Perché il Growth non è (solo) marketing?
Cosa distingue il growth hacking dal marketing e perché le aziende ne hanno bisogno? Inoltre, è ancora corretto usare questo termine per definire una strategia di crescita data-driven? Le risposte, leggendo l’articolo.
Il termine growth hacking è stato coniato da Sean Ellis nel 2010. Da allora ne ha parlato più o meno chiunque e un po’ tutti dicono di averlo sperimentato con risultati più o meno buoni.
Ancora oggi, a distanza di oltre 12 anni, la confusione attorno alla materia resta tanta e, come in ogni tema attorno al quale si crea interesse, l’opinione tende a polarizzarsi: da una parte chi pensa che sia la panacea di ogni male e dall’altra chi pensa si tratti di fuffa.
Ma, prima di spiegare perché la disciplina del growth non è assimilabile unicamente al marketing, facciamo un passo indietro e chiariamo le caratteristiche di questa disciplina.
Che cos’è il growth hacking?
Il growth hacking è un approccio multidisciplinare che ha come fine ultimo la crescita di un’azienda e dei suoi prodotti. Per raggiungere questo obiettivo vengono utilizzati dei processi di sperimentazione rapida, ereditati dalla lean methodology, che portano a prendere decisioni unicamente data-driven.
Altro aspetto importantissimo è che, a differenza di un team di marketing tradizionale che si occupa solitamente della parte alta del funnel sales/product – il cosiddetto funnel dei pirati AAARRR (awareness, acquisition, activation, retention, referral, revenue) -, un growth team si occupa di tutti e sei gli step del funnel, utilizzando non un approccio lineare bensì dei framework ciclici chiamati Growth Loops.
È proprio per questo motivo che chi si occupa di growth non si occupa di marketing. Infatti, se è vero che per lavorare sulla parte alta del funnel sono sufficienti competenze verticali sul marketing, lo stesso non si può dire per gli step Activation – Revenue.
Questo perché dalla fase di Activation in poi entra nell’equazione una variabile fondamentale: l’utente.
Il secret ingredient del growth hacking è proprio nascosto nella sua multi disciplinarietà. Un growth hacker, infatti, oltre a utilizzare A/B test, lavorare in sprint e conoscere i diversi canali di marketing, deve avere conoscenze di prodotto, UX/UI e Data Analysis, il tutto finalizzato a poter lavorare sull’intero funnel e rimuovere i colli di bottiglia che si presentano a ogni step.
Se il prodotto che stiamo vendendo ha problemi nella fase di Activation o Retention, per esempio, bisognerà lavorare sul design, e/o sulle feature del prodotto per migliorare l’esperienza utente – sempre tenendo a mente i capisaldi della metodologia growth (sperimentazione rapida e scelte basate sui dati).
Stessa cosa vale per i referral: se gli utenti non si innamorano del nostro prodotto, non lo consiglieranno mai a nessuno. Per cui, se vogliamo aumentare il numero di referral o diminuire il churn rate (tasso di abbandono), dovremmo essere bravi a portare miglioramenti incrementali al prodotto.
Quindi il growth hacker è, sì, un marketer, ma è anche un product manager. O, ancora meglio, potremmo definirlo come un direttore d’orchestra: unisce la melodia del lavoro di chi si occupa di marketing e di chi si occupa di prodotto in un’armonia finalizzata alla crescita come obiettivo supremo.
Vale la pena sottolineare però che azioni come il testare diversi canali e linee comunicative, fare A/B test sulle campagne, ottimizzare le landing page con un approccio data-driven non è strettamente growth, bensì marketing: marketing unito a strategia, certo, ma pur sempre marketing.
Pertanto, va da sé che il marketing “fatto bene” è fondamentale all’interno di una strategia di growth che agisce a 360° interfacciandosi con tutte le aree aziendali.
Perché ogni azienda – digital o no, startup o corporate – dovrebbe avere un team dedicato alla crescita?
Uno dei più grandi problemi nella crescita delle aziende è la creazione di silos operativi per ogni area. In questo modo, i team di prodotto, marketing, sviluppo, R&D e contabilità lavorano ognuno ai propri obiettivi, in modo indipendente e senza comunicare tra loro.
Questo approccio, seppur molto diffuso, alla lunga porta a un disallineamento delle diverse aree aziendali dagli obiettivi di crescita, che possono essere raggiunti solo grazie a un’azione corale di tutti gli stakeholder interni.
Inoltre, lavorare in silos fa sì che l’innovazione non agisca trasversalmente sulle diverse aree aziendali e quind iche il processo di crescita rallenti.
Per questo motivo avere una figura, o ancora meglio, un team verticalmente dedicato alla crescita, in grado di disegnare dei framework di collaborazione tra i diversi reparti aziendali, risulta fondamentale per avviare un processo di crescita esponenziale e rimuovere i diversi colli di bottiglia che si presentano nel lifecycle dell’azienda.
Non me ne vogliano i marketer, ma avere competenze full-stack sul marketing, effettuare A/B test e il data-driven decision-making non è fare growth hacking; è fare marketing, come andrebbe fatto.
Le aziende dovrebbero liberarsi dei dogmi delle diverse discipline e concentrarsi sulla crescita attraverso un approccio olistico e data driven. Come? Grazie al supporto di team dedicati alla crescita, growth team (togliendo la parola hacker, se non vi piace).
Risorse utili se vuoi approfondire il tema:
- Qui puoi trovare più di 50 case study internazionali di aziende che utilizzano quotidianamente la metodologia growth
- Se vuoi approfondire meglio cosa succede in Italia e alcuni casi studio, ti consiglio di seguire i podcast di Luca Mastella (CEO & CoFounder di Learnn), Raffaele Gaito e il canale YouTube di Matteo Aliotta.
Perché il Growth non è (solo) marketing?