Startup & Entrepreneurship

Cosa possono fare i governi per l’ecosistema startup? Il caso della French Tech

il caso french tech

Jeanne Menjoulet Segui Prière de banquier - banker prayer Paris Street art. Jef Aerosol

Cosa possono fare i governi per l’ecosistema start-up? Il caso della French Tech

In un ultimo articolo mi domandavo, cosa il Governo potrebbe fare per sostenere le startup, oltre a creare sistemi di incentivi e agevolazioni. Per questo mese, dunque, propongo di continuare su questa linea e di riflettere non tanto sul “cosa fare”, ma sul “come fare”, prendendo ad esempio l’iniziativa di un paese vicino. Nel 2013 il Governo francese lancia, infatti, una politica pubblica chiamata French Tech e, a distanza di qualche anno, è possibile cominciare a valutarne risultati ed impatti. Un esempio più che di buona politica, di buone politiche:

L’initiative French Tech ce n’est pas l’Etat qui encadre, c’est l’Etat qui soutient. C’est une ambition partagée, impulsée par l’Etat mais portée et construite avec tous les acteurs

CC BY-NC-ND
(per maggiori informazioni vedi il seguente link)

La French Tech come ecosistema di startup

In Francia l’ormai fiorente ecosistema startup ha, dunque, un nome: “French Tech”. La scelta di un nome specifico sta a denotare l’attenzione politica rivolta alla nuova e dinamica generazione di imprenditori, ingegneri, investitori ed altri talenti.
Tale realtà in veloce mutamento è sostenuta strutturalmente dall’iniziativa governativa, pronta ad investire in innovazione e a prendere seriamente in considerazione la capacità delle imprese all’avanguardia di generare plusvalore economico.
Risulta che nel 2016 le scaleup francesi, abbiano raccolto 2,2 miliardi di euro con una cifra media di 6,8 milioni (12esima posizione in Europa). Il funding complessivo è diviso in 58% round di serie A, 12% di serie B e 2% via crowdfunding. Il settore impiega in media per ogni attività, risorse umane per un numero di 46.  Si stima che siano state create circa 10 mila startup negli ultimi 5 anni.
Anche le strutture di accoglienza e di sostegno sono molto numerose. Si contano nella sola città di Parigi non meno di 100 mila metri quadri dedicati alle startup. Stando ai dati di Ubifrance, per creare un’azienda in Francia servono quattro giorni e mezzo, sei giorni nel Regno Unito, quindici in Germania. Infine, si ricorda che il Governo francese è il più grande investitore in Francia, come accade anche in Belgio e Germania.
(Per la fonte di questi dati e per una comparazione con l’Italia si vedano link e link)

La French Tech come politica pubblica

In termini di politiche pubbliche, la French Tech Visa è uno dei possibili strumenti che il governo può mettere a disposizione per sostenere il mercato delle startup, come la creazione della categoria “Giovane startup innovativa” in Italia o la piattaforma Itatech in collaborazione con la Banca europea degli investimenti. La differenza la fa la visione sistemica e la capacità di una politica pubblica così strutturata di sostenere in modo organico l’intero ecosistema che si presenta sul mercato, per l’appunto, come una “squadra” ben riconoscibile, con vantaggi e status comuni.
L’obiettivo? Ottenere un «effet boule de neige» insistendo trasversalmente per rafforzare  la chiarezza e la coerenza dell’azione pubblica a favore delle startup. La politica si muove in due direzioni: dall’interno, valorizzando le esperienze nazionali (Programmes d’accélération); dall’esterno, puntando all’attrattività internazionale (la French Tech Visa) e al riconoscimento di French Tech Hub alle dieci comunità di imprenditori francesi nelle più importanti città mondiali (San Francisco, New York, Mosca, Shanghai, Tokyo, Londra, Berlino e Barcellona).
I lavori propedeutici all’implementazione della politica hanno riguardato sia la selezione delle città più competitive e i relativi rapporti con gli enti territoriali, sia l’organizzazione di una consultazione nazionale sugli obiettivi della politica e sia la messa a punto di un programma di investimenti mirato per l’accelerazione delle startup.
Il Governo francese non crea nuovi uffici o enti pubblici; si serve, piuttosto, di un’organizzazione snella di pochi elementi, la Mission French Tech, che opera, però, in stretta connessione con i servizi dei ministeri dell’Economia e delle Finanze e degli Affari esteri nonché con la Commissione generale per gli investimenti. I pilastri dell’iniziativa sono i grandi operatori nazionali che, sotto la bandiera French Tech, coordinano le loro azioni in favore delle startup: la Caisse des dépôts, Bpifrance e Business France. La politica iscrive al bilancio 200 milioni di investimenti per l’accelerazione delle imprese e 15 milioni per l’internazionalizzazione, ogni anno.

Uno sguardo alla French Tech Visa

Secondo la presentazione che ne danno i suoi ideatori, la French Tech Visa permette agli imprenditori, investitori e talenti da tutte le parti del mondo di:

[…] enjoy a startup-friendly environment that helps them grow their business and take their place in global markets. The French Tech ecosystem provides a fertile ground for them and their international business partners.

La ricetta sintetica per questa soluzione? Quattro parole: talenti, venture capital, ecosistema e supporto governativo!

 
In termini di funzionamento, la French Tech Visa è una delle procedure più semplice e veloce, che permette a tre categorie di talenti tech (fondatori, lavoratori e investitori) competitivi sullo scenario internazionale, di ottenere un permesso per vivere e lavorare in Francia (il c.d. “Passeport Talent”).  Il “passaporto” vale per quattro anni (rinnovabile), si estende automaticamente alla famiglia, ma non permette lo svolgimento contemporaneo di altre attività lavorative.
Si tratta non solo di un modo per arricchire l’ecosistema francese di nuove startup competitive, ma anche di un piano a sostegno della libera circolazione di capitali e lavoro oltre che, più in generale, di persone. I benefici di questa apertura? Sicuramente più posti di lavoro, più dinamicità della Francia sul mercato mondiale e, non ultimo, l’afflusso di investimenti che nel medio periodo andrebbero a beneficio di altre politiche pubbliche.
È come se la Francia si fosse spalancata all’internazionalizzazione e al mercato globale, valorizzando allo stesso tempo l’elemento di identità più forte, il territorio. In particolare, è il governo che valuta le métropole più competitive in base alla vivacità degli imprenditori, la capacità del tessuto locale di fare sistema per raccogliere i fondi e le risorse, il numero di startup ad alto potenziale, storie di successo globale, ecc.
Il policy maker, inoltre, immagina di concentrarsi sulla città avendo fiducia nella capacità della politica pubblica di portare in un secondo momento risultati diffusi, anche sul resto dei territori… Di nuovo “boule de neige”.

Conclusioni


 
Alla luce delle recenti notizie che vedono il Presidente Macron calarsi nei panni del “protezionista” (vedi anche i seguenti link e link ), alcune riflessioni sulla strategia French Tech sorgono spontanee.
Nazionalista con le grandi imprese e liberista con le piccole innovative? Oppure strategia di integrazione, attraverso i venture capital (vc), tra grandi gruppi e nuova imprenditorialità innovativa?
Revival colonialista in versione hi-tech, con la conquista da parte del marchio startup francese delle città strategiche del globo?
I dati parlano chiaro, la policy sta dando ottimi risultati. Che sia l’Europa intera o la sola Francia a beneficiarne, questo è un altro discorso.

Cosa possono fare i governi per l’ecosistema startup? Il caso della French Tech

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