Fare impresa in Italia: follia o speranza?
Quanto è complesso fare impresa in Italia? Purtroppo quotidianamente si ascoltano notizie poco piacevoli su imprenditori che non sopravvivono alla crisi e incontrano difficoltà nel portare avanti il loro business.
Dall’altra parte però il vento dell’ottimismo – e della ripartenza (seppur molto prematura) – mostra storie di successo e di imprenditori che, nonostante la crisi, riescono a ritagliarsi quella fetta di mercato necessaria per sconfiggere le ostilità di un’epoca in forte cambiamento. Casi certamente rari, ma reali. Quindi fare impresa in Italia è una sorta di sfida alla sorte? In certi casi si, in altri pure. Ma non è del tutto vero.
Qualche cosa è stata fatta dal Governo Italiano. Poco. Troppo poco. Ma non perchè non hanno voluto, piuttosto non hanno potuto. Un Paese vittima del suo recente – e pigro – passato non può risvegliarsi immediatamente. Necessita del tempo. Argomento complesso. Ora parliamo d’altro.
Tralasciando gli aspetti strettamente connessi alla normativa (la famosa srl a 1€ è ancora qualcosa di misterioso) e ai regimi fiscali (i costi di gestione sono insostenibili e si tassa anche l’aria che si respira) – solo per citarne alcuni – ho voluto concentrare l’attenzione su cosa significa fare impresa adesso in Italia fornendo un duplice punto di vista. Ho difatti voluto elencare gli elementi che rendono complesso l’avvio di un’attività imprenditoriale, ma allo stesso tempo evidenziare quelli su cui far leva per andare sul mercato.
Perché fare impresa in Italia adesso è facile?
Iniziamo dalle notizie buone.
#1. Maggior sensibilità verso l’imprenditoria
L’aria di ripartenza si inizia già a respirare e chi ha fiuto non vuole farsi scappare questa opportunità. Come tutti noi sappiamo, chi arriva prima sul mercato è inevitabilmente avvantaggiato nel futuro per aver sviluppato sin da subito una maggiore conoscenza e più profonde competenze di settore. In sintesi: meglio muoversi prima che gli altri inizino a farlo in massa. Oltre alla voglia di rompere alcuni vecchi schemi, si stanno diffondendo anche metodologie e logiche collaborative (crowd e community). Nuovi modelli possono affermarsi. Perchè esitare?
#2. Facilità di accesso e diffusione alle informazioni
Il web ha stravolto le logiche comunicative azzerando il concetto top-down (approccio gerarchico dell’informazione per cui la conoscenza è “roba per pochi”) e diffondendo un approccio orizzontale dove si necessita esclusivamente di una connessione a internet per essere aggiornati, informati o approfondire determinati ambiti. In passato tutto ciò era impossibile.
Si pensi anche solo alle potenzialità offerte da Skype che ti consentono di comunicare con un progettista indiano al costo di 0€, oppure alla possibilità di lavorare in real time con più persone grazie agli strumenti di Google Docs. Approfittiamone!
#3. Velocità di diffusione del proprio brand
Addio megafono e volantini. Con i social media è possibile raggiungere chiunque ovunque. Le potenzialità offerte da questi strumenti (non solo Facebook) consentono di creare un eco con una profondità di diffusione del messaggio disarmante. Esempio: avvio di una campagna social per la promozione di una nuova linea di orologi. Quale cosa più semplice di chiedere alla propria community di utenti di fotografarsi i propri orologi? Foto da tutto il mondo. Potenziale bacino di utenti: la Terra. No limit!
Perché fare impresa in Italia adesso è difficile?
Le notizie negative.
#1. Scollamento tra Università e Realtà aziendale
Studiamo le mele. Lavoriamo usando le pere. Semplifico. Il tanto brillante sistema universitario italiano purtroppo non ci piace. Anzi mi correggo. Non mi piace. Personale opinione. Ci laureiamo tardi e con poca pratica sulle spalle. Tanta teoria e cerimonie (non bastano i festeggiamenti della triennale..). Laureati in Economia che dovranno lavorare con Microsoft Excel non capaci di usarlo, a meno che non abbiano fatto l’ECDL (Patente Europea dell’Informatica). Incredibile!
#2. Incapacità di comprendere il mercato
Sicuramente lo scollamento descritto in precedenza influenza tantissimo, tuttavia molti dei futuri aspiranti imprenditori sono nati con il sogno di Mark Zuckenberg o Steve Jobs senza calarsi nella realtà italiana, lontana anni luce da quella statunitense. L’Italia ha 60 milioni di abitanti, gli Stati Uniti sono 5 volte più popolosi.
Il mercato è diverso. L’Italia ha una tradizione pluricentenaria. Gli Stati Uniti sono nati ieri. In Italia si parla l’itagliano (volutamente scritto così). Gli Stati Uniti parlano l’inglese. In Italia un investitore finanzia 50 mila euro per un seed. Negli Stati Uniti 50 mila euro sono finanziati in un giorno. Sia chiaro, sto banalizzando, magari anche erroneamente, ma serve per capire che ci sono due culture diverse. Dura la vita!
#3. Assenza di capitali
Parliamo di investitori che hanno i portafogli con qualche ragnatela di troppo. Purtroppo si sa che i progetti di startup soffrono (e falliscono) per l’assenza dei capitali necessari per sviluppare quanto meno un prototipo da mettere sul mercato. Nessuno vuole lavorare per la gloria (lo startupper lo fa, dedicando ben 25 ore della sua giornata alla sua “creatura”, ma giustamente qualcosa deve pur meritare e guadagnare?). Le banche non finanziano se non dai in garanzia i tuoi genitori. Gli investitori perdono troppo tempo a contarsi i soldi in tasca.
I soldi pubblici sono un ottimo stimolo, ma non sempre vengono assegnati con le giuste tempistiche. Restano il Crowdfunding e l’Equity Crowdfunding. Adesso c’è un regolamento, meglio di niente. Aspettiamo!
L’ecosistema italiano di startup sta nascendo, seppure in maniera confusionaria. Qualcosa c’è. Prendiamone atto! Tuttavia manca qualcosa di più importante (oltre i capitali come detto).
Gli startupper. La maggior parte si crede visionari imprenditori in grado di cambiare le sorti del mondo facendo le cose social e disruptive… ma in realtà sognano. La colpa forse sta anche nel diffondere il messaggio che startup = startup digitale = successo, calcando troppo l’aspetto tecnologico senza dare la giusta importanza all’innovazione, che non è la tecnologia, ma piuttosto è “fare le cose in una maniera nuova migliore della passata”. In tal modo sembra quasi che solo chi abbia competenze tecnico-informatiche può fare impresa. Il nerd è diventato così lo startupper.
Piccolo appunto: Non basta conoscere tutti i linguaggi informatici al mondo per fare impresa in Italia e nel resto del mondo. Per comprenderla e organizzarla non è sufficiente leggere libri del tipo “Diventare imprenditore in 7 giorni” o “L’arte del successo in 4 step”. Ridicolo. Come se un laureato in Economia leggesse un manuale di C++ e dopo 7 gg programma senza problemi.
Per fare impresa ci sono aspetti fondamentali imprescindibili. Uno su tutti: delineare ruoli e responsabilità. L’operatività in mano ai nerd. La strategia e l’organizzazione agli altri. Bisogna trovare il giusto bilanciamento. Si è troppo “product/service-oriented” senza valutare le reali opportunità del mercato. Serve metodo, pianificazione. Molti non lo capiscono. Risultato? Fallimento. (Esistono le eccezioni… ma ATTENZIONE, Facebook si inventa una volta sola… ed è già stato fatto!)
Stiamo preparando il terreno per seminare. La stagione migliore deve ancora arrivare. I frutti raccolti sicuramente non saranno molti e non tutti saporiti. Ci sarà da lavorare e tanto. Ma serve organizzazione e metodo. Serve visione strategica e competenze manageriali per sopravvivere. Fare impresa non è fare l’app per smartphone. È altro!
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