I migliori e i peggiori rebranding del 2021
Quali sono stati i migliori rebranding del 2021? Nel settore automotive e nel mondo del calcio troviamo i casi più interessanti.
Una lista di casi di Rebranding per conoscere i migliori e i peggiori del 2021. Sei d'accordo anche tu con la nostra analisi?
Si può dire che il 2021 sia stato “l’anno del rebranding”, sono tantissimi i settori le cui aziende hanno deciso di intraprendere un percorso di riformulazione del loro brand. Naturalmente, ci sono stati casi di rebranding che hanno riscosso più successo e altri meno, ma il fil rouge di tutti questi progetti è rappresentato dal ritorno allo stile degli anni ‘70, ‘80 o ‘90. Andiamo ad analizzare nel dettaglio i casi più interessanti.
I migliori e i peggiori rebranding nel settore automotive
Il settore automotive è stato quello più coinvolto nei cambi di rotta dei brand. C’è chi l’ha fatto per un’esigenza personale e chi, invece, ha seguito l’onda del trend.
Renault
Per quanto il caso Renault sia passato quasi inosservato, non vuol dire che non sia stato efficace. Spesso capita che le case automobilistiche non diano troppa importanza ad un cambiamento della brand image per evitare che si perda l’attenzione sul prodotto.
Anche se non si tratta di un rebranding radicale, il restyling ha decisamente rinfrescato il logo, rendendolo più dinamico e contemporaneo. Anche se, a primo impatto, può ricordare uno stile anni ‘70, ‘80, sulle auto il logo funziona perfettamente e le rende più “futuristiche”.
Dacia
Dacia, a differenza di Renault, ha operato un rebranding totale. Il cambiamento non ha riguardato soltanto il logo, anzi: il restyling è stato integrato con un cambio di rotta anche in termini di stile di comunicazione.
L’obiettivo della casa automobilistica rumena aveva intenzione di far capire al suo target che sarebbe diventata la macchina del futuro. Lo statement è stato perfettamente espresso in termini di rebranding, tant’è che il nuovo logo ha irrobustito le linee acquisendo stile e coraggio.
Anche in questo caso c’è quel sentore di retrò che, in qualche modo, ci fa proiettare maggiormente nel futuro.
Peugeot
C’è, poi, Peugeot. Anche in questo caso, si è passati da un logo in stile 3D a un’illustrazione. Il leone in piedi, così come lo conoscevamo, ha lasciato il posto a una sua testa disegnata su uno scudo. Qui, il ritorno a uno stile del passato non ha avuto la funzione di rinfrescare l’immagine del brand, anzi ha appesantito il risultato finale del visual.
In ogni caso c’è bisogno di dire che il resto delle azioni di rebranding hanno compensato il “fallimento” del restyling perché la brand image di Peugeot ha comunque reso giustizia ai nuovi modelli di auto che sono più che moderni.
Volvo
Anche la casa automobilistica tedesca Volvo ha seguito il trend emerso nei case study precedenti, rinunciando al logo in tre dimensioni per adottare un’illustrazione dalle linee piatte. In questo caso, però, sembra che ci sia stata un’esecuzione passiva, fatta solo per “imitare” le mosse degli altri player sul mercato.
Il nuovo logo come puoi vedere nell’immagine qui sopra, anche se modernizzato, risulta incompleto e non rende giustizia al carattere che contraddistingue il brand e il design delle sue autovetture.
I migliori e i peggiori rebranding nel calcio
Ormai, le società calcistiche sono diventate dei brand a tutti gli effetti. Questo implica che si sottopongano a diverse strategie di marketing tra cui, ovviamente, anche il rebranding. Possiamo tranquillamente dire che non si parla più di stemmi o di scudetti, ma di veri e propri loghi.
E, com’è giusto che sia, questi loghi spesso hanno bisogno di essere “svecchiati”. Anche in questo settore ha fatto da padrone il trend minimalista di semplificare le figure e rendere le linee più semplici.
Il nuovo logo dell’Inter
Il caso di rebranding calcistico più discusso è stato quello della FC Internazionale di Milano. Innanzitutto, sono diminuiti i caratteri che costituiscono il logo, lasciando soltanto le iniziali di Inter e Milano, con la conseguente semplificazione dell’intreccio delle linee.
I colori sono passati da tre a due, rimanendo sull’iconico neroazzurro, simbolo della squadra e della tifoseria. L’impatto visivo è decisamente cambiato, ma è rimasto il legame con i valori e l’identità del brand. Il restyling, anche in questo caso, è stato integrato con un nuovo stile di comunicazione sia digital che offline.
La nuova brand identity del Sevillia
Il caso del football club Sevilla rientra nella categoria di un total rebranding, poiché è cambiata completamente l’identità visiva del brand.
Se, da un lato, il restyling del logo poteva essere più coraggioso, dall’altro il cambio look del font è perfettamente in linea con i valori del club, ma anche della città di Siviglia. Il logo, però, ha subito, in questo caso, un appiattimento delle figure che, più che mettere in risalto alcuni elementi rispetto ad altri, crea confusione.
Il rebranding c’è, non si vede ma si percepisce
In molti casi più che dei rebranding radicali, le operazioni intraprese dalle aziende sono state delle modifiche o degli “aggiornamenti”, che hanno comunque lasciato il segno. Ciò accade quando il brand ha già una identity forte e ben definita e le modifiche visive non fanno altro che aumentarne il valore percepito.
Rebranding in Italia: Gruppo Fedrigoni
È il caso del Gruppo Fedrigoni, azienda italiana che opera da decenni nel campo della tipografia e che si è affidata al colosso dei loghi e del design Pentagram per apportare delle impercettibili, ma efficaci modifiche alla propria visual identity.
Data la molteplicità di aziende che fanno capo al gruppo, si è, infatti, pensato di declinare la già ben definita identità del brand su ogni marchio appartenente ad esso. Così facendo, si è ulteriormente rafforzata la brand identity su tutti i diversi canali e settori che il brand occupa.
Il rebranding, ovviamente, è stato integrato con una comunicazione digital e offline.
In America: Campbell’s e Abc
Anche in questo caso, i due brand americani Campbell’s e abc hanno una forte brand identity. Infatti, il lavoro di rebranding non ha stravolto i due loghi, ma ha visto solo l’introduzione di piccole modifiche in termini grafici.
In particolare, le modifiche apportate al logo di Campbell’s sono così minimal da poter non essere colte da un occhio meno esperto. A uno sguardo più attento, si può, invece, notare un cambiamento nelle linee del font, non più continue ma tagliate, che alleggeriscono il visual.
Con la abc ritorna il discorso del passaggio da un logo in rilievo ad uno più piatto che, però, rende più dinamica e moderna la figura.
Probabilmente, queste due tipologie di modifiche sono le più impercettibili, ma anche quelle più pensate e ragionate: viene fatto un lavoro “chirurgico”, sia concettualmente che nella pratica, lasciando al brand il suo valore originario e rimanendo contemporaneamente al passo con i trend e le necessità del mercato.
I grandi protagonisti del 2021
Durante il corso dell’anno ci sono stati dei casi di rebranding che hanno diviso i pareri, sia in positivo che in negativo, degli interessati e non solo.
Il rebranding di Pfizer
La multinazionale farmaceutica Pfizer ha attuato una strategia di rebranding che aveva un obiettivo ben preciso: distaccarsi dal visual che rimanda alla forma di una pillola, per posizionare l’azienda, in termini più generali, sulla produzione di ogni tipo di farmaco. Per questo, a livello visual si è deciso di eliminare la cornice ovale, per adottare una forma a spirale che ricorda il DNA, con un chiaro riferimento al tema della ricerca farmaceutica.
Si è parlato molto di questo caso, poiché ha diviso i pareri delle persone. Alcuni l’hanno commentato come uno dei casi di restyling più efficaci, per altri il pittogramma non rispecchia a pieno i valori del brand, rimanendo troppo generico.
Facebook diventa Meta
Un altro caso oltremodo dibattuto del 2021 riguarda la scelta di Mark Zuckerberg di trasformare Facebook in Meta. Il nuovo brand è solo il sintomo più visibile di un cambiamento più importante in termini di modello e aree di business presidiate dall’azienda, cosa che ha reso il rebranding di Facebook molto chiacchierato perché ci si aspetta che apporterà cambiamenti radicali alla nostra quotidianità.
Il logo scaturito dal rebranding ha, anche in questo caso, diviso i pareri: se, per alcuni, il nuovo logo, che imita il simbolo dell’infinito, è perfettamente in linea con il rebranding, per altri rimane un logo freddo e generico che non si identifica nei valori del brand.
Una spiegazione al fatto che si sia scelto un simbolo così generico e conosciuto, potrebbe essere data dall’obiettivo di Meta di rivolgersi all’intera popolazione mondiale.
Il rebranding di Burger King
Burger King è l’emblema di ciò che abbiamo detto all’inizio sul trend dei loghi che riprendono uno stile anni ‘70 e ‘80.
Il restyling totale della catena di fast food, infatti, ha visto tornare in auge il logo che Burger King ha utilizzato nel periodo compreso tra gli anni settanta e i novanta. Interessante l’idea di utilizzare una risorsa già in possesso dell’azienda, valorizzandone l’heritage e aggiornandola ai nostri tempi.
È stato integrato anche un cambiamento nel packaging, che ora riporta immediatamente al mondo dei fast food anni ‘70. Questa strategia facilita l’accoglimento del cambiamento da parte delle persone, che percepiscono il nuovo brand come è, perfettamente in linea con la percezione che già avevano dello stesso.
Due rebranding per un’azienda: Hugo e Boss
Il marchio di moda Hugo Boss ha attuato una strategia di doppio rebranding per i suoi due “sotto-marchi”: Hugo e Boss.
Prima del rebranding, i marchi, già destinati a due target diversi, erano distinti principalmente dal font utilizzato nel logo. Per il brand di fascia media HUGO era utilizzato il font sans serif, che dava un’idea di sportività e boldness. Per il brand BOSS, destinato a un target più alto e di fascia premium, il font adottato era un serif elegante.
Ad oggi, il marchio ha deciso di mantenere la distinzione tra i due brand, accentuandola, anzi, in termini di comunicazione e campagne pubblicitarie, in particolare in ambito digital. Ha, però, uniformato il font dei due loghi, adottando per entrambi la tipologia sans serif, più dura e statica.
Se si guarda alla totalità della strategia, il rebranding così com’è stato fatto, è una mossa che potrebbe rivelarsi vincente. Questo perché lo stile delle comunicazioni si riferisce in modo più preciso al tipo diverso di target, in termini di tone of voice, influencer e canali di comunicazione.
Se, però, ci si focalizza soltanto sul restyling del logo, la nota negativa è che si è persa la distinzione immediata data dal visual dei due diversi font.
Alcuni brand hanno già annunciato quelli che probabilmente saranno i casi di rebranding più chiacchierati del 2022, per esempio M&M’s e Eni, ma ve ne parleremo in un altro articolo.
Se vuoi saperne di più sulle tipologie di rebranding citate in questo articolo, ti consiglio di continuare a leggere qui.
I migliori e i peggiori rebranding del 2021