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Università e smart working: l'Ateneo di Milano-Bicocca un polo all'avanguardia

università e smart working

Era maggio. Ero seduta davanti al pc e stavo dando uno sguardo alla casella email. La mia attenzione è stata catturata da due parole all’interno del titolo di una notizia: “Università Bicocca” e “smart working”. Due parole che insieme risuonano di “novità” ed “innovazione”.
Grazie ad un intenso lavoro di networking riesco a mettermi in contatto con l’Ufficio del Direttore Generale dell’Ateneo, scrivo una mail per chiedere udienza e, con estrema facilità e rapidità (indice certamente di una mentalità giovane, pragmatica e aperta al dialogo), arriva il giorno dell’intervista con il Direttore Generale, la dottoressa Loredana Luzzi.

Università di Milano Bicocca implementa lo smart working per i suoi dipendenti

L’Ateneo di Milano-Bicocca si conferma ancora una volta come un polo culturale all’avanguardia e un modello moderno di impresa. La Dottoressa Loredana Luzzi ci illustra e fa conoscere la capacità dell’ateneo di guardare oltre, aprendo le porte al futuro.
Da subito a mio agio grazie alla simpatia e la disponibilità della dott.ssa Luzzi, entriamo nel merito della notizia: l’Ateneo di Milano-Bicocca dallo scorso Maggio ha introdotto, dapprima in fase sperimentale, ed ora stabilmente, la modalità di smart working tra i suoi dipendenti.

La parola a Loredana Luzzi, Direttore Generale dell’Ateneo Milano – Bicocca

Q. Due anni fa, con l’inizio del mandato del Rettore Cristina Messa, si è affermato come l’unico Ateneo in Italia ad avere un vertice politico e amministrativo al femminile. Dallo scorso Maggio, ecco che si introduce lo smart working. Esiste dunque una sorta di “mission sociale” nel DNA dell’Ateneo?

Loredana LuzziA. Mi piace molto il termine “mission sociale”, perché infatti ci sono due aspetti da tenere in considerazione e che danno l’idea dell’imprinting del nostro ateneo. La Bicocca è una Università giovane che si trova a Milano, e queste due caratteristiche fanno sì che abbia nel suo DNA uno spirito innovativo.
La capacità di guardare al futuro è data dal profilo di coloro che occupano un ruolo nella governance (Rettore, CDA, Senato Accademico) e che, quindi, gestiscono l’istituto.
L’età media, rispetto a realtà territoriali simili, è inferiore ai 50 anni.
Guardiamo ora alla geolocalizzazione dell’Ateneo. Esso si colloca in una zona dove prima vi era “l’industria pesante” ed oggi invece troviamo la “periferia pensante”. Questo a sottolineare come ci sia stata nel tempo una riqualificazione territoriale.
La città di Milano, in generale, ha sempre saputo innovarsi, indipendentemente dal colore del partito politico. La spinta innovativa è stata più forte e vigorosa della spinta conservativa.

Q. Inizialmente lo smart working è stato introdotto su base volontaria e solo per alcuni dipartimenti (Comunicazione, Risorse Finanziarie e Bilancio, Area del Personale). Come è stato accolto dai vostri dipendenti e con quale adesione?

A. Dapprima sono state definite delle regole e c’è stato il confronto con le rappresentanze sindacali. Abbiamo voluto che il periodo iniziale riguardasse solo alcuni settori, dai quali poi abbiamo avuto un feedback assolutamente positivo.
Partendo dalla prima esperienza positiva, abbiamo realizzato il relativo Bando che volutamente non è stato contingentato.
Ecco alcuni numeri: siamo innanzitutto la prima organizzazione pubblica ad avere introdotto questa modalità di lavoro in modo diffuso.
Ad oggi su 814 dipendenti, 166 hanno scelto volontariamente la modalità smart working (più del 20%). Di questi 166, il 66% sono donne e questo si spiega col fatto che nell’area amministrativa la componente femminile è più rappresentata.
Rispetto ai settori, la percentuale di smart workers maggiore è presente nell’area Formazione e Servizi agli studenti ( 29%); segue l’Area del Personale ( 21%), l’Area Sistemi Informativi (11%), l’Area Comunicazione (10%), la Direzione Generale e l’Area Infrastrutture (6%), la Biblioteca d’Ateneo (5%), la Ricerca (4%), i Dipartimenti (3%), le Risorse finanziarie e Bilancio (2%).
Lo smart working, in quanto modalità innovativa, ha riscontrato un maggiore interesse nelle fasce giovani della nostra popolazione lavoratrice: i dipendenti tra 36 e 45 anni costituiscono il 46%, quelli tra i 46 e i 55 anni il 36%, coloro che hanno fino a 35 anni sono il 12%, i dipendenti over 55 il 5%.
Interessante e singolare, anche analizzare i dati relativi alla vicinanza da casa: le persone che risiedono entro i 10 km sono il 44% del totale degli smart workers; dai 10 ai 20 km sono il 19%; sopra i 20 km sono il 35%.
Rispetto ai ruoli lavorativi abbiamo rilevato che l’81% degli smart workers non ha incarichi di responsabilità; il 12% è costituito dai capi ufficio e solo il 6% dai capi settore.
Ricordo comunque che ogni dipendente ha facoltà di richiedere di lavorare con questa modalità, ma una volta avanzata la richiesta, deve essere approvata dal proprio responsabile.


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Q. Quali risultati avete ottenuto dopo i primi mesi di messa in pratica?
A. Abbiamo potuto rilevare come i livelli di produttività siano aumentati: per alcuni profili, il numero delle pratiche concluse nelle giornate di smart working è aumentato rispetto alle giornate in presenza.
Essendoci più tempo a disposizione, il lavoratore può organizzarsi e gestire meglio le proprie priorità sia lavorative che familiari. La maggior flessibilità aumenta l’autonomia e, quindi, la possibilità di gestire il proprio tempo al meglio.

Q. Se e come lo smartworking può influenzare la struttura dei percorsi universitari?

A. Non a livello di docenti, che chiaramente hanno già una modalità di lavoro diversa e particolare; è certamente un nuovo modo di concepire il lavoro in cui gli studenti di oggi dovranno prima o poi imbattersi.
Bisogna, altresì, dire che siamo arrivati a questo grazie agli strumenti tecnologici ed alle tecnologie innovative che nel corso degli anni sono stati ottimizzati e che oggi consentono di lavorare tranquillamente da casa come se fossimo in ufficio.
Così si conclude l’intervista alla dott.ssa Luzzi. Devo dire che il suo entusiasmo e la sua energia erano a dir poco contagiose e lasciavano davvero presagire l’avvento di una nuova era, in cui le performance sono più importanti delle ore trascorse in ufficio e in cui al lavoratore viene riconosciuta la responsabilità della gestione del proprio tempo.


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