New Ways of Working

Smart working traduzione di una fluidità del lavoro: racconto di una Video Spremuta con Mariano Corso

smart working traduzione

Continuiamo a confondere situazioni di home working con lavoro agile. Per Mariano Corso lo smart working è traduzione di fluidità del lavoro, è una scelta.

Valerio Lalli

Pubblicato: 26 Marzo 2021

Ancora non ci riusciamo. Continuiamo a confondere questa condizione di home working forzato con un approccio lavorativo totalmente diverso quale è quello dello smart working. Ciò che stiamo vivendo da un anno a questa parte è una trasformazione del lavoro sotto ogni punto di vista e lo smart working è traduzione di una fluidità del lavoro.

Occorre ripensarlo e ridisegnarlo, e per rendere l’idea circa il giusto approccio da adottare durante una delle fasi di trasformazione più grandi che ci vede coinvolti, utilizzo ancora una volta una frase a me molto cara di Peter Drucker:

Il pericolo più grande nei momenti di turbolenza non è la turbolenza in sé, ma è affrontarla con le logiche del passato. 

Occorre quindi il prima possibile fare chiarezza e capire una volta per tutte cosa non è smart working.

Ed è in quest’ottica che Spremute Digitali nello specifico Sara Duranti e Gianluigi Cacciotti, qualche settimana fa hanno deciso di coinvolgere in una Video Spremuta, dialogo one-to-one, il Prof. Mariano Corso, Docente Politecnico di Milano e Responsabile Scientifico degli Osservatori Digital Innovation.


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I capisaldi del vero smart working

Come ci spiega il Prof. Corso, lo smart working è un modello organizzativo, basato sul principio di dare alle persone, nello specifico ai lavoratori, la piena autonomia nella scelta del luogo di lavoro, degli orari, degli strumenti da utilizzare in cambio di una responsabilizzazione sui risultati.

Non è lavorare da remoto, o lavorare da casa. Lo smart working è frutto di una scelta che muta la concezione dell’essere a lavoro, in cui l’attenzione non è più focalizzata al numero di ore trascorse in ufficio, ma verso il risultato raggiunto indipendentemente da queste ultime.

Durante la recente pandemia stiamo stati soggetti a moltissimi vincoli, dunque non abbiamo avuto la possibilità né di scegliere né di rivedere il nostro modello organizzativo. Dall’altro lato per causa di forza maggiore, abbiamo comunque scoperto però che, oltre al modo tradizionale di lavorare che impone la presenza in ufficio, esistono altrettanti modi per poter fare il proprio lavoro.

Gli errori che abbiamo commesso in questo home working forzato

Il vero errore è pensare di trasporre quelle che sono le nostre modalità di azione tipiche del mondo fisico, al mondo digitale lasciandole invariate.

Il digitale, sottolinea il Prof. Corso, non deve essere visto come un surrogato che ci priva della presenza e lascia allo stesso tempo le stesse modalità d’interazione. Piuttosto, dovremmo progettare una modalità di collaborazione che con il virtuale aggiunga connessione e valore.

Lo smart working è questo, utilizzare il digitale per aggiungere possibilità/opportunità di collaborazione, modalità di scambio dei dati, maggiore senso di coinvolgimento delle persone.

Quanto è importante la formazione per affrontare l’era post-covid e implementare poi correttamente lo smart working?

Lo smart working è un cambio di mindset, che modifica il nostro modo di sentirci parte di un’organizzazione e che non necessariamente implica il dover recarsi sul luogo di lavoro.

Lo smart working vuol dire sentirci professionisti autonomi e sempre più sentirci imprenditori in un’organizzazione, ragion per cui la formazione conta tantissimo. Bisogna aiutare le persone a sviluppare comportamenti di autonomia professionale, lavorando e gestendo diversamente il proprio tempo, per obiettivi verso cui si richiede una disciplina personale importante.

La formazione risulta essenziale sui capi, sui manager, poiché lo smart working, è prima di tutto un modello di leadership, che sposta l’oggetto del controllo dalla presenza fisica, (le ore) all’ingaggio dei lavoratori, in termini di valore che essi creano. Tutto questo non si improvvisa, ma bisogna accompagnare i responsabili verso questo modello di leadership più maturo.

Le persone al centro con la people (first) strategy: come va modulata questa strategia?

Mettere le persone al centro è la più intelligente e sostenibile strategia di cambiamento afferma il Prof. Corso.

Stiamo vivendo il più grande momento di trasformazione che richiede un’adesione da parte delle persone; non è la semplice accettazione, ma è mettersi in gioco, cambiare modo di lavorare, ruoli, sviluppare nuove competenze.

Ogni azienda che ha una strategia di business e capisce che c’è bisogno di mettere in atto una strategia di cambiamento, dovrebbe orientarla alle persone.

Non c’è niente di più miope di pensare di poter cambiare il business sostituendo le persone”, continua ancora Corso. È impensabile lasciare invariati i modelli di business con l’ottica di assumere persone con nuove competenze, perché poi si va a creare un effetto barriera. Bisognerebbe piuttosto pensare ad una People Strategyil che significa, innanzitutto, declinare la propria idea di business orientata a comprendere quali saranno i talenti, le competenze che serviranno, e cercare poi di capire come accompagnare le persone che già oggi sono parte dell’azienda, verso una maggiore impiegabilità, ad essere più efficaci in questo modello futuro.

I progetti di trasformazione falliscono quando le persone non sono a bordo.

Cambierà il modo delle aziende di approcciarsi allo smart working?

C’è bisogno di ascoltare attivamente i bisogni delle persone per far trovare loro nell’azienda un significato. Solo allora riusciremo a tenerci le persone migliori.

Questo risulta impossibile se non riusciamo a costruire una relazione di fiducia con i leader dell’azienda. Le organizzazioni devono sperimentare questi nuovi equilibri che nel cosiddetto new normal saranno comunque diversi da quelli che avevamo prima.

Senso di appartenenza e collaborazione, quali accorgimenti adottare per non perdere la rotta?

Siamo in uno schema nuovo: quello del lavoro connesso che non vede il digitale sostituire la presenza fisica. In un sistema di questo tipo, devo dare ascolto alle persone, e il digitale ci permette di ascoltare più in profondità. Più abbiamo dati a sufficienza per capire che tipo di tracce lasciano le nostre persone, più noi come leader di un’organizzazione dobbiamo analizzare e capire il benessere delle persone dovendo anche trasferire responsabilità, potere e autonomia.

Le persone devono essere messe nelle condizioni di poter decidere in funzione del loro obiettivo. La fiducia, che si traduce così in un risultato concreto per il cliente finale, permette al lavoratore di essere un professionista autonomo che se ingaggiato, agisce da imprenditore.

La formazione e l’utilizzo della tecnologia devono poterci ulteriormente aiutare ad andare in questa direzione.

Tecnologia e spazi collaborativi. Quanto potrebbero essere utili in ottica di smart working, tecnologie immersive come realtà aumentata, virtuale?

L’uso che facciamo della tecnologia ancora oggi è estremamente primitivo. La realtà aumentata ha enormi prospettive in termini di aumento dell’efficienza dei processi, come può essere ad esempio quello della formazione.

Con queste nuove opportunità, le persone avranno più gradi di autonomia e libertà, potendo orientare le proprie scelte sempre di più in funzione del valore.


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Ripartenza: su cosa bisognerebbe focalizzarsi?

Veniamo da una normalità non sostenibile quindi dobbiamo prendere il meglio dalla nostra passata esperienza, delle cose che abbiamo imparato (cose che potevamo e non potevamo fare), ripensando tutti i processi.

Le parole chiave su cui focalizzarsi sono due conclude Corso: leadership connessa, abbandonando l’idea del lavoro da remoto, facendo quindi un salto di maturità nella nostra relazione con il digitale; la seconda: engagement imprenditoriale, dare significato alle relazioni, far scoprire alle persone la voglia di essere parte, attraverso il proprio contributo e il proprio talento, che impatta direttamente anche sulla propria qualità di vita.

Un bel dialogo che testimonia ancor di più di come lo smart working non è una medicina che si somministra dall’oggi al domani o tanto alla settimana, ma è un processo di cambiamento che richiede tempo e una certa struttura per quello che riguarda la sua implementazione all’interno delle aziende.

Smart working traduzione di una fluidità del lavoro: racconto di una Video Spremuta con Mariano Corso

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