Il ruolo importante della comunicazione nelle organizzazioni
Quale ruolo occupa la comunicazione nelle organizzazioni in situazioni di emergenza? E nell'implementazione di progetti smart working?
Comunicare… Un’azione così naturale che raramente ci fa fermare a riflettere; cosa che invece dovremmo fare, data la sua importanza. La comunicazione è il doppio filo che lega gli esseri umani e che influenza, nel bene o nel male, la nostra quotidianità.
Lo stesso vale per aziende ed organizzazioni; perché, dopotutto, anch’esse sono composte da persone che comunicano. Comunicano per condividere informazioni esternamente ed internamente, per stabilire obiettivi e compiti, per promuovere e vendere.
Infatti è proprio il processo comunicativo che influenza l’efficienza e l’efficacia di un’azienda ad ogni livello, che trasforma, semplifica o amplifica situazioni di emergenza e di crisi.
Un buon clima comunicativo influisce sulla cultura aziendale e migliora così la base per adattarsi ad ogni trasformazione; anche se si tratta di un cambiamento radicale come lo smart working.
Il ruolo fondamentale della comunicazione in un progetto smart working
Se c’è una buona comunicazione in azienda, dipendenti e management interagiscono serenamente e collaborano senza ostacoli per raggiungere gli obiettivi comuni. Migliorano i processi e si riducono gli errori.
La comunicazione fa da collante all’intera organizzazione ed è determinante per l’implementazione di nuovi processi. Si pensi che le organizzazioni connesse aumentano la produttività del 20 – 25%. Ed ecco che anche nell’implementazione dello smart working una corretta comunicazione è fondamentale.
Ma cosa accade se in questi momenti di profonda trasformazione il dialogo in azienda diventa poco chiaro? Oppure cosa accade alla comunicazione quando sopraggiungono situazioni di emergenza?
Risponde a queste domande Federico Sbandi, Digital Executive Brunswick Group, che ho voluto intervistare per approfondire il ruolo che occupa la comunicazione in azienda quando sopraggiungono situazioni di emergenza e per capire l’importanza del processo comunicativo nei periodi di profonda trasformazione, come avviene nell’implementazione di un progetto smart working.
Puoi approfondire l’argomento comunicazione e smart working insieme a Federico Sbandi: partecipa al Digital Meeting “Comunicare lo smart working“.
Come comunicare lo smart working? La parola a Federico Sbandi
Q. Ciao Federico, grazie per avermi dedicato il tuo tempo e per essere qui su Spremute Digitali. In situazioni di crisi sappiamo che una corretta comunicazione è tutto. Sono le situazioni di emergenza che fanno capire quanto i media giochino sull’utilizzo del linguaggio per ottenere le reazioni che vogliono (audience, traffico, click). Quale prassi sarebbe opportuno seguire per gestire al meglio le crisi con etica e rispetto verso le persone?
A. Punto primo: avere una forte leadership e un team dedicato alla comunicazione di crisi. Muovere i giusti passi in questi tempi di sabbie mobili, può avvenire solo se il CEO ha visione e umanità.
Al contempo avere una squadra composta da responsabili di comunicazione, marketing, digital, media relations, HR… significa restringere il campo di azione ad un numero limitato e pertinente di persone, che si traduce in decisioni veloci e allineamento immediato.
Punto secondo: accettare il fatto che le persone – sia interne che esterne all’azienda – vivono uno stato di incertezza e hanno bisogno di punti fermi. Metterci la faccia, comunicare via video coi propri dipendenti riduce le distanze, molto più di un’email o una semplice telefonata.
Utilizzare un linguaggio moderato nei confronti di clienti e stakeholder restituisce invece quel senso di equilibrio, di positivo pragmatismo, che non significa rifiutare la difficoltà del momento, ma affrontarla a viso aperto con una visione del domani.
Q. Quanto può essere determinante nell’implementazione dello smart working una buona comunicazione con il team work? Comunicare può aiutare a risolvere e gestire possibili resistenze interne?
A. Comunicare è fondamentale per risolvere qualunque frizione interna. È il caso di moglie e marito che si tengono tutto dentro e finiscono per esplodere all’improvviso, anziché elaborare potenziali criticità in modo sereno.
È il caso dunque anche delle aziende, che in quanto grandi famiglie interconnesse devono anticipare le paure e le insoddisfazioni dei propri dipendenti con testa e cuore. La testa permette di creare una struttura di comunicazione che non lascia nessuno per strada e non dà nulla per scontato. Il cuore consente di aggiungere un elemento di umanità.
La comunicazione è una scienza e deve essere trattata come tale. Schedulare un numero eccessivo di video conferenze significa creare più disturbo che valore ai membri di un team, ad esempio; così come programmare troppi pochi appuntamenti digitali rischia di passare l’idea che non ci sia interesse a condividere.
È un equilibrio delicato tra il comunicare troppo e il troppo poco che le aziende devono mantenere e rispettare con le persone; per far sentire tutti a bordo e non lasciare indietro nessuno. E assicurarsi che tutti, compresi i remote workers si sentano parte del team.
Q. Divulgare correttamente informazioni è fondamentale per chi svolge la professione di comunicatore. Cosa sta accadendo con lo smart working, la comunicazione sta giocando un ruolo fondamentale nella sua diffusione?
A. Prima del coronavirus fare smart working in Italia era qualcosa di speciale, quasi avveniristico, al punto tale che se ne parlava poco e, chi lo praticava, lo faceva in via sperimentale, o comunque senza osteggiare.
Durante il coronavirus il mondo che noi conosciamo – quello della comunicazione e del marketing che può operare da casa – ha abbracciato forzosamente il lavoro domestico, che è ben diverso dallo smart working, ma ne sposa un concetto base, cioè l’assenza di necessità di sovrapporre lavoro al suo luogo naturale di svolgimento.
La comunicazione del lavoro da remoto ha portato molte di queste aziende a condividere screenshot delle loro video conferenze su canali pubblici e privati, contribuendo a diffondere il verbo di una pratica che improvvisamente sembra assolutamente plausibile per i più.
Mostrare frammenti di appuntamenti digitali, e mostrare i volti dei protagonisti, ha contribuito a restituire l’idea che una video conferenza, dopotutto, può essere umana tanto una riunione di lavoro in compresenza fisica. E che, soprattutto, le task possono essere completate anche in pigiama.
Q. Secondo la tua esperienza, quali canali e strumenti possono accelerare l’implementazione dello Smart Working?
A. Innanzitutto partirei dall’esistente. Aziende che da sempre utilizzano lo stesso software di video conferenza o lo stesso social di comunicazione interna, ne conoscevano a malapena il 50% delle funzionalità. Dunque bisognerebbe essere pragmatici e partire da quello che l’azienda già ha, valorizzando gli strumenti preesistenti e formando seriamente le persone su questi.
Dopodiché bisognerebbe abbracciare logiche amiche a imperi digitali come Google e lontane alle aziende vecchio stampo, in cui non è ancora chiaro il concetto di lavoro in condivisione.
Lavorare a documenti, fogli di lavoro e presentazioni in condivisione significa avere costante redistribuzione dell’intelligenza di un’azienda. Più persone possono accedere, e lavorare, su uno stesso file in contemporanea. Non hanno più bisogno di alzare la mano e chiedere al collega se abbia finito di operare su un certo documento salvato in server per potervi accedere. È una scena che fa ridere, perché anacronistica, ma che impera nelle aziende italiane di oggi e alimenta l’illusione che sia davvero importante essere fisicamente nella stessa stanza per rendere efficienti i processi di lavoro.
È un esempio piccolo che sembra guardare al dito, e invece guarda alla luna.
Smart working non è una modalità di lavoro, è soprattutto un approccio mentale per il quale riesci a bypassare una serie di piccoli interminabili preconcetti legati alle dinamiche lavorative.
Non significa negare il valore umano dello stare insieme ai colleghi in uno stesso spazio di lavoro. Significa abbracciare l’idea che gli strumenti operativi e i canali di comunicazione per fare smart working sono già sotto il nostro naso, e non richiedono competenze aerospaziali.
Si tratta solo di guardarli con gli occhi giusti – quelli della fiducia verso i propri collaboratori e del pragmatismo verso la definizione degli obiettivi.
Grazie per la disponibilità Federico e per questa interessante intervista!
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