Smart Working: quando la fine delle certezze ha indicato la strada per il futuro
Perché lavorare in smart working? Interrogativo che prima del covid pochi si sarebbero posti. Oggi è il new normal con tutti i suoi benefici.
Perché lavorare in smart working? Un interrogativo che fino a un anno e mezzo fa quasi nessuno si sarebbe posto; il motivo è principalmente dovuto al fatto che la “normalità” a cui eravamo abituati ci imponeva delle certezze che per tutti noi rappresentavano una stabilità su cui, bene o male, facevamo affidamento. Improvvisamente, però, questa sicurezza è venuta meno, mettendo le persone di fronte a tutta una serie di problematiche totalmente inesplorate.
Il Covid-19 ha spazzato via le nostre certezze e ci ha costretti e ripensare completamente la nostra vita in funzione di tutto ciò che non era assolutamente parte della società: la necessità di mantenere le distanze.
Appare evidente come, già a livello di significato, queste due prospettive siano in contrasto tra loro: da una parte il vivere all’interno di una società, cioè fare parte di un gruppo di persone e dall’altra il distanziamento sociale che è stato imposto proprio per evitare di avvicinarci a queste ultime con cui avevamo avuto rapporti fino al giorno prima. Insomma, in poche parole, dall’oggi al domani, il mondo che conoscevamo è sparito e ci siamo ritrovati tutti proiettati in una nuova dimensione fatta di mascherine, gel igienizzanti e 2 metri di distanza dal nostro vicino.
A fronte di questo è cambiato anche il mondo del lavoro e in piena emergenza sanitaria oltre 6,5 milioni di lavoratori in tutta Italia si sono ritrovati a lavorare in Smart Working. Senza sapere il perché.
Perché siamo stati costretti a lavorare in smart working
È stato chiesto ad aziende e Pubblica Amministrazione di fare una scelta ben precisa: fermare le attività produttive o adeguarsi alle nuove esigenze e ripensare completamente il loro modo di concepire le attività lavorative e la vita di tutti i giorni.
Come tutti sappiamo, l’istinto di sopravvivenza (lavorativa) ci ha spinto tutti verso la seconda delle opzioni e quindi, di colpo, ci siamo ritrovati chiusi in casa davanti a un PC.
Inizialmente è stato il caos: computer non funzionanti, connessioni lente, case sovraffolate con figli in DAD, partner ugualmente in Smart Working e quella mancanza di spazio per muoversi liberamente che hanno messo a dura prova gli equilibri psicofisici delle persone.
Poi la situazione è andata meglio. E a piccoli passi ci siamo abituati, al punto da chiamare questa normalità, il “New Normal” di cui tanto si parla, nato quasi armonicamente dal nostro naturale spirito di adattamento anche a questo momento estremamente complicato.
Oggi al momento in cui scriviamo, a un anno e mezzo dall’inizio della pandemia, lo Smart Working è entrato nella nostra quotidianità e si sta confermando come una realtà destinata a rimanere parte della nostra cultura a prescindere dalle (future) situazioni di crisi.
Smart Working, quali prospettive per il futuro?
I lavoratori
Secondo un sondaggio dell’Osservatorio Smart Working 2020, sembra che nelle aziende e nella Pubblica Amministrazione si stia lavorando per mantenere attive queste modalità di lavoro agile anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria. Insomma, sembra che da una situazione forzata, dettata esclusivamente da una crisi inaspettata, siano nate nuove prospettive per il futuro e, soprattutto, la consapevolezza che fosse possibile concepire e realizzare un modello di occupazione agile ed innovativo.
Intanto nei lavoratori si è innescato un meccanismo mentale che li ha portati ad adattarsi a questo nuovo modello riuscendo quanto più possibile a “ricalcarlo” al proprio stile di vita e alle proprie esigenze tra tempo libero e ore di attività. A conti fatti è stato anche un beneficio per ridurre il contrasto tra lavoro e famiglia, permettendo alle persone di mantenere i propri ritmi produttivi, ma senza sacrificare i rapporti con i propri familiari.
Oltretutto, e non è scontato dirlo, questa nuova modalità di occupazione ha contribuito al graduale abbattimento di tutti quei limiti digitali che interessavano buona parte delle persone nel nostro paese, portandole ad un rinnovato rapporto di fiducia verso la tecnologia e le sue possibilità.
Fino a questo punto sembra che i benefici dello smart working siano stati sostanziali, ma ci sono stati anche dei contro?
Sicuramente il lavoro da casa ha portato molte persone a lavorare più ore. Non è detto che la produttività sia aumentata, ma generalmente si assiste a un incremento importante delle ore passate a lavorare, questo a causa della mancata scansione del tempo secondo le vecchie logiche che, come già detto, includono anche gli spostamenti, e poi chiaramente le ore imposte dal contratto.
In molti casi si assiste alla mancanza di un confine definito tra lavoro e casa, che porta le persone a passare molto più tempo nel loro “nuovo ufficio” piuttosto che a dedicarne alle altre attività; insomma in quest’ottica è sempre bene cercare di scandire quanto più possibili i tempi, come se si dovesse andare in ufficio e si dovessero rispettare le ore come da contratto.
Altra grave problematica riguardante lo Smart Working è il burnout lavorativo che può essere considerato una forma di stress molto frequente soprattutto nelle persone che non riescono a staccarsi dallo schermo, proprio per il fatto di non avere orari imposti dall’ufficio. Ovviamente questa è una questione da non sottovalutare perché potrebbe portare a conseguenze severe per la salute e per la psiche dei lavoratori agili.
Le aziende
Dal canto loro, invece, le aziende si stanno adattando in funzione di queste nuove prospettive, ridisegnando i propri spazi, ripensando le abitudini lavorative dei propri dipendenti e dando vita a nuovi progetti che avranno il lavoro agile come modalità di svolgimento principale.
Dalle statistiche emerge che un’impresa su due ha già in programma di intervenire sugli spazi produttivi anche una volta terminata l’emergenza sanitaria. Si parla di un ripensamento di tali spazi in funzione delle nuove esigenze dei lavoratori.
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Stesso discorso per quanto riguarda le giornate in cui sarà possibile lavorare da remoto che aumenteranno da 1 giorno a settimana a 2,7 giorni. Insomma questa pandemia ha rimesso in discussione anche la struttura delle aziende stesse, portando i dirigenti a rivedere quelli che sono gli obiettivi a lungo termine e soprattutto quelle che saranno le nuove esigenze del domani.
Guardare al futuro vuol dire cercare di mettere in atto un cambiamento alla portata di tutti e qui entrano in gioco dinamiche come l’innovazione tecnologica e la leadership, due elementi fondamentali per la sopravvivenza delle aziende.
Per quanto riguarda l’innovazione, appare evidente, che senza questo fattore non ci sarebbe potuto essere un prima e un dopo la pandemia. È solo grazie alle tecnologia che questa rivoluzione agile è stata possibile ed è per questo che il compito principale di una realtà aziendale dovrà essere quello di essere sempre al passo con i tempi e garantire ai propri dipendenti una formazione adeguata.
Sulla stessa lunghezza d’onda, inoltre, si muoveranno i nuovi modelli di leadership che avranno lo scopo di guidare le persone nelle trasformazioni dei modelli produttivi diventando il punto di equilibrio tra l’azienda e i dipendenti. Bisognerà definire nuovi equilibri e questo perché è cambiato il rapporto tra l’uomo e il concetto stesso di lavoro che è stato in qualche modo “umanizzato” è ridisegnato sulle esigenze delle persone, e non il contrario.
E poi la cosa che non può assolutamente mancare nella creazione dell’azienda del domani è sicuramente il modo di anticipare ed interpretare i cambiamenti. Il Covid è stato la prova tangibile che per sopravvivere c’è bisogno di uno spirito di adattamento non più ancorato a modelli e sicurezze del passato, ma alla continua ricerca di stimoli e alternative in grado di traghettare le aziende verso il futuro.
L’ambiente
Volendo vedere ulteriormente il bicchiere mezzo pieno e trovare un qualche lato positivo all’emergenza sanitaria è che, almeno inizialmente, il principale beneficiario della momentanea assenza dell’uomo dalle strade è stato l’ambiente.
Durante il primo lockdown, con spostamenti e uscite ridotti all’osso sono drasticamente diminuiti i livelli di inquinamento. Senza traffico e senza molte delle attività produttive il pianeta per qualche mese ha potuto tornare a respirare, e si è riappropriato di quegli spazi sottratti dalla mano dell’uomo. Sono tornati animali selvatici fin dentro i centri urbani. La natura ha ripreso il suo posto crescendo rigogliosa laddove il passaggio dell’uomo interrompeva normalmente il suo proliferare. Insomma il mondo è tornato per un momento alla sua giovinezza, con innumerevoli benefici per tutti.
È durato pochissimo, è vero, ma in quei pochi mesi abbiamo assistito a ciò che la natura potrebbe fare se non ci fosse l’uomo a bloccare il suo naturale dominio. In questa prospettiva lo Smart Working è una valida alternativa green, che aiuta a diminuire il traffico, l’inquinamento e il rumore.
Abbiamo visto che bastano dei piccoli gesti, ed è anche questa una delle prospettive su cui deve essere orientato il lavoro del domani: la sostenibilità. In quest’ottica il cambiamento agile di cui abbiamo parlato fino a questo punto potrebbe portare a ulteriori benefici più grandi di quanto possiamo immaginare e il perché lavorare in smart working è ben chiaro.
Smart Working: quando la fine delle certezze ha indicato la strada per il futuro