New Ways of Working

Smart city, smart working, coworking: piramide o matrioska?

le potenzialità del coworking

smart city smart working coworking: piramide o matrioska?

Al giorno d’oggi la maggior parte della popolazione mondiale vive in città. In città si produce l’80% del PIL e il 70% dei gas serra. Tanto la collettività quanto i singoli, entrando o sfruttando i flussi cittadini, si accorgono che una loro gestione intelligente, integrata e condivisa, è necessaria per aumentare la qualità della vita.
Il riferimento a Smart City è puramente casuale.

La corrente piramidale

 

 
Alcuni esperti parlano di una città “senseable” per indicare quella idea di Smart City che pone più enfasi sulle persone piuttosto che sulla tecnologia.
Rimaniamo, dunque, in quest’ottica e risaliamo la corrente piramidale, soffermandoci in particolare su uno dei fenomeni intelligenti della nuova città, lo smart working, e su una delle sue declinazioni, il coworking, per arrivare in punta e goderci il panorama dopo l’intellettuale scalata.

Perché il coworking è una forma di lavoro smart?

Ragioniamo per categorie.

  1. Lo smart working è quella modalità di lavoro per cui non esistono tempi e luoghi preordinati per lo svolgimento di un’attività, ma ogni cosa è gestita per essere funzionale all’efficienza del sistema con l’ausilio delle nuove tecnologie;
  2. Il coworking, che letteralmente significa “lavorare insieme”, è quell’esperienza di lavoro che partendo da una condivisione degli spazi, evolve in una condivisione di know-how e contatti.

Quindi possiamo dire che:

Il coworking è solo un mezzo per veicolare lo smart working?

Forse no.

Coworking è piuttosto una sotto-categoria con la sua essenza.

Coworking è un fenomeno con la propria indipendenza.

Coworking è anche smart working.

 
Cosa ancora più sorprendente è che si diffonde senza la necessità di una definizione o previsione normativa, al contrario di come sta succedendo per il lavoro agile, con i due disegni di legge in discussione al Parlamento.  Si tratta di un fenomeno in rapida diffusione e di cui cominciano ad interessarsi le politiche pubbliche. E quali politiche! Vediamole insieme, non senza prima aver snocciolato le “cowo-caratteristiche”.

Le potenzialità del coworking e le ricadute sul territorio

I centri di coworking rendono accessibili a costi contenuti o nulli – questo dipende dalla natura del coworking (pubblico o privato) o dalla vocazione (sociale o produttiva) – postazioni lavorative attrezzate. Hanno il vantaggio di creare occasioni sociali ed incontri per favorire scambi e sinergie tra le attività dei partecipanti.
“Spesso divengono realtà in cui emergono attività di promozione dell’imprenditorialità e che impiegano processi collaborativi di apprendimento.” (Barricelli  D., a cura di, Spazi di apprendimento emergenti. IL divenire formativo nei contesti di coworking, FabLab e università, Research Paper, ISFOL, 2016, p. 18)

 
In questa funzione, possono dare un contributo concreto a  politiche sociali e di sviluppo del territorio agevolando, ad esempio, particolari gruppi sociali (giovani, disoccupati, immigrati). Il coworker è o diventerà uno smart worker, a prescindere dall’essere un lavoratore autonomo o dipendente.
Sfrutterà la rete – fisica e virtuale – e avrà una propria postazione con pc e connessione – i servizi. Non avrà orari prestabiliti e continuerà a lavorare per obiettivi – il tempo. Contemporaneamente avrà scelto un luogo di lavoro a lui più congeniale, in caso anche con un abbonamento flessibile da alternare con il lavoro a casa o in altre sedi – lo spazio.
Se si dovesse proporre una ricetta per il coworking questa richiederebbe in parti uguali i seguenti ingredienti: comunità, apertura, collaborazione, accessibilità e auto sostentamento.
In altre parole:

Start with community. Blend like-minded people of different backgrounds together thoroughly. Add openness. Share ideas, thoughts, knowledge and problems in equal parts. Sprinkle collaboration on top.
Ingredients will meld together to create new flavor. Add healthy amounts of sustainability. This will help maintain the recipe’s structure and prevent it from falling apart. Wrap in accessibility.
Make sure all ingredients are given proper opportunity to interact. Enjoy!
(Todd Sundsted, Drew Jones, Tony Bacigalupo, “I’m Outta Here. How coworking is making the office obsolete”, New York, 2009, p. 15)

Il coworking nel mirino dei fondi europei. Il caso della Regione Lazio.


Il ciclo di programmazione 2014-2020, all’interno della strategia Europa 2020, punta ad un’Europa più intelligente, sostenibile ed inclusiva. L’Italia beneficia di circa 42 miliardi di fondi strutturali provenienti direttamente dal bilancio europeo, più circa 30 miliardi da fondi di rotazione e risorse regionali, per un totale di 71 miliardi corrispondenti approssimativamente al 2% del PIL.
Sono risorse importanti, soprattutto in un periodo di scarsità di investimenti pubblici. Ai fini dell’utilizzo dei fondi è necessaria l’approvazione del PON (livello nazionale) e dei POR (livello regionale).
Molti POR contengono, oggigiorno, un focus specifico sull’Agenda urbana (Emilia-Romagna, Lombardia, Marche Piemonte, Toscana ed Umbria), sulla base dell’Agenda urbana europea, nazionale e il  PON METRO.
La regione Lazio beneficia per il fondo FESR di € 913.065.194 e per il fondo FSE di € 902.534.714. Degli undici asset tematici previsti dal QSC della Commissione europea e ripresi nell’accordo di partenariato, sono di interesse per il coworking quello dell’“occupazione” e dell'”inclusione sociale” che nel Lazio corrispondono rispettivamente al 47% e al 20% dell’ FSE.
All’interno dell’obiettivo generale “occupazione” e dell’obiettivo specifico “Investimenti in favore della crescita e dell’occupazione”, si colloca la strategia “spazi di lavoro collaborativi (coworking). Anche se il fenomeno non è regolato giuridicamente a livello nazionale, le realtà territoriali cominciano a sentire il bisogno non solo di una certezza, pur minima, a livello istituzionale ma anche della necessità di risorse da investire.
Il coworking entra così nella progettazione europea. L’iniziativa della Regione Lazio mira a favorire la nascita di nuovi coworking riconoscendoli come motori propulsivi per lo sviluppo sociale, occupazionale e produttivo.
Emerge la capacità dell’attore istituzionale di riconoscere alcune differenze e caratteristiche tra le tipologie di coworking (profit-non profit, pubblico-privati, per nomadi o stazionari, a vocazione sociale o a vocazione produttiva).
In particolare, da una parte la Regione spinge al coworking per il sostegno del gruppo sociale “giovanile”, dall’altra incentiva il coworking per il sostegno alle PMI. È centrale il concetto di “community” e di “valore aggiunto”. Tra gli obiettivi specifici dell’iniziativa, emerge la necessità di diffondere nuove forme di apprendimento per adattarsi alle nuove forme di lavoro.
Il programma beneficia di 6 milioni di euro per 34 mesi, suddivisi su tre asset: coworking universitari, voucher e costruzione di un osservatorio regionale. La maggior parte dei fondi si concentra sui voucher. È senz’altro una buona iniziativa, purché gli spazi di lavoro collaborativo siano sufficientemente diffusi e pronti ad accogliere la domanda che  deriverà dalla diffusione dei buoni per l’accesso.
Importante è anche la presa di coscienza, da parte dell’ente di governo, della necessità di riconoscere ed etichettare in modo preciso le realtà di coworking. A questo proposito, per valutare l’esperienza e assegnare i fondi verranno prese in considerazione le seguenti caratteristiche:

“collaborazione, accessibilità, abilitazione, disponibilità e funzione produttiva”

Il cuore della matrioska


Nell’esempio della Regione Lazio non vengono nominate né la parola smart working né Smart City. D’altra parte, ancora viviamo un approccio alla Smart City settoriale, con maggiore letteratura ed esperienze nei campi dell’ ICT, della comunicazione, delle infrastrutture, dell’energia e della sostenibilità.
Solo recentemente si comincia a guardare con più interesse alla smart community (asset delle smart people e della smart governance nella visione europea delle Smart City). Lo sforzo dovrebbe essere quello di capire che lavorare smart significa anche essere parte di un progetto più integrato. Proprio il lavoro smart e condiviso può essere il motore propulsivo per la rigenerazione delle nostre città.
 
 
Il coworking in particolare è potenzialmente capace di coniugare il sostegno alle startup innovative (come fanno già alcune reti nate a Milano, ad es. Talent garden), al networking (sfruttando a livello locale un prodotto globale, la rete), alle politiche occupazionali e a quelle sociali.
Forse più che ad una piramide, dovremmo guardare ad una matrioska.
Proprio le persone, cittadini e lavoratori che nel coworking creano nuove sinergie e partecipano, sono il cuore sia della statuetta media (tra gli asset settoriali della Smart City proprio lo smart working), sia della statuetta grande, ovvero la nostra città con la sua pianificazione Smart City a tutto tondo.
 

Smart city, smart working, coworking: piramide o matrioska?

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