Lo Smart Working dal punto di vista dei lavoratori: un bilancio
A un anno dall’inizio del forzoso lavoro da remoto, iniziano a trapelare i primi dati sul bilancio di questo ultimo periodo, in termini umani, fisici e psicologici.
L’associazione nazionale dei consulenti del lavoro ha redatto uno studio sulle condizioni lavorative allo stato pandemico. Della totalità dei lavoratori, 7 milioni, ossia il 32% del totale, è in smartworking, e di essi, il 15% in maniera totale e il restante 17% in forma ibridia.
Quello che si poteva già presupporre ha preso forma rapidamente.
Il bilancio è in fin dei conti positivo, ma vede una spaccatura tra tutti quelli che hanno preso parte al lavoro da remoto.
Il 21% è molto soddisfatto, il 40% ha una opinione positiva, e solo il restante 34% ha una opinione fortemente negativa della pratica, il resto nel mezzo e nell’indecisione.
Il peso del lavoro agile
Come effetti sui consumi e sulla persona possiamo trovare veramente tanti spunti sia in positivo che in negativo.
Abbiamo per esempio:
- Per il 71% dei lavoratori, delle spese ridotte in vestiario trasporti e vitto.
- Al 62.5% migliore conciliazione tra lavoro e privato
- 53% Miglioramento delle competenze digitali (elemento non da poco se invece lo prendiamo dal punto di vista aziendale);
- in casi più marginali abbiamo Riduzione spese per colf/babysitter nel 30% dei casi e spostamenti dalla residenza al 27%.
Questo però a fronte di considerevoli Downside e rischi che hanno minato e minacciato la sanità psicofisica del lavoro dipendente e non:
- Nel 53% dei casi lo smartworking ha allungato drasticamente i tempi di lavoro
- Nel 49% le relazioni si sono indebolite (e come potrebbe essere altrimenti), non è facile motivare ed essere motivati se si è soli e sotto pressione;
- Nel 49%, di nuovo, si parla di ansia da prestazione e stress, che visto il punto precedente non sorprende.
E infine seppur meno frequenti, problemi molto consistenti tra cui:
Problemi fisici dovuti a delle postazioni tremendamente inadeguate (48%), disaffezione e mancanza di engagement (40%) cioè davvero, fermiamoci un attimo a riflettere, contestualizziamo i numeri nella carne del vivo, più di un lavoratore su tre, adesso, potrebbe in realtà essere poco motivato, se non pronto ad odiare quello che sta facendo, che non sorprenderebbe sapendo che lo stesso 40% (si fa per dire) trova le sue postazioni domestiche inadeguate sia a livello di spazio che di infrastruttura di rete.
Ad aggiungersi vanno considerati infine tutti i problemi psicologici su cui c’è ancora scarsa cultura e problematizzazione, che scaturiscono dalla situazione di isolamento pandemico, e casistiche di degrado non proprio evidenziate ed evidenti, (non penso che le persone vogliano far sapere la loro condizione, se terribile, ma questa è solo una impressione).
Al netto però il quadro è positivo, andando a guardare, c’è una frazione del totale delle persone che lavorano in smartworking, del 17%, che lascerebbe il lavoro se dovesse tornare in sede.
C’è invece una stragrande maggioranza che vuole ricominciare a tessere relazioni fisiche e vere nel suo ambiente, segno che lo smartworking potrebbe essere una soluzione complementare, at best, ma che il desiderio comune sia quello, comunque, di riabbracciarsi, si, anche tra colleghi di lavoro, e chissà, in futuro sarà certamente possibile.
Lo Smart Working dal punto di vista dei lavoratori: un bilancio