Scoprire talenti con lo Smart Working? Certo!
Lo Smart Working sta rivedendo il modo di lavorare tradizionale e diverse organizzazioni iniziano a comprendere l’esigenza di cambiamento. Ma trasformare un’organizzazione dalla mattina alla sera è cosa impensabile. È un percorso lungo che richiede step graduali. Ho incontrato Valeria Farina, HR Engagement Manager presso ADECCO ITALIA HOLDING SpA. Davanti a un chicken avocado e un caffè americano, abbiamo trascorso una piacevole oretta discutendo su come le risorse umane stanno cambiando e di come lo Smart Working sta entrando prepotentemente nei nuovi assetti organizzativi. Di seguito gli highlight del nostro meeting
Sono rimasto molto colpito dalla tua bio LinkedIn in cui scrivi
studio ogni giorno nuovi stili, forme e metodi per motivare i colleghi facendoli sentire parte dell’organizzazione e trasmettendo loro la cultura aziendale in modo efficace.
Ecco.. quanto è importante la cultura in un’azienda?
Non è solo importante, ma fondamentale. La cultura aziendale è la lingua con cui si parla ogni giorno al lavoro, se non la si condivide si rischia di non comprendersi. Ritengo che una chiara e attrattiva comunicazione della cultura aziendale rappresenti anche una modalità per distinguersi, in un mondo in cui siamo costantemente bombardati da dati, informazioni e slogan, chi è capace di costruire un’identità forte e riconoscibile sia chi ne esce vincitore. Anche il mondo del recruitment, come abbiamo condiviso nel nostro incontro, sta evolvendo, e sempre più spesso non sono solo le aziende a scegliere i candidati, ma sono proprio questi ultimi che scelgono l’azienda a cui proporsi anche sulla base di una condivisione di cultura e valori. Certo, non è semplice trasmettere queste informazioni alla popolazione aziendale, specialmente quando, come nel mio caso, si parla di 1.800 persone distribuite su tutto il territorio nazionale, ma per questo possono aiutarci tecnologia e creatività.
Titolavo in un articolo recente “Perché i Millennials scelgono Google”. Molte aziende hanno difficoltà nel ricercare i giusti talenti. Lo Smart Working può rappresentare una leva da sfruttare per attrarre personale di valore?
Lo Smart Working fa parte del lavoro del futuro, alcune grandi aziende hanno già modificato gli spazi fisici proprio in funzione di un lavoro agile rispetto alla postazione fissa. Le PMI, realtà forte del lavoro in Italia, stanno lavorando e studiando per capire come evolvere in questo senso. Oggi leggevo un articolo in cui si diceva che “Il lavoro per la vita e quello dalle 9 alle 17 non esiste più” (clicca qui). In un mercato del lavoro caratterizzato dall’instabilità, in un mondo che ha accorciato le distanze e che spinge sempre più sull’acceleratore, sarebbe anacronistico pensare il contrario. I veri “talenti”, dal mio punto di vista, sono coloro i quali non cercano solo un lavoro, ma sfruttano al meglio le opportunità che il mondo in cui vivono offre loro, e quindi non possono restare ancorati alla postazione fissa. Poi sarebbe interessante discutere se talenti fa rima con Millennials, magari lo faremo in un’altra chiacchierata.
Lo Smart Working però spaventa. Secondo te perché? Sperimentare però potrebbe esser una buona soluzione per capire se è un bene o un male per l’azienda.
Fa paura come tutte le cose nuove. Non dimentichiamoci, poi che lo Smart Working richiede che siano i manager a mettersi in gioco in prima persona, rivedendo le modalità di gestione delle loro risorse, di valutazione delle performance attese, e anche – se non soprattutto – un rinnovamento del loro stile di leadership. Dalla mia esperienza (con SmartforExpo ho avuto modo di incontrare diverse e numerose realtà aziendali) fa paura non avere i dipendenti sotto i propri occhi, sono passati 30 anni da quando Orwell creando “Il Grande Fratello” parlava di una superiorità assoluta nella piramide gerarchica dominata da uno sguardo e da un controllo costante, ma la vista sembra essere ancora il metodo migliore per assicurarsi che il dipendente lavori. La sperimentazione aiuta e facilita, ma ci vuole coraggio anche per quella, soprattutto perché, come indicava il Sole24ore qualche giorno fa, il 75% delle imprese che hanno sperimentato esprime un giudizio positivo; quindi alla sperimentazione va fatto seguire un progetto (e una volontà concreta) di innovazione.
Quali sono i suggerimenti che daresti per trasformare un’azienda e farla concorrere al Great Place to Work? Da dove partiresti per avviare un processo di rinnovamento?
Un’azienda che possa realmente definirsi un Great Place to Work è quella che agisce come tale 365 (o 366 come in questo caso) giorni l’anno, ed è questa è la vera sfida. Personalmente ritengo fondamentale, prima di avviare qualsiasi processo di rinnovamento, ascoltare le persone per cui si lavora. Sono loro i veri clienti, e quindi bisogna conoscere i loro desideri, i loro bisogni, le loro necessità, per decidere quale strada intraprendere e quali comportamenti migliorare. La sopracitata Google (vincitrice del GPTW World 2015) ritiene che sia fondamentale la coesione grazie a cui si crea una cultura aziendale che rende l’ambiente di lavoro divertente, accogliente e familiare. Per Microsoft (vincitrice del GPTW Italia 2015) lo Smart Working rappresenta il punto di forza, visto in ottica di miglioramento del work life balance dei dipendenti. In ogni caso mettere il lavoratore al centro è l’unica vera strategia per essere un Great Place to Work, e per farlo bisogna conoscerlo.
Scoprire talenti con lo Smart Working? Certo!