Le grandi dimissioni o le grandi semplificazioni?
Si parla molto delle grandi dimissioni, il fenomeno è in crescita anche nel nostro Paese. Si riflette su esigenze e aspettative cambiate.
Mi sembra di sentire queste voci scorrendo le bacheche dei social nell’ultimo periodo; non si fa altro che parlare delle sempre più diffuse grandi dimissioni. Dagli articoli con i numeri che dimostrano il fenomeno in crescita anche nel nostro Paese, alle ironiche provocazioni, in molti stiamo riflettendo sulle esigenze e sulle aspettative cambiate.
“Basta. Non posso vivere per lavorare, ci sono tante cose che ancora non ho fatto nella vita”. “Mi manca il senso di tutto questo lavorare!”. “Perché devo buttare ore nel traffico o su un autobus, quando posso ottimizzare il tempo e fare un lavoro per obiettivi?”.
“Chi mi ha convinto che la realizzazione è chiudermi in un ufficio e dimostrare a tutti che mi sacrifico fino a tardi?”. “Era questa la vita che volevo?”. “Ma posso buttare la salute dietro a questo capo con cui non riesco proprio ad esprimermi e a realizzarmi?”.
“Cosa sento nella pancia pensando ai miei veri bisogni?”. “È il momento del coraggio vero, non a parole; investo in un progetto tutto mio e punto sulla mia felicità!”. “Il benessere mio e dei miei cari è la mia priorità!”. “Quanto mi sta dando l’organizzazione per rinunciare a tutto questo?”
“Si vive una volta sola…”.
La rivoluzione nelle aspettative dei lavoratori
Si è abbassata la tolleranza grazie alla libertà interiore riscoperta – come ha ben scritto Marco Bentivogli, Segretario Generale della Fim Cisl per la Repubblica (“Le grandi dimissioni”).
“Per la prima volta in modo chiaro il tema della felicità irrompe nel mondo del lavoro.” Questo ce lo ha ricordato anche Paolo Iacci (Presidente di ECA Italia, Professore a contratto all’Università LIUC di Castellanza e Presidente Nazionale di AIDP Promotion – Associazione Italiana per la Direzione del Personale) facendoci riflettere sulla rivoluzione antropologica in corso, ancora poco chiara per chi indossa un paio di occhiali non più adatti a leggere lo scenario letteralmente stravolto dalla pandemia.
Se c’è stato un grande cambiamento, non c’è strumento, processo o attività che non richieda di essere messo in discussione perché se funzionava prima, può non rispondere efficacemente ai nuovi trend e ai rinnovati, e sempre più esternati, bisogni delle persone.
Sostanzialmente, non c’è Organizzazione che non abbia quindi bisogno di ripartire da un’approfondita messa in discussione dell’Employee Experience.
Per la prima volta in modo chiaro il tema della felicità irrompe nel mondo del lavoro.
Paolo Iacci
In una prima fase dell’emergenza abbiamo semplificato il discorso parlando di un sentito bisogno di gentilezza e soprattutto di empatia diffusa dei capi. Ma adesso ci stiamo rendendo conto che, per molte persone, è il significato del lavoro in discussione: sempre meno mezzo di realizzazione, soprattutto se poco attento alle vere necessità del singolo.
Sta venendo meno, in molti casi, la fiducia, quell’elemento che Patrick Lencioni – studioso di Team performance -, nel suo libro “La Guerra nel Team”, mette alla base della piramide della collaborazione nei team. L’assenza di fiducia, come da lui sostenuto, deriva principalmente dall’indisponibilità a essere vulnerabili nel contesto di gruppo, dal non sentirsi sicuri e dal far prevalere una maggiore propensione a proteggersi.
C’è in atto una rivoluzione nelle aspettative dei lavoratori: ma le organizzazioni lo stanno comprendendo?
Le organizzazioni devono imparare a “buttare giù il muro per non avere casa vuota“
“The Great Resignation” – termine usato da Anthony Klotz, professore di Management alla Mays Business School del Texas – è un chiaro segnale che possiamo fare di meglio, ci ricorda Derek Thompson nell’articolo “The Great Resignation Is Accelerating”.
Il burnout non è causato solo dalla quantità, ma anche dalla qualità del lavoro che ci impegna.
“Sono 484 mila le dimissioni registrate tra aprile e giugno 2021, l’incremento rispetto al trimestre precedente è del 37%. Una crescita che raggiunge l’85% se si fa il paragone con il secondo trimestre del 2020. Del 10% se si guarda al 2019”. Questo è stato riportato da Silvia Renda, su Huffpost, nell’articolo “Mi licenzio, basta compromessi. È l’anno delle dimissioni”.
Eppure, riprendendo un pensiero di Fabio Salvi (HR Manager): “Tutta questa energia di gente che canta dai balconi, l’opportunità dei vari cigni neri, mi sembra evaporata per lasciare spazio a una certa aria di restaurazione. Il “new normal” mi sembra il francamente dimenticabile “old normal” con una mano di bianco e qualche parolina carina per infiocchettarlo… Alle aziende serve buttare giù il muro. O, per restare nella metafora, la casa rischia di restare vuota.”
Riflessione arricchita da Silvia Basiglio (Psicologa del lavoro, Consulente HR, Executive Search) con cui ci siamo chieste: “Lavoro, carriera e successo. Sono ancora parole affini o possono viaggiare disgiunte? È possibile disegnare percorsi di crescita professionale che integrino l’autenticità dei singoli con i driver di business? Credo sia una sfida urgente per le organizzazioni, ora.”
La riflessione di Luca Solari
Approfondendo il tema, il Professor Luca Solari (Università degli Studi di Milano e Fondatore di OrgTech) ci ha recentemente ricordato che il tema della gestione della libertà non è nuovo. Già nel 2017, nell’edizione originale in inglese di Freedom Management aveva sollevato la necessità di re-immaginare l’organizzazione a partire dalla libertà di ogni persona.
A lui ho chiesto un piccolo contributo sul tema delle grandi dimissioni e mi ha risposto:
“Ci sono due aspetti importanti, secondo me:
- Il riconoscimento del fatto che abbiamo vissuto quasi tutti un’interruzione del flusso naturale degli accadimenti delle nostre vite. Le persone hanno, quindi, ridefinito il loro concetto di equilibrio tra contributi ed incentivi. Si sono rese conto che c’erano situazioni strutturali nelle quali in realtà finivano per ottenere meno dal lavoro di quanto ci mettessero (questo è tipico, ad esempio, del South Working o in generale delle scelte di traslocare in luoghi diversi dalle città)
- Il desiderio. Le persone hanno avuto il tempo per riflettere su ciò che veramente volevano o che vogliono. E questo le ha portate a decisioni differenti.
Se queste riflessioni in fondo sono abbastanza chiare e credo condivisibili e forniscono alcune motivazioni di quanto sta accadendo, c’è un aspetto che mi preoccupa: se ne sta parlando ma, come sempre, non ci sono metriche chiare… Temo possa trattarsi di un fenomeno ad onda che si propaga per il quale le persone che se ne vanno in qualche modo possono influenzare altri colleghi e produrre nuove ondate. Se così fosse chi ha dei sensori dovrebbe vedere la curva del turnover modificarsi progressivamente, e quindi potrebbe anticipare il fenomeno e la sua evoluzione.
Le Organizzazioni dovrebbero cercare degli strumenti facili, che consentano di capire, di prevedere, cosa sta accadendo e così rimediare. Quindi sviluppare dei Contingency Plan. E tutto questo riguarda la Remediation.
Al contempo, c’è il tema legato a come fare ad utilizzare quello che sta accadendo per migliorare le organizzazioni. Quindi una prospettiva di Re-Imagination, re-immaginare, ripensare cosa fare nelle organizzazioni ripartendo dalle esigenze delle persone con dei gradi maggiori di libertà, con dei processi in grado di dare alle persone, in modo più chiaro, equilibri differenti, con la messa in discussione di una serie di pretese che sono abbastanza evidenti oggi. Ad esempio il rientro governato su principi astratti, che non fa altro che rafforzare l’autorità”.
Il sondaggio su LinkedIn
Io ho provato a chiedere alla mia rete cosa si ritiene più importante nel quotidiano. A prevalere nettamente sono stati il Work Life Balance e la flessibilità, seguite dalla personalizzazione del lavoro agile.
Al di là del veloce sondaggio che sottolinea l’importante tema di ribilanciamento, credo che – come già sostenuto – ci sia bisogno di un grande lavoro di ridisegno, di una terza via che non tralasci il buono del vecchio e che mantenga il positivo delle novità. Per farlo serve coinvolgere le persone, con le loro esperienze. Ancora una volta torna centrale il tema del Welfare perché, come ricordato dall’esperto Luca Furfaro, “ascoltare è la prima forma di Welfare”.
Conclusione: siamo molto lontani dalla semplificazione e riorganizzazione?
In sintesi, dimissioni o meno, c’è molto da fare e siamo davvero lontani dal tempo della semplificazione. Limitare la riflessione alla scelta di due o tre giorni da remoto o nel radicale rientro cinque giorni su cinque, vuol dire scegliere di non vedere.
Sono davvero urgenti i temi di riorganizzazione, non banalizzabili con vecchie e confortevoli formule.
Se era vero quello che dicevamo, ossia che i professionisti delle Risorse Umane erano centrali nella Digital Transformation per trovare un giusto equilibrio, ponendosi come partner nel business valorizzando il lavoro umano e diffondendo il mindset per affrontare la trasformazione, oggi questo è ancora più vero e importante.
Sono gli HR ad avere il compito di garantire un contesto rispondente alle nuove esigenze. Che siano luoghi rivisti, o differenti forme di welfare, l’importante è che siano risposte basate sul dialogo con le Persone. Bisogna capire, prevedere e re-immaginare, come affermato da Solari. E lo devono fare tutte le imprese perché la “War for Talent” sarà sicuramente ancora più ardua: in questo scenario chi aveva possibilità di scelta, ne ha ancora di più.
Provate a parlare con gli Head-hunter… E poi oggi c’è un più potente competitor: il grande desiderio di vita e di libertà.
Le grandi dimissioni o le grandi semplificazioni?