New Ways of Working

Lo smart working è per tanti, ma non per tutti. A chi conviene?

a chi conviene lo smart working

Lo smart working è per tanti, ma non per tutti

Dopo l’approvazione della legge da parte del Senato la scorsa primavera (ddl sul lavoro autonomo e agile), si sente sempre più parlare di Smart Working e lavoro agile. La legislazione italiana ufficialmente li definisce come “una modalità flessibile di lavoro subordinato, che può essere svolto in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, utilizzando strumenti tecnologici, seguendo gli orari previsti dal contratto di riferimento e prevedendo l’assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti all’esterno dei locali dell’azienda”.
L’obiettivo dichiarato, esteso anche alla PA, è di incrementare la produttività e favorire la conciliazione dei tempi vita-lavoro, riducendo lo stress e conservando agevolazioni fiscali e contributive, anche per questa formula d’impiego. Ciò permetterebbe di migliorare anche la qualità di vita del dipendente, con la possibilità di attrarre talenti in azienda.
Ma, se di Smart Working e di aziende che adottano pratiche di lavoro agile si legge sempre più spesso, ancora non è ben chiaro chi sono gli smart workers, e a chi conviene lo smart working e cioè questa modalità di lavoro più flessibile e mobile, davvero calza a pennello.

Chi sono i lavoratori agili?

Per rispondere a questa domanda, vediamo un po’ di numeri:
Secondo una ricerca internazionale condotta da Regus (105 i paesi coinvolti per un totale di 44mila interviste) in Italia il 51% dei manager, dei professionisti e dei cosiddetti “knowledge workers” – in linea con la media mondiale del 52% – lavora già lontano dall’ufficio per almeno metà della settimana (oltre 2,5 giorni).
L’Osservatorio statistico della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro riporta che tra i lavoratori autonomi la quota di smart workers è al 13,4%, mentre tra i collaboratori si arriva al 9,9 per cento. Quando si passa al lavoro dipendente la percentuale cala drasticamente, posizionandosi a quota 1,5, pari a 259mila persone.
Un’analisi che evidenzia come l’impiego “agile”, tra i dipendenti, sia soprattutto a vantaggio dei profili elevati: a fronte di una media generale dell’1,5%, i dirigenti che lavorano fuori ufficio salgono al 5,3%, e i quadri si assestano al 3,6%, gli impiegati si fermano all’1,6% mentre gli operai non vanno oltre lo 0,9 per cento.
Anche il tipo di attività svolta influisce sensibilmente sull’utilizzo dello smart working, con al vertice gli specialisti in scienze matematiche, chimiche, fisiche, naturali e informatiche (ma probabilmente soprattutto quest’ultimi), che possono vantare una quota del 6,2% di dipendenti “agili”.
In base all’analisi condotta dall’Osservatorio smart working della School of Management del Politecnico di Milano in collaborazione con Doxa – indagine su circa 340 manager dell’It, Hr e Facility – il lavoratore “smart” è spesso un uomo (nel 69% dei casi), che risiede soprattutto al Nord (52%, 38% nel Centro e nel 10% al Sud) e che lavora in una grande impresa.

Come rendere più agili i lavoratori?

Nonostante questi dati non siano ad una prima occhiata incoraggianti, lavorare agile è piuttosto semplice e dà ottimi risultati. Questa nuova filosofia del lavoro è sempre più oggetto d’attenzione per le aziende che vedono nello smart working un progetto su cui investire tempo e risorse.
Per rendere il lavoro agile ancora più agile e diffuso, è importante introdurre in azienda una cultura che punta alla flessibilità di luogo e orari di lavoro, oltre a una riorganizzazione degli spazi. Senza dimenticare la necessità di mettere a disposizione tecnologie per connettere le persone a distanza e sistemi/informazioni sulla sicurezza.
Ma la smart economy non è fatta solo di tools: le soft skill, infatti, sono altrettanto importanti.
Ecco allora che entrano in gioco le capacità di gestione del tempo e degli spazi piuttosto che la definizione di obiettivi e metriche per tenere il passo rispetto al proprio lavoro e la condivisione dei risultati con colleghi e capi.
Perché non basta lavorare fuori dall’ufficio con orari flessibili per rendere il lavoro più agile. Bisogna anche saperlo fare smart, per evitare di ritrovarsi più stressati dallo smart working che dalle 8 ore in ufficio!


Leggi anche Smart Working check list: i 5 punti chiave per essere un lavoratore agile (e felice)


Chi sono, quindi, gli smart workers?

  • Coloro che lavorano per un’azienda che ha introdotto progetti di Smart Working;
  • Lavoratori autonomi, che collaborano con diverse aziende;
  • Dipendenti e professionisti, che non hanno la necessità di essere fisicamente presenti sul luogo di lavoro (se sei un commesso, difficilmente potrai essere un lavoratore agile);
  • Persone che hanno fatto del “lavoro per obiettivi” la loro filosofia di vita e che sanno trovare il giusto equilibrio tra dimensione lavorativa e dimensione privata;
  • Persone che non hanno problemi a essere geograficamente dislocate rispetto ai colleghi, e a sviluppare con loro una relazione più digitale che fisica.

E tu, sei pronto a dare una svolta smart al tuo lavoro?
Francessca Zuffi

Lo smart working è per tanti, ma non per tutti. A chi conviene?

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