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Lavoro agile: non confondiamolo con la libera professione

non confondere lavoro agile e libera professione

In questo grande caos dettato dalla pandemia lavoro agile e libera professione continuano a essere confusi, generando false aspettative.

A pochi giorni dal mio recente articolo “Lo Smart Working è morto? Alla ricerca dell’equilibrio nella posizione”, sento il bisogno di tornare sul tema per aprire un altro aspetto su cui si sta generando confusione: una persona che lavora da remoto in un’organizzazione non è equiparabile ad un libero professionista.

In questo grande caos dettato dalla pandemia, dilagano post che, indipendentemente dalla situazione organizzativa e contrattuale, parlano di lavoro da remoto. Questo influisce ancora una volta a confondere le idee delle persone, aumentando – ahimè – spesso anche le aspettative.

Se è chiaro che un “libero professionista” è assolutamente “libero” di scegliere le condizioni, i luoghi, gli orari, chi e quando incontrare qualcuno, ecc., non lo è per un “dipendente” (termine che non amo ma che scelgo di utilizzare proprio per identificare una situazione di base molto diversa).

I termini, da soli, semplicemente fanno comprendere che parliamo di due categorie professionali che viaggiano su percorsi diversi, con indicazioni molto distanti tra loro: per quali motivi, nel mezzo del cammino, verrebbero meno le condizioni di partenza diverse portando gli stessi sulla medesima strada, con davanti le identiche possibilità/criticità?

Lavoro agile e libera professione: due mondi paralleli, ma diversi

Sia chiaro che sono un’amante dell’Intrapreneurship (il mindset imprenditoriale, che orienta il professionista in azienda al raggiungimento degli obiettivi e non solo all’assolvimento dei suoi compiti; propensione chiave oggi per innovare e creare impatto nella propria realtà organizzativa), sostengo il potenziale imprenditoriale da liberare nelle organizzazioni (illuminante è stato per me il libro di Roberto Battaglia – “Startupper in azienda”), ma credo che qui il tema sia un altro: ancora una volta le mode che portano a semplificare eccessivamente temi molto più complessi, a partire dalla normativa.

Per anni sono stata una libera professionista e auguro a tutti un percorso imprenditoriale, ma qui credo che i liberi professionisti stiano influendo in questa errata visione di lavoro da remoto nelle organizzazioni.

Stiamo banalizzando in rete temi e processi organizzativi, illudendo le persone che tutto sia possibile con questa formula magica dello Smart Working, ma per un “dipendente” non è così. Riprendo la chiusura del mio articolo prima citato, che bene si presta anche a questa riflessione:

Ci sono tanti “dipende” da affrontare prima di schierarsi: dipende dalla tipologia dell’azienda, dipende dalle modalità di svolgimento del lavoro da remoto, dipende dal livello di fiducia diffusa, dipende dalla seniority, dipende dal momento professionale in cui si trova ciascun lavoratore, dipende dal ruolo, dipende dall’attività, dipende dalla città, dipende dalla tecnologia a disposizione, dipende dalle normative che verranno fatte.

E, soprattutto, dipende dalle preferenze delle persone e dalla maturità organizzativa di cui è composta l’Azienda.

Tutto questo non impatta sul libero professionista, che è appunto – per scelta e di fatto – libero dai dipende perché risponde quasi esclusivamente solo a se stesso nel suo lavoro quotidiano.

Un conto è spronare le persone a liberare il loro potenziale di fiducia, autonomia e responsabilità, far immaginare percorsi imprenditoriali; un altro è far credere che nell’organizzazione di cui fanno parte possono fare qualsiasi cosa, viaggiando da un parte all’altra perché contano solo gli obiettivi e i risultati. Sarebbe bello semplificare così il funzionamento delle organizzazioni, i processi interni e le dinamiche dei team, ma la vita aziendale, come il lavoro di squadra, è un’altra cosa e il rischio che stiamo correndo è quello di creare anche l’illusione che un dipendente possa giovare in tutto e per tutto del più grande vantaggio della libera professione, ovvero organizzare il proprio tempo come meglio crede, a patto di rispettare le consegne, non avendo orari, o obblighi, decidendo come e quando lavorare.

Nella vita vera, chi fa parte di un’organizzazione ha maggiori tutele e garanzie, ma – ovviamente – deve adeguarsi ai processi aziendali e alle regole (tacite o meno) dei team, del capo, della struttura. La stessa crescita interna è possibile anche grazie a quel sano e costruttivo networking interno che aumenta le possibilità. Fare una crescita interna richiede una solida e concreta conoscenza dell’organizzazione, rapporti consolidati con i colleghi e con i capi, osservazione delle opportunità – anche quelle più indirette. Questi solo alcuni degli esempi per ricordarci che la vita organizzativa è fatta dal contesto che si vive senza filtri e questo non può venire meno per un dipendente, se vuole vivere pienamente la sua carriera.

Cosa sarà dipendenza e quale l’impatto della libera professione

A questo punto andrebbe aperta un’altra parentesi in questa riflessione: cosa sarà domani “dipendenza” e quanto impatterà la nuova logica dei consulenti a partita IVA nelle organizzazioni?

Questo considerando lo studio di Gartner che, tra i trend (alla luce anche del Covid-19), ha individuato un maggior ricorso delle aziende a lavoratori occasionali per ridurre i costi e aumentare il personale – i gig workers (lavoratori in proprio che intervengono solo quando c’è richiesta).

Per le organizzazioni si tratta di una vera e propria R-Evoluzione che richiede di ridisegnare completamente l’esperienza delle proprie persone. Tante sono le domande che hanno davanti:

  • servono davvero e cosa si fa nelle sedi?
  • Vanno e come riadattati gli spazi?
  • Quali sono i momenti davvero fondamentali che richiedono la presenza in ufficio?
  • Come rivedere i processi quotidiani?
  • Cosa dice la legge rispetto a queste dinamiche nuove?
  • Sono necessari ancora orari di lavoro ben definiti e, se sì, per chi?
  • Quali sono gli strumenti più adatti?
  • Cosa far diventare regola, cosa linee guida e cosa libera scelta?
  • Come si coltiva il senso di team a distanza?
  • Come possono le Risorse Umane e i manager “arrivare” empaticamente nelle case delle persone?
  • Quale stile di leadership andrebbe incentivato?

Sicuramente l’esperienza di un libero professionista può ispirare, ma nelle imprese le dinamiche sono davvero più complesse, comprendendo tanti diversi aspetti, coinvolgendo un numero altissimo di stakeholder. Le corporate hanno ora come obiettivo principale quello di continuare ad essere un’organizzazione sostenibile, fatta di persone che abbiano uno spiccato senso di appartenenza e una visione comune.

In estrema sintesi: il lavoro da remoto è possibile, ma non per tutti e non in egual modo, meno che meno nel paragone tra due mondi che sono e resteranno distanti.

È il tempo dello YOLO – You Only Live Once -: ben vengano i piani B per tutti (anche i C, o gli Z), ma non le semplificazioni che portano a fare scelte sbagliate, spinte da visioni lontane dalla realtà.

Lavoro agile: non confondiamolo con la libera professione

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