New Ways of Working

Smart Working: le aziende che lo applicano

smart working aziende che lo applicano

Tra le aziende italiane che implementano lo smart working troviamo anche la realtà di Jessica Malfatto. Un'azienda che ha scelto di lavorare sulla fiducia.

Torno a raccontare di smart working e di aziende che lo applicano in Italia. Attenzione. Sto parlando di quelle che implementano il vero smart working.
Dare voce a queste realtà è diventata quasi una “missione”, con la speranza che leggere di chi ce l’ha fatta e ce la sta facendo, aiuti le organizzazioni ed i dipendenti ad approcciarsi serenamente a questo nuovo paradigma lavorativo. Con l’augurio che vengano presi come esempio coloro che hanno deciso di cavalcare l’onda del cambiamento.

Le aziende che implementano lo smart working hanno una marcia in più

In questa intervista ho incontrato virtualmente Jessica Malfatto PR e Media Relations Manager, co-fondatrice di Digital PR Pro, Your Story SRL agenzia nata da subito con la voglia di assumere dipendenti in smart working.
Perché la volontà di Jessica in primis è quella di mettere le persone al centro di tutto.

Il motivo principale per cui abbiamo scelto di implementare lo smart working riguarda la volontà reale di mettere le persone nelle migliori condizioni possibili per stare bene e lavorare con serenità. – Jessica Malfatto

La parola a Jessica Malfatto: parliamo di smart working, di fiducia e di persone

Q. Ciao Jessica, grazie per essere qui su Spremute Digitali. Digital PR Pro (Your Story SRL) è tra le aziende che ha implementato lo smart working con successo. Come è iniziato l’interesse verso il paradigma lavorativo?

Jessica Malfatto

Jessica Malfatto


A. I motivi che ci hanno spinto, da subito, a costruire un modello basato su due giorni di lavoro da remoto e tre giorni in ufficio, tutte le settimane, sono diversi, ma quello principale riguarda la volontà reale di mettere le persone nelle migliori condizioni possibili per stare bene e lavorare con serenità.
Personalmente, a livello umano, non sopporterei l’idea di sapere che chi lavora con me non si trova a proprio agio o “vive” male il proprio lavoro e, quindi, in ogni azione e attività, per quanto possibile, io e Stefano (mio socio e mio marito), pensiamo sempre a ciò che potrebbe far stare meglio tutti.
Non sempre ci riusciamo, ma proviamo ad agire in questa direzione.
Tre giorni in ufficio e due giorni a casa rappresentano un mix giusto ed equilibrato, secondo noi, per questa tipologia di mestiere. Inoltre, implementando lo smart working, si comunica, tangibilmente, che c’è massima fiducia nelle persone. Non possiamo pretendere fiducia, se non siamo i primi a darla e a metterla sul piatto, in modo davvero concreto, da subito.
Quindi, senza fuochi d’artificio e belle parole, cerchiamo di mettere in campo tutte quelle azioni possibili e reali che comunicano fiducia totale a chi lavora con noi.

Q. Per implementare lo smart working cosa serve secondo la tua esperienza? Cosa è essenziale?

A. Sicuramente, in primo luogo, è fondamentale essere disposti, come dicevamo, a dare grande fiducia. E sono indispensabili anche una forte dose di disciplina, senso di responsabilità e autonomia.
Detto questo, ci sono alcune attività – come l’aggiornamento dei vari flussi di lavoro e il confronto su alcune azioni – che inevitabilmente in ufficio risultano più immediate, perché ci troviamo tutti nello stesso luogo, quindi per gestirle con rapidità ed efficacia anche da remoto serve un metodo e un allenamento costante.
Inoltre, per lo smart working, è vitale mettere a disposizione delle persone degli strumenti validi.
Una piattaforma condivisa, per gestire progetti a distanza (noi usiamo Basecamp), software per velocizzare alcune operazioni (in base al proprio lavoro e settore) e una piattaforma per fare video-chiamate (noi abbiamo scelto Whereby, creando diverse stanze dedicate: es. una per le “riunioni” di team, un’altra per le interviste con i clienti, ecc) diventano imprescindibili.


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Q. Con i tuoi dipendenti come sei arrivata a definire un accordo di smart working? E come è stato il loro approccio?

A. Lo abbiamo comunicato da subito ai colloqui e anche negli annunci di lavoro: 3 giorni in ufficio e 2 giorni da remoto.
La scelta è stata subito accolta in modo eccellente, anche perché si tratta di un lavoro dove la scrittura è al centro, e avere due giorni a disposizione in cui potersi concentrare, anche in solitudine, per scrivere dei comunicati stampa e contenuti, è qualcosa di utile.
Il nostro ufficio è un ambiente tranquillo ed estremamente sereno, ma tra telefonate, video-chiamate, incontri con potenziali clienti e clienti, ci sono dei momenti durante la giornata in cui concentrarsi per scrivere un comunicato, nel migliore dei modi, può essere più complicato.

Q. Smart Working in Italia: come vedi il futuro delle aziende? Il mondo del lavoro cambierà veramente in meglio come ci aspettiamo?

A. Penso che sia sempre una questione legata alle singole persone.
Noto che a volte ci sono persone che fanno impresa e non riescono ad avere piena fiducia in chi lavora con loro. Ci sono dinamiche “di controllo”, di dubbio costante, di non fiducia.
Lo smart working, dal mio punto di vista, prima di riguardare un approccio e una metodologia “tecnica” e “pratica”, si basa su logiche di responsabilità, di ragionamento per obiettivo e di capacità di fidarsi.
Il mindset alla base di questo approccio fa la differenza.
Spero che questo modo di lavorare riesca veramente ad “entrare” nelle dinamiche di molte aziende e a “modificare” la loro mentalità, per fare in modo che questo paradigma continui a crescere, ma cresca con rilevanza e non solo in quantità.
Meglio 3 aziende che lavorano con la giusta modalità in smart working, che 9 aziende che adottano questo modello, ma facendo vivere un inferno ai propri collaboratori (con controlli serrati e al limite).
Per arrivare a numeri importanti forse ci vorrà tempo, come per ogni cambio di mentalità e di approccio, ma mi auguro che chi sceglierà di implementare lo smart working lo farà con consapevolezza reale (e non per “moda”).
Grazie per la disponibilità Jessica.
Le parole di Jessica in quest’ultima risposta fanno riflettere. Fare le cose per bene è una scelta. Aumentiamo la consapevolezza nelle cose che facciamo e diminuiamo la voglia di correre dietro a buzz word.
La corsa ai trend, la voglia di apparire con la keyword ben impressa sullo schermo, colorata, sottolineata; il volersi accaparrare l’associazione “mia faccia=ultima novità uscita” non vuol dire saper fare o essere esperti, è solo rumore.


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