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La luce buona per lavorare

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Il progetto della luce per gli ambienti di lavoro è da diversi anni guidato da un insieme di norme che, attraverso formule e tabelle, dovrebbero aiutare il progettista a costruire uno spazio caratterizzato da elevati livelli di comfort visivo (e non solo).
L’applicazione spesso parziale e ancor più spesso meccanica di queste norme, unita all’utilizzo di semplicistici tool di verifica, ha però svilito la progettazione portando alla realizzazione di ambienti di lavoro rispettosi delle prescrizioni ma decisamente lontani dall’essere dotati degli auspicati livelli di comfort.
Recentemente è anche entrato in vigore, con il “Decreto Requisiti Minimi” del 1° ottobre 2015, l’obbligo di considerare per gli edifici non residenziali (scuole, uffici, ospedali, ecc.) il contributo dell’energia per l’illuminazione nel calcolo del fabbisogno energetico globale. La norma di riferimento – sulla “Prestazione energetica degli edifici – Requisiti energetici per illuminazione” UNI EN 15193 del 2008 – ha già 9 anni e a livello scientifico ha ricevuto diverse critiche soprattutto perché parrebbe non prendere adeguatamente in considerazione il contributo che la luce naturale può fornire per l’illuminazione di un ambiente.
Prima che Alessandro Cruto (che mi piace citare più di Thomas Edison) inventasse la lampadina (fonte), la luce naturale giocava evidentemente un ruolo fondamentale nella vita dell’uomo e di conseguenza nella progettazione degli spazi vissuti. Oggi, tale ruolo è  altrettanto essenziale nella vita dell’uomo, nonostante sia scarsamente considerato in ambito progettuale: al fine di realizzare un progetto completo è fondamentale partire sempre dall’analisi dell’ambiente e delle sue caratteristiche illuminotecniche, tenendo bene a mente che non è solo un discorso di quanta luce (troppa o troppo poca) ma anche di quale luce, dove e quando.
Studi scientifici sperimentali hanno dimostrato come la cattiva illuminazione di un ambiente lavorativo (che per molte persone oggi potrebbe essere lo spazio nel quale si trascorre la maggior parte della giornata) possa provocare disturbi del sonno, dell’appetito, dell’umore e del comportamento, depressione, irritabilità, affaticamento, difficoltà di concentrazione. Viceversa, una buona illuminazione influisce sulla salute psicofisica dei lavoratori agendo positivamente su aspetti fisiologici, comportamentali e cognitivi.
Come precedentemente osservato, quandanche tutti i parametri definiti nelle norme fossero pienamente rispettati, il progetto della luce potrebbe comunque non risultare smart, intendendo con smart qualcosa che va ben oltre l’accensione automatica dell’impianto di illuminazione artificiale. Per realizzare un progetto della luce intelligente sono necessarie soprattutto una solida preparazione scientifica ed una grande sensibilità. Non è solo un problema di numeri, è prioritario mettere al centro dell’intervento il worker e le sue esigenze esplicite, implicite e percepite.
In uno spazio di lavoro smart, un’attenta progettazione illuminotecnica deve prendere in considerazione in maniera olistica tutti gli aspetti legati al comfort. Aumentare, ad esempio, le superfici trasparenti dell’involucro dell’edificio, permette alla luce naturale di penetrare maggiormente nello spazio, riducendo la necessità di ricorrere all’illuminazione artificiale (con un notevole risparmio energetico) e rende possibile godere della vista degli spazi esterni. Ma è importante bilanciare questi innegabili benefici con la necessità di privacy, di concentrazione e di contenimento dell’irraggiamento solare per evitare che lo spazio di lavoro si trasformi in una serra.
Quello che più comunemente accade è invece che sul posto di lavoro la luce artificiale sia accesa per tutta la giornata, anche quando il sole brilla alto in un cielo senza traccia di nuvole, solo perché diversi errori progettuali poi vengono successivamente “risolti” attraverso l’uso della tecnologia.
Aspetto non secondario è inoltre quello della formazione dei worker all’uso dello spazio.
Alla “luce” di quanto discusso, sorgono alcune domande: è possibile misurare la qualità della luce? È possibile rendere lo spazio di lavoro più attraente e produttivo attraverso un buon progetto della luce? È possibile, quando le condizioni non permettono agli spazi di lavoro di essere ben illuminati con la luce naturale, poterne in qualche modo “imitare” le complesse caratteristiche utilizzando la luce artificiale? È possibile che la luce risponda alle diverse esigenze di worker diversi che svolgono attività diverse?
Nei prossimi articoli affronteremo questi e altri argomenti inerenti lo smart working e la luce.
 
Smartworking, lavoro agile

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