Dopo il ban a Google Analytics, cosa ne sarà del Digital Marketing?
L’Autorità italiana per la privacy ha stabilito che il trasferimento dati sui server americani di Google Analytics è illegittimo: è l’inizio di un effetto domino che sconvolgerà il digital marketing?
Con il ban a Google Analytics, c’è la seria possibilità che i siti web italiani non potranno più utilizzare Google Analytics, in quanto non conforme alle normative europee sulla privacy.
A stabilirlo è un’istruttoria del Garante della privacy del 23 giugno scorso, che ha diffidato, a seguito di una segnalazione, il sito Caffeina Magazine, il primo sito italiano colpito.
Non sappiamo ancora se il ban sarà definitivo o se USA e UE riusciranno a trovare un accordo nel breve periodo. Quello che sappiamo, però, è che la decisione del Garante non è stata un fulmine a ciel sereno. Anzi, il cambio di rotta era nell’aria.
Il 26 luglio del 2020, l’European Data Protection Board (EDPB) aveva invalidato il Privacy Shield: l’accordo sottoscritto tra Stati Uniti e Unione Europea che regolamentava il trasferimento dei dati dall’Unione all’America.
Secondo l’Assemblea, il trattamento dei dati personali degli utenti negli Stati Uniti non garantisce le tutele stabilite dai regolamenti europei. È la sentenza Schrems II.
C’è voluto un po’ di tempo, però, prima che i diversi stati recepissero le indicazioni dell’EDPB. I primi ad aver declinato le raccomandazioni sono stati i francesi della Commission nationale de l’informatique et des libertés (CNIL), seguiti dall’omologa agenzia austriaca. E il 23 giugno anche l’Italia si è uniformata.
Eppure, Stati Uniti e Unione Europea si sono incontrati nel marzo scorso. Ne è uscita una dichiarazione di intenti per cercare di trovare regole uniformi nei due mercati in materia di trattamento dei dati personali.
L’incontro tra Joe Biden e Ursula Von der Leyen, però, ha portato solo una stretta di mano e una dichiarazione di intenti. Troppo poco, senza una reale normativa a supporto.
Ban a Google Analytics: c’è un problema di privacy negli Stati Uniti
Il nodo centrale della questione è il trasferimento dei dati dai Paesi dall’Unione Europea ai server di Google Analytics, collocati negli Stati Uniti, dove le regole sulla privacy sono meno rigide che in Europa.
Più nel dettaglio, la disputa riguarda il modo in cui questi dati vengono trattati. Stando a quanto riportato dallo stesso Garante della Privacy italiano, le maglie della legge americana sono decisamente più larghe rispetto a quelle del vecchio continente e ciò entrerebbe in aperto conflitto con le normative europee.
Google Analytics, come sappiamo, raccoglie una vastità di dati che comprende anche indirizzi IP, tempi di navigazione, referral, dispositivi e browser utilizzati.
Poiché i sistemi di intelligence statunitensi e le agenzie governative hanno libero accesso a questi dati in modo più immediato e meno regolamentato rispetto all’Europa, ciò rappresenta una minaccia per la tutela della privacy dei cittadini comunitari.
In sostanza, c’è una crepa legislativa tra i due sistemi di protezione dei dati personali. Una differenza di leggi che, secondo il Garante, non tutela gli utenti.
“I cittadini europei, in caso di violazioni, non possono appoggiarsi a un’autorità garante della privacy che possa offrire loro tutela. Google Analytics, come un sacco di altri servizi americani, presuppone un trasferimento di dati dall’Europa agli Stati Uniti, dati potenzialmente utili a identificare gli utenti”, ha dichiarato Guido Scorza, componente del Garante della Privacy, in una sua recente intervista.
Ban a Google Analytics, cosa cambia?
I gestori di siti che utilizzano Google Analytics hanno 90 giorni di tempo per adattarsi. Ma in che modo? La soluzione più rapida è cambiare sistema di rilevazione ed elaborazione dati.
Per andare sul sicuro, i webmaster dovrebbero scegliere servizi che elaborano le analitiche su server europei, siano essi in cloud o fisicamente installati sui server aziendali o del fornitore.
Sulla carta, i gestori dei siti possono provare a rendere a norma la raccolta dati tramite Google Analytics.
Una strada percorribile solamente dal punto di vista teorico, però, in quanto le configurazioni di GA sono scarsamente personalizzabili: il codice non è open source e gli sviluppatori non possono intervenire direttamente a monte per scegliere quali dati trattare.
Insomma, è materia per consulenti legali, DPO e sviluppatori e non per developer e marketer. Come, del resto, ha confermato lo stesso Scorza: “In teoria, può esistere un modo per usare in maniera conforme Google Analytics, ma in pratica è legittimo dubitarne. Capire su quale sponda ci troviamo è compito dei titolari del trattamento”.
Infine, c’è la terza soluzione: incrociare le dita e aspettare. Attualmente, neanche Google Analytics 4 sembrerebbe essere a norma, non occultando del tutto gli IP degli utenti.
Quello che sperano molti marketer europei, dunque, è che Google presto rilasci una versione della piattaforma conforme, o che USA e UE si siedano nuovamente intorno a un tavolo e trovino un accordo, questa volta concreto.
Nella migliore delle ipotesi, potremmo interpretare le decisioni delle autorità garanti europee come una sorta di attività di lobbying affinché la soluzione venga risolta politicamente.
Le alternative legali dopo il ban di Google Analytics
Allo stato attuale, tutti si chiedono se anche altri tool americani saranno coinvolti. Il tema della raccolta dati non riguarda solo Google Analytics, infatti.
La discriminante, in questo contesto, è proprio il trasferimento dei dati degli utenti dall’Europa agli Stati Uniti. Più che una questione di digital marketing, infatti, sembrerebbe un vero e proprio scontro geopolitico.
Nell’istruttoria del Garante della Privacy sono presenti campanelli d’allarme per tutte le piattaforme con base negli States, che raccolgano ed elaborino i dati degli utenti: Meta, Mailchimp e tanti altri.
Tuttavia, al momento l’unico servizio citato è proprio quello di Mountain View, il che non fa che generare ulteriore confusione e maggiore incertezza.
Ban a Google Analytics: come misurare ancora il traffico web?
L’unica alternativa è trovare soluzioni diverse, preferibilmente non basate sull’utilizzo dei cookies e assicurarsi che il fornitore abbia sede in un paese membro dell’Unione Europea. Ci sentiamo di consigliarne 3.
- Simple Analytics: raccoglie dati in modo cifrato affinché nessuna applicazione di terze parti possa sfruttarli. I server di raccolta sono situati in Europa;
- Plausible Analytics: open source e conforme al GDPR, elabora i dati su un’infrastruttura cloud europea e non permette che vengano utilizzati da aziende di terze parti;
- Matomo: probabilmente l’alternativa più completa a Google Analytics. Il codice è open source e prevede la raccolta dati su un server di proprietà dell’utente che lo utilizza o, in alternativa, su un servizio cloud a pagamento. È l’infrastruttura usata da Web Analytics Italia, il sistema di raccolta dati indicato da Agid per le pubbliche amministrazioni.
Strategie di digital marketing senza Google Analytics
Tutti gli strumenti elencati (ma ne esistono tanti altri) sono una rapida soluzione per passare da un sistema di tracciamento a un altro. In particolare, Matomo offre la possibilità di importare rapidamente i dati raccolti con Google Analytics all’interno del nuovo strumento.
Si tratta, insomma, di un semplice cambio di tool e chi si occupa di digital marketing sa bene che dashboard e interfacce si assomigliano. Non sarà difficile adattarsi a nuovi strumenti.
La questione, semmai, è: basterà? L’impressione è che l’istruttoria del Garante possa scatenare un effetto domino. La raccolta dati tramite Google Analytics, infatti, è solo la punta dell’iceberg.
Cambiare o meno servizio di analitica non sposta di molto gli equilibri delle attività di digital marketing. GA, però, è inserito in un ecosistema di tool integrati tra loro.
Da Google Analytics, ad esempio, si ricavano segmenti di pubblico per il retargeting su Google ADS. Allo stesso modo, lo strumento agisce in sintonia con la Search Console della stessa holding e lavora in sinergia con diversi strumenti di marketing automation.
Senza l’integrazione dell’intera suite, sicuramente, sarà molto più oneroso costruire funnel efficaci.
Gli stessi Google ADS e Google Search Console, inoltre, raccolgono ed elaborano dati per conto di Mountain View. Così come i video di YouTube possono essere incorporati all’interno di siti web indipendenti, sollevando nuovamente il problema.
Come fare in questi casi? Dobbiamo aspettarci un ban per tutto l’ecosistema Google nel prossimo futuro? Verranno colpiti solo i publisher o anche gli editori che si avvalgono di AdSense? La scure del Garante si abbatterà anche su Meta?
Naturalmente, non c’è ancora una risposta a queste domande, ma, al netto di un futuro accordo tra i diversi attori coinvolti, tutto lascia presagire che il ban a GA sarà solamente il primo di una lunga serie: il comunicato stampa del Garante recita: “Google Analytics e servizi analoghi”.
In generale, si prepara la strada per un cambio di paradigma culturale nel modo di intendere il digital marketing. L’attenzione alla tutela della privacy e al trattamento dei dati è un tema sensibile che sta segnando il dibattito da diversi anni.
D’altronde, il sistema del marketing one-to-one e del remarketing estremo era già in discussione, almeno a partire dallo scandalo di Cambridge Analytica.
Più che un semplice cambio di tool, in questo senso, serve un cambio di prospettiva. A prescindere dalle decisioni comunitarie sul trattamento dei dati, il futuro del digital marketing sarà probabilmente incentrato su strategie pull e organiche.
Soprattutto, sempre più orientate al contenuto e alle creatività e sempre meno incentrate su meccanismi di iper-profilazione.
Dopo il ban a Google Analytics, cosa ne sarà del Digital Marketing?