E-commerce e negozio fisico: rivalità o interconnessione?
E-commerce e negozio fisico, due facce della stessa medaglia che durante la pandemia si sono scontrati e hanno dato vita a qualcosa di nuovo
Tra i primi a pagare il prezzo più alto dell’emergenza sanitaria in corso sono stati sicuramente i negozi fisici. Che si tratti di elettronica, di abbigliamento e via dicendo, tutte queste categorie sono state praticamente asfaltate dagli e-commerce e dalla comodità di fare shopping stando comodamente seduti sul divano di casa.
Mentre stai tranquillamente guardando la tv, di colpo ti viene voglia di acquistare quella maglia che hai visto sul quel sito famoso. Pochi clic ed è fatta. Ecco che in appena un paio di giorni ti arriverà il tuo bel prodotto. Senza stress, senza file chilometriche e senza l’ansia dei commessi che ti fissano e ti mentono su quanto ti stia bene quella gonna leopardata, o quella polo di quel colore improbabile.
Poi, diciamo la verità, di questi tempi comprare on-line è anche più sicuro perché si evitano assembramenti e qualsiasi tipo di contatto umano; cosa che forse ha iniziato a preoccupare più dell’assenza di parcheggio al centro commerciale o della terribile aria condizionata dentro i negozi, che puntualmente ci fa venire un raffreddore incredibile.
Anche in termini economici obiettivamente sul web si trovano prodotti che costano 2 o 3 volte di meno rispetto ai negozi. Già di solito non è che le persone navighino nell’oro, la pandemia poi ha ulteriormente complicato la vita e risparmiare qualche soldino va sempre bene.
Insomma per buona parte delle persone, la supremazia degli e-commerce è una vera e propria manna dal cielo e non fa rimpiangere assolutamente i pomeriggi passati in fila dentro i negozi e via dicendo.
Il punto di vista dei lavoratori
Se, però, da un lato la cosa potrebbe sembrare rose e fiori, dall’altra c’è la questione di tutte quelle categorie di lavoratori che, oltre ai problemi legati alle chiusure per il covid, devono cercare di sopravvivere anche a una concorrenza digitale sempre più spietata e sempre più sleale.
Appare evidente in questo senso che i negozi fisici (salvo alcune eccezioni) proprio non possono competere con gli store on-line, i loro ritmi forsennati e la loro fornitura praticamente infinita di materiali di tutti i generi.
Da una parte, quindi, un posto con un potenziale infinito e dove è possibile reperire praticamente di tutto. Dall’altra una realtà più piccola, ma con una componente fondamentale: i rapporti umani.
Per tutti quelli che sono stufi di parlare con un assistente virtuale che capisce meno della metà di ciò di cui abbiamo bisogno, la componente umana è fondamentale. Le commesse e i commessi che lavorano nei negozi sono (forse) l’ultimo valore aggiunto del commercio fisico, e non è una cosa da poco.
Su uno store digitale siamo inondati di offerte, di banner e pubblicità fastidiose e non c’è nessuno a cui chiedere un suggerimento. Può sembrare una cosa scontata, ma per chi è in cerca di un parere UMANO, non poter parlare con nessuno è una situazione frustrante. Certo c’è il customer care, ma è una persona che si trova a chilometri di distanza e che ovviamente non può vederci e non può conoscere tutto ciò che vende un e-commerce gigantesco. È proprio qui che le persone iniziano a rimpiangere i buoni e vecchi rapporti umani.
Il Covid cambia ancora le carte in tavola
Come abbiamo detto, con l’emergenza sanitaria i numeri degli e-commerce sono schizzati alle stelle. Nel giro di un anno e mezzo di reclusione tutte le maggiori piattaforme di commercio digitale hanno registrato un boom di vendite. Il rovescio della medaglia è che i negozi fisici sono allo stremo.
Certo una pandemia globale non era prevedibile, però questo avvenimento così assurdo ha rimesso in discussione praticamente ogni dettaglio della normalità, incluso lo shopping.
Secondo un’indagine di Netcomm Forum Live, all’inizio dello scorso anno, nel nostro paese ci sono stati oltre 2 milioni di nuovi consumatori online. Nel 2019 erano stati “solo” 700mila. Una ricerca di Havas Milan, invece, ha mostrato che 9 italiani su 10 continueranno a scegliere l’on-line per i propri acquisti anche dopo la pandemia.
Sono numeri che fanno riflettere e, al di là di tutto, cambiano veramente le carte in tavola sia per i consumatori che per i proprietari di negozi.
Appare evidente a questo punto che molte attività siano necessariamente costrette a ripensare il proprio business tenendo in considerazione le statistiche di cui sopra. Per questo da oggi e fino agli anni a venire alle attività “off-line” sarà richiesto un ulteriore sforzo che potrebbe portarle verso un qualcosa di nuovo, affine all’e-commerce, ma al contempo diverso.
Alcuni esempi “virtuosi” di interconnessione online – offline
Vediamo alcuni esempi di come alcune realtà commerciali siano riuscite a reinventarsi a fronte delle sfide imposte dalla pandemia
- Lidl ha acquistato Real.de, cercando di spingere sulle vendite on-line e su alcuni “oggetti di culto” come le scarpe, l’oggettistica e il vestiario marcato con il logo del celebre discount. Da sottolineare come su Real.de sia possibile acquistare più o meno di tutto; sintomo forse che anche Lidl stia puntando a diventare un e-commerce dalla A alla Z come Amazon.
- Zara durante il lockdown ha perso circa 409 milioni di euro, dovendo chiudere oltre 1200 punti vendita. Per l’e-commerce, invece, le vendite sono aumentate del 50% rispetto al 2019. Tra le idee messe in campo dal gruppo proprietario del brand, ci sarebbe quella di trasformare i negozi fisici in centri di distribuzione, investendo in questa mossa oltre 2 miliardi di euro.
- Starbucks, invece, sembra voglia chiudere oltre 400 negozi fisici entro la fine del 2021. La celebre catena, però, sta potenziando l’App, implementando la prenotazione del proprio caffè e il ritiro nel punto vendita selezionato.
In questi tre casi appena citati stiamo parlando di Brand di un certo livello. Ma se hanno subito la crisi del Covid colossi del genere, figuriamoci quanto la pandemia può aver influito sulle piccole attività a gestione familiare.
È evidente, a questo punto, che una delle principali aspettative per il prossimo futuro, sia quella che veda un ripensamento generale delle attività. Non solo una “semplice” migrazione dal negozio fisico verso il digitale, ma bensì una sorta di ibridazione che porti i commercianti a ripensare il proprio business nell’ottica dell’innovazione e dei servizi al cliente. Praticamente, quello che dovrebbe fare normalmente una qualsiasi attività commerciale che voglia sopravvivere a ogni costo.
Modelli ibridi e nuove tecnologie per lo shopping
Parlando di modelli ibridi, non si possono non prendere in considerazione alcuni esempi virtuosi che sono arrivati direttamente da alcuni luxury brand molto conosciuti. Questi grandi marchi per “sedurre” i clienti ormai abituati a mesi di shopping (compulsivo) dal divano di casa hanno dato vita a delle iniziative hi-tech che hanno destato l’interesse di molti.
Burberry, ad esempio, per presentare la sua nuova borsa Olympia ha pensato a un’esperienza di realtà aumentata disponibile presso Harrods a Londra. Il marchio si è ispirato ai modello di AR tipo Pokémon Go, portando in vita la statua del Dio Elpis. L’operazione ha avuto un grande successo e verrà riproposta a Macau, New York, Tokyo, Hong Kong e via dicendo.
Anche il marchio britannico Selfridges ha sfruttato la realtà aumentata e quella virtuale. L’idea è stata quella di usare dei codici QR che permettono di “trasformare” ogni negozio in un mondo fatato, fatto di fiori che sbocciano, funghi, insetti e quant’altro.
Stesso discorso per Louis Vuitton che sotto la Tour Eiffel ha dato vita a un’esperienza in realtà aumentata con i personaggi di “Zoooom With Friends”. Colpo da maestro, poi, programmare questo evento poco prima della sfilata primavera\estate del 2021.
Se vuoi saperne di più su realtà aumentata, realtà virtuale e realtà mista rivedi la Video Spremuta con Martina Mantoan.
L’obiettivo della ripresa è “meravigliare”
Sono molte le società che hanno deciso di dare quel qualcosa in più ai propri negozi, proprio per farli diventare un’alternativa in grado di offrire molto altro rispetto all’e-commerce. L’idea è offrire ai clienti un’esperienza che non dimenticheranno facilmente.
Le abitudini dei consumatori sono cambiate, ma non è solo colpa della Pandemia. Il web ha preso il sopravvento e i risultati degli e-commerce sarebbero stati gli stessi anche in tempi normali; il virus ha solo accelerato un processo che, bene o male, sta prendendo piede in tutti i settori.
Per questo i negozi e i brand devono essere in grado di reinventarsi e di offrire ai propri clienti un qualcosa che vada oltre la “semplice” esperienza di vendita. Devono essere in grado di stupire e di invogliare le persone ad entrare in negozio, non solo per la vendita, ma per poter “toccare” con mano qualcosa che altrimenti non sarebbe possibile.
A questo punto la domanda che sorge spontanea è: l’e-commerce è davvero il futuro delle attività commerciali?
La risposta è “ni”, nel senso che molto probabilmente i negozi digitali saranno destinati ad aumentare vertiginosamente i volumi di vendita e questo è innegabile. Allo stesso tempo però il negozio fisico, se sarà in grado di reinventarsi, potrà continuare a camminare in parallelo al digitale, offrendo anzitutto una componente umana nella vendita e poi il piacere della scoperta e la meraviglia di esplorare cose nuove e sorprendenti. Solo così ci potrà essere un futuro per tutte le attività off-line.
Ovviamente non tutti potranno competere con i grandi marchi, è ovvio, ma l’obiettivo a lungo termine dei negozianti probabilmente è quello di restare umani e non rinunciare mai a stupire il cliente e a farlo sentire parte di qualcosa di speciale.
E-commerce e negozio fisico: rivalità o interconnessione?