Smart Working, prospettive future: la Video Spremuta a Mariano Corso
Quale futuro per lo Smart Working? La Video Spremuta a Mariano Corso per parlare del new ways of working in tempo di pandemia
Che succederà dopo la pandemia da Covid19? Lo Smart Working è destinato a restare o è una misura temporanea per arginare i contagi?
Ne usciremo migliori, almeno dal punto di vista lavorativo? La Video Spremuta a Mariano Corso, Docente al Politecnico di Milano e Responsabile Scientifico degli Osservatori Digital Innovation.
Cos’è lo Smart Working?
Lo Smart Working è qualcosa che può cambiare il nostro modo di lavorare, ma non solo, questo infatti può cambiare radicalmente anche il nostro modo di vivere.
Il periodo di emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha posto il New Ways of Working sotto i riflettori, tuttavia non si può parlare realmente di “lavoro intelligente” perché questo presuppone dei capisaldi differenti che non sono stati ancora approfonditi a dovere nel nostro paese.
Ma partiamo dalle definizioni:
lo Smart Working è un modello organizzativo, ed è basato su un principio molto semplice: quello di dare ai lavoratori autonomia nella scelta di dove lavorare, degli orari, degli strumenti utilizzati in cambio di una responsabilizzazione sui risultati.
Non è lavorare da remoto, non è una cosa da fare quando sei a casa. È poter scegliere, questa è nella prima definizione data, è nella legge, ma all’atto pratico questa cosa si va persa perché lo Smart Working non rappresenta il lavoro da casa. Vuol dire cambiare prospettiva, e dire non conta più l’orario conta il risultato. Più le persone sono autonome e più possono rispondere dei risultati.
Durante la pandemia siamo stati “iper-vincolati” e non c’è stata la possibilità di scegliere. Non c’è stato il tempo di rivedere il modello organizzativo. Quindi quello che abbiamo fatto non si può definire propriamente “lavoro intelligente”; tuttavia proprio perché è stato forzato ci ha costretto a mettere in discussione tutta una serie di pregiudizi che ci hanno portato a scoprire nuovi modo di lavoro altrettanto efficaci.
Prima dell’emergenza è stato stimato che in Italia ci fossero circa 500mila smart worker; tuttavia il loro modello organizzativo consisteva in un solo giorno a settimana a lavoro da casa e, generalmente, da soli. Il modello organizzativo e la collaborazione non venivano messi in discussione.
Per arrivare a questo c’è stato bisogno della pandemia e siamo stati costretti a scoprire che ci sono modi diversi di fare le cose. Data la costrizione non si può quindi parlare di Smart Working, però alla fine dell’emergenza avremo la possibilità di scegliere e ci saranno molte più prospettive rispetto al passato.
Smart working: errori più comuni
Tre lavoratori su quattro sono contenti degli attuali modelli produttivi dettati dall’emergenza sanitaria. Certo, c’è bisogno di un ribilanciamento.
Il vero errore, che poi riguarda anche la didattica, è pensare di trasporre quelle che sono le nostre modalità di azione nel mondo fisico all’interno del digitale lasciandole invariate.
Termini come “lavoro da remoto” o “didattica a distanza” avvengono, ovviamente sul digitale, ma questo non può essere visto come un surrogato che priva le persone della presenza e lascia tutto il resto invariato.
C’è bisogno di progettare una modalità di collaborazione che con il virtuale aggiunge valore e aggiunge connessioni.
Lo Smart Working è questo: utilizzare il digitale per raggiungere possibilità di collaborazione, modalità di scambio di dati, restando però vicini.
Cosa succederà dopo?
Lo Smart Working pre-pandemia era un qualcosa che riguardava (quasi) esclusivamente le grandi aziende; molto meno la Pubblica Amministrazione e pochissimo le PMI.
Erano dati non proprio negati ma, ovviamente, con la pandemia è cambiato tutto.
Le imprese che hanno dovuto mettere in campo delle policy di lavoro da remoto sono cresciute tantissimo; hanno utilizzando lo Smart Working semplificandolo e così sono stati raggiunti i numeri che tutti noi oggi conosciamo.
In poco tempo c’è stata una crescita vertiginosa; poi ha fatto seguito un parziale ritorno alla “normalità”, ma quello che tutti si chiedono adesso è che cosa succederà dopo?
Molto probabilmente questi paradigmi produttivi sono qui per restare, perché avendone colto i benefici, sia i lavoratori che le imprese hanno tutta l’intenzione di trovare degli equilibri nuovi in cui alternare, a seconda degli obiettivi, presenza fisica e lavoro da altri luoghi. E questo è la vera essenza dello Smart Working, e riguarderà quasi un terzo dei lavoratori italiani.
Quindi sarà un qualcosa destinato a cambiare radicalmente la società e non solo a livello lavorativo, ma anche per quanto riguarda le città e la vita delle persone.
Stiamo parlando di un cambio di mindset; un tentativo di cambiare la testa delle persone. Piuttosto che andare a lavoro, questo nuovo modo di lavorare vuol dire sentirsi professionisti autonomi e co-imprenditori in un’organizzazione.
La formazione è importantissima e bisogna procedere per gradi:
- Per prima cosa bisogna aiutare le persone a sviluppare dei comportamenti di maggiore autonomia professionale; gestire meglio il proprio tempo e lavorare per obiettivi.
- Lo Smart Working è anzitutto un modello di leadership. L’oggetto del controllo non è più quante ore una persona passa a lavoro o la presenza fisica. Ma bisogna considerare il risultato e il valore che si crea.
Sono questi i veri paradigmi da tenere in considerazione e bisogna accompagnare leader e lavoratori verso queste nuove dinamiche.
Smart Working, le persone al centro?
Quando si parla di “mettere le persone al centro” sembra sempre un fatto di facciata. In realtà è la più intelligente e la più sostenibile delle strategie di cambiamento.
Stiamo vivendo un momento di grande trasformazione che richiede un’adesione da parte delle persone che va oltre la semplice accettazione e arriva fino al mettersi in gioco e cambiare modo di lavorare e sviluppare nuove competenze.
Ogni azienda che ha una strategia di Business, dovrebbe declinarla in una strategia sulle persone. Non si può cambiare il business sostituendo le persone; le aziende che lo fanno si trovano (e si troveranno sempre di più) ad avere brutte sorprese e non si riuscirà ad attrarre le persone che potrebbero fare realmente al caso dell’azienda.
Pensare a una People Strategy vuol dire declinare la propria idea di business verso quelli che saranno le idee e le competenze che serviranno; poi occorre capire chi è presente oggi in azienda è come si può “accompagnare” verso una maggiore impiegabilità e su come essere più efficace in un modello futuro.
Quello di cui le aziende si stanno accorgendo (e di cui si accorgeranno sempre di più) è che lo Smart Working non è lavorare da remoto e richiedere equilibrio; richiede possibilità di scelta; richiede di dare significato alle persone. Quando si chiede alle persone di essere in presenza o meno, bisogna motivare tale richiesta. E queste motivazioni nascono anche dall’ascolto dei loro bisogno perché se ci sono particolari esigenze vanno assolutamente ascoltate.
Non stiamo vivendo lo schema del lavoro remoto ma quello del lavoro connesso. Il digitale non viene visto come un surrogato della presenza fisica solo dietro a un pc; ma è un qualcosa che aumenta e aggiunge possibilità di relazione. In un sistema di questo tipo bisogna dare, da una parte, ascolto alle persone; il digitale permette di ascoltare più in profondità perché più è autonoma e più interagisce su canali diversi e più è possibile recepire meglio il benessere.
Le persone devono essere messe in grado di capire, di scegliere quale è il modo migliore e il risultato che ottengono. Se si riesce a fare questo si evitano errori e stress. L’autonomia e il rispetto della persona devono poi tradursi in un risultato tangibile e sempre più importante.
Smart Working, prospettive future: la Video Spremuta a Mariano Corso