi; insomma, un punto di riferimento a livello emotivo oltre che razionale.
Per questo, se l’azienda inizia a soffrire di cattiva reputazione a seguito, per esempio, di uno scandalo aziendale, non può sperare di riguadagnarsi facilmente l’approvazione e la fiducia delle persone. Infatti, in alcuni casi estremi in cui la crisis communication non basti da sola, diventa necessario avviare un percorso di rebranding per creare una nuova identità visiva che riguadagni all’azienda la percezione positiva dei consumatori.
Quando fare rebranding è d’obbligo per un’azienda
Quelle che abbiamo visto sono le ipotesi principali in cui un’organizzazione attenta al branding e al communication management dovrebbe preoccuparsi di rivedere e ridisegnare il proprio brand.
Per quanto si possa essere affezionati all’identità che ha accompagnato l’azienda negli anni o che l’ha vista nascere (come nel caso delle startup), non bisogna mai dimenticare che un brand è, a tutti gli effetti, un touchpoint di comunicazione che va utilizzato non diversamente da un sito web, un articolo o un post sui social media: quello che conta non è ciò che piace all’azienda, ma ciò che il mercato richiede e desidera.
Rebranding: le 7 situazioni in cui è indispensabile farlo