Smart Working e benessere lavorativo: più facile a dirsi che a farsi?
Smart Working e benessere lavorativo: più facile a dirsi che a farsi?
In alcune recenti interviste Alessandro Zollo, amministratore delegato di Great Place to Work Italia, racconta nel dettaglio la ricerca dei migliori luoghi in cui lavorare nell’edizione 2017. La classifica si basa per lo più sulle valutazioni dei dipendenti, ed ha permesso di rilevare come la gestione delle diverse modalità di lavoro, sia una delle principali componenti del benessere lavorativo per tutti i lavoratori.
Lo smart working, infatti, non va considerato come uno strumento limitato. Tutt’altro. Emergono chiaramente, a detta di Zollo, considerazioni legate a questioni ben più ampie: management, valutazione della performance dei dipendenti e capacità di fissare obiettivi precisi, in modo da poterne successivamente valutare il raggiungimento.
È evidente come tutte queste considerazioni, incidano infine, anche su un’altra fondamentale dimensione: la gestione delle risorse umane.
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Una strada ancora in salita per merito e cultura del risultato
In questo 2017, le aziende italiane non hanno brillato nel ranking mondiale, principalmente a causa di tre fattori:
- Scarsa trasparenza nelle decisioni sugli avanzamenti di carriera. Dei rispondenti, soltanto il 26% di chi lavora in una azienda italiana pensa che la promozione vada a chi la merita di più. Il corrispettivo valore per i lavoratori esteri è quasi doppio (51%).
- Selezione del personale non formale. Aspetto particolarmente evidente nelle piccole aziende di stampo familiare, dove spesso non si dedicano risorse a ricerca, selezione e sviluppo del personale.
- Scarsa diffusione delle valutazioni sul risultato. Per poter riconoscere e dare valore al merito, è necessario che il management imposti delle modalità di lavoro basate su obiettivi chiari, precisi, misurabili.
Smart Working e benessere lavorativo orientato alle persone
Per quanto queste considerazioni siano valide per tutti, è forse utile ricordare che le donne lavoratrici, hanno da sempre un interesse particolare per tempi e modi di lavoro non standardizzati. Anche per questo motivo, quest’anno Great Place to Work Italia ha dedicato all’argomento un apposito modulo.
Basandosi su 60.000 risposte sono state classificate le 20 aziende Italiane dall’ambiente di lavoro più apprezzato, a partire da una lista di 100 organizzazioni.
Nonostante i criteri adottati nel ranking, riguardino anche aspetti solitamente considerati più prossimi alle donne (come ad esempio l’assenza di discriminazioni di genere), si impongono in cima alla classifica quelle aziende che hanno fatto della flessibilità, una nuova norma.
Orari non rigidi, ma modulabili, lavoro remoto, strumenti di welfare aziendale e una componente di genere bilanciata nei board, rendono le dipendenti maggiormente soddisfatte del proprio posto di lavoro.
Perché lo smart working non è una cosa da donne?
L’edizione 2017 conferma dunque tendenze già note. Nel racconto di questa indagine emergono però, anche delle storture concettuali, che ormai sarebbe opportuno superare.
Tra le testimonianze riportate da HR ed Amministratori Delegati, si intravede quel tipico sotto-testo secondo cui gli strumenti di flessibilità lavorativa, siano principalmente destinati alle lavoratrici. Concessi per permettere loro di migliorare la gestione degli impegni lavorativi con i doveri familiari.
Non è così. È bene ricordare anzi che, sia in Italia che nel dibattito internazionale, si può ormai considerare lo smart working come un approccio diverso alla gestione del lavoro e delle risorse umane. Tutte.
Le organizzazioni che vogliono evolvere verso nuovi modelli organizzativi, possono far leva su un rapporto più orizzontale tra management e dipendenti, su sistemi di lavoro e di comunicazione collaborativi e anche sulla riorganizzazione spaziale e della dotazione tecnologica di lavoro.
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