Big Data usati come armi: Allarmati gli esperti
I Dati rischiano di diventare un arma se venduti alle persone sbagliate, quelle in grado di aggregarli ed eludere la privacy gravemente.
Le quantità di dati personali raccolte e vendute dalle grandi compagnie, ma in realtà da praticamente tutte le applicazioni, possono essere effettivamente usati come arma.
È uno scenario fantascientifico che probabilmente è stato proposto infinite volte in passato, ma che oggi come mai è più vicino alla realtà.
Lo affermano diversi esperti al Washington Post dopo il caso del vescovo americano Jeffrey Burrill, costretto a dimettersi dopo che un giornale ha scoperto, sulla base di dati teoricamente anonimi di una app, la frequentazione di alcuni bar gay.
Aggregare dati, trarre insight, questo è il futuro
È uno dei primissimi casi che una entità giornalistica tracci i dati e con un inchiesta utilizzi gli stessi come arma contro qualcuno.
Questo genere di minaccia è quello che viene descritto da anni come uno dei gravi danni alla privacy incubato dagli sviluppi della tecnologia digitale.
Le app raccolgono dati come età, sesso, spostamenti dedotti dal Gps o abitudini nell’uso del browser, che poi vengono venduti a terze parti che li usano per messaggi commerciali mirati, indagini di mercato o ricerche.
Dati teoricamente anonimi, ma che grazie a sistemi di machine learning, potrebbero essere ricondotti a persone fisiche con molto poco sforzo.
Ed è una minaccia da evitare a tutti i costi.
Bastano quattro dei dati che generalmente vengono forniti alle applicazioni che non siano nome e cognome per identificare con certezza quasi biunivoca una persona.
Quello che è peggio è che i consumatori non hanno strumenti per difendersi e rischiano di essere danneggiati in maniere molto serie e a loro ignare.
È assolutamente necessario da parte delle legislazioni attivarsi per far si che questa pratica venga arginata prima che faccia davvero del male a qualcuno.
Big Data usati come armi: Allarmati gli esperti