Inclusività digitale: Come si fa?
L’inclusività digitale è un tema particolarmente sentito in molte organizzazioni innovative che credono che la vera innovazione dovrebbe essere diffusa, condivisa e compresa da tutti. Intervista a Oscar Chinellato, Senior Developer di Interlogica.
Quando si parla di inclusività digitale, si fa presto a pensare che la tecnologia rappresenti un futuro del quale nessuno può fare a meno. Eppure, in Italia e nel mondo, persistono situazioni in cui non è ancora così scontato avere accesso a una connessione dati o avere le competenze digitali necessarie a lavorare con il PC.
Abbiamo incontrato Oscar Chinellato, Senior Developer in Interlogica, software house specializzata nella consulenza tecnologica, che ha fatto dell’inclusività digitale la propria missione.
Persone che lavorano per altre persone in maniera etica e rigenerativa per creare prodotti sostenibili e inclusivi a tutto tondo e per restituire valore alla società.
Oscar Chinellato, Senior Developer di Interlogica.
Intervista a Oscar Chinellato, Senior Developer di Interlogica
D: Interlogica si propone di lavorare per affermare una cultura digitale inclusiva. Come si attiva concretamente questo purpose nella vita di tutti i giorni?
R: Il nostro proposito come azienda recita: “Cogliere la sfida di realizzare un nuovo mondo in cui tecnologia e umano esprimono il meglio di sé stessi.”
Ogni nostro intento si genera e si sviluppa a partire da questo scopo. Lavoriamo con le tecnologie di frontiera e siamo abili nell’implementare i processi di business nella catena di valore di chi si rivolge a noi.
Nel fare questo, non solo siamo attenti al prodotto stesso, tenendo bene in mente i driver di una disciplina come la User Experience, ma poniamo sempre al centro del nostro approccio le persone.
Ascoltiamo le loro esigenze, ci mettiamo nei loro panni e studiamo soluzioni ad hoc che migliorino la loro vita.
Inoltre, nel corso degli anni, abbiamo avuto dei partner come Informatici senza Frontiere, oppure la recente Oasi di Troina che di questo fanno una vera e propria missione. Per non parlare delle connessioni con associazioni come She Tech e Women in Games, bandiere dell’inclusività di genere, che ci sostengono nella diffusione di eventi come il nostro Code in the Dark (vedi sotto), dedicato al target developer (notoriamente presidiato da uomini).
D: A oggi, quale pensi che sia, in Italia, la principale barriera alla realizzazione dell’inclusività digitale e cosa possiamo fare come aziende e come persone per superarla?
R: A mio avviso, quando si parla di inclusività, si sta parlando di tutto un ventaglio di aspetti differenti tra loro.
Per esempio, mi posso riferire al gap digitale presente tra le giovani generazioni e quelle più mature, un problema non solo sui posti di lavoro (le aziende hanno necessità di digitalizzarsi), ma anche nella vita di tutti i giorni (pensiamo ai prodotti che vengono studiati molto spesso senza pensare a chi ha una certa difficoltà di utilizzo dei mezzi).
Parliamo anche della scarsa disponibilità di connettività, dell’accessibilità a siti/applicazioni/software per gruppi di persone con disabilità, oppure di squilibrio rispetto alla presenza femminile in ambito STEM.
Non vedo una soluzione univoca, vedo una varietà di risposte che la società e la politica devono necessariamente dare per ciascuna di queste voci.
E per quanto riguarda noi, come persone, come organizzazioni, vedo un grande lavoro quotidiano, che parte dalle piccole cose e dalla consapevolezza, ma soprattutto da ciascuno di noi per il suo campo di azione.
Persone che lavorano per altre persone in maniera etica e rigenerativa per creare prodotti sostenibili e inclusivi a tutto tondo e per restituire valore alla società.
Il modello di azienda/organizzazione che mi immagino risponde proprio a questi criteri nell’ottica di creare una prosperità condivisa, un valore economico, sociale e ambientale.
D: Quello che rende la missione dell’inclusività digitale ancora più sfidante è il fatto che non esiste un vero e proprio punto d’arrivo in quanto, nel corso del tempo, grazie alla trasformazione digitale e alla ricerca nel campo dell’innovazione, nasceranno tecnologie e strumenti sempre nuovi che andranno resi comprensibili e accessibili a tutti. A quest’ultimo proposito, quale credi che sia il trend tecnologico destinato a imporsi all’attenzione di istituzioni e aziende nel prossimo futuro?
R: Se devo pensare a un trend tecnologico, quello che mi viene in mente – ed è sempre più pervasivo – è l’Intelligenza Artificiale (o LE intelligenze artificiali, visto che non parliamo di un “oggetto” a sé).
“L’uomo, grazie agli sviluppi dell’IA, potrà utilizzare meglio se stesso”, dicono gli autori del Manifesto dell’Intelligenza Artificiale, un documento programmatico in sette punti che intende richiamare l’attenzione di policy maker, dirigenti d’azienda, comunicatori e utenti – che ho letto recentemente.
In questo caso, abbiamo di fronte a noi delle tecnologie in grado di “imparare” (Machine Learning e Deep Learning) per svolgere dei lavori in autonomia, e questo accade in moltissimi ambiti diversi.
Lo vediamo molto semplicemente con Dall-e, Runway, o altri servizi in grado di fare cose che noi umani… mettendo a disposizione di tutti strumenti che fino a poco tempo prima necessitavano di una curva di apprendimento alta e abilità da acquisire nel corso del tempo.
E no, non voglio assolutamente sottendere che le macchine ci ruberanno il lavoro, sappiamo benissimo che dietro ogni macchina c’è sempre un gruppo di persone che si occupa di programmarle.
Code in the Dark
Sicuramente, a questo proposito si potrebbe aprire un discorso, molto ampio e articolato, riguardo l’aspetto etico nell’IA, ma questo è tutto un altro universo.
Per conoscere da vicino Interlogica e gli sforzi che mette in campo per l’inclusività digitale, partecipa al Code in The Dark, un più che insolito contest per lo sviluppo del front-end, in cui il coding incontra luci strobo, macchine del fumo e laser.
Inclusività digitale: Come si fa?