La digital transformation: paura delle aziende o dei manager?
Digital Transformation
Dialogare sullo Smart Working e, in generale, confrontarsi su tutto ciò che servirebbe a un’organizzazione per innovare, apre scenari infiniti, molto spesso conosciuti, ma raramente esplorati. La paura di cambiare lo status quo e, dunque, evitare possibili rischi, in realtà genera ancor più danni per un’organizzazione che gravita negli attuali contesti di mercato. Perché non innovare? Perché non intraprendere una trasformazione digitale?
A queste e ad altre domande può illuminarci Alvaro Busetti che, oltre ad essere un esperto di Enterprise 2.0, occupandosi di collaborazione e comunicazione, è una persona interessante, competente e aperta al confronto, insomma.. un piacere trascorrerci del tempo insieme.
Sono “arrivato” ad Alvaro grazie a LinkedIn che ci ha aiutato a collegarci e a collaborare. (il potere della rete, come integrare il mondo virtuale con quello reale… ma questo è un altro argomento).
Dialogo sulla Digital Transformation con Alvaro Busetti
Q. In diverse occasioni, tra video, articoli e confronti face to face, hai sollevato l’importanza della trasformazione digitale (Digital Transformation) a cui le aziende italiane devono ricorrere. Sembra però che ben pochi ne abbiano compreso le opportunità. Qual è la principale criticità che frena il tessuto imprenditoriale italiano?
A. La trasformazione digitale richiede di ripensare completamente l’azienda: dai rapporti con clienti e stakeholder, ai processi interni, fino al modello di business.
Non mi stupisce la difficoltà delle aziende nell’adottarla; credo sia soprattutto legata, nel caso l’azienda non sia in sofferenza, alla reticenza ad abbandonare meccanismi e modelli che funzionano e, nel caso l’azienda sia in difficoltà, a considerare come “prioritari” interventi di tipo convenzionale. È insomma un problema di cultura e creatività imprenditoriale: gli innovatori sono sempre stati pochi.
Q. Quali sono gli asset su cui investire? La tecnologia rappresenta l’unica ancora di salvezza?
A. È necessario capire che la tecnologia è solo uno strumento per gestire delle risorse da sempre fondamentali per le aziende: le risorse invisibili (o intangibili).
Parliamo di: conoscenza del mercato, rapporti con clienti e fornitori, conoscenza dei processi interni e non, know-how e best practices, reputazione aziendale e immagine di marca, rapporti con i canali, modi di usare prodotti e servizi erogati dall’azienda.
La tecnologia permette di gestire tutto questo come mai è stato possibile prima. Sono queste risorse a generare valore grazie alla tecnologia, non la tecnologia in sé.
Q. Perchè sono importanti le risorse invisibili?
A. Premesso che la rilevanza delle risorse invisibili è nota da almeno 40 anni, ci sono diversi modi per valutarne l’importanza: uno (tecnico) è il rapporto tra valore di mercato e capitale proprio dell’azienda, se l’azienda vale di più della somma del valore dei propri asset fisici, è proprio grazie ad esse (vedi p.es. Facebook); se, invece, vogliamo ricorrere al senso comune pensiamo alle conoscenze (i.e. rapporti) che i commerciali hanno con i clienti oppure alle conoscenze delle persone chiave sui processi, oppure ancora alle conoscenze dei clienti su come usare al meglio un prodotto.
Q. Come interpreti lo Smart Working? E secondo te, da dove dovrebbero iniziare le aziende. Sono spaventate dal cambiamento?
A. Credo che nelle aziende ben gestite lo smart working sia, in qualche senso, sempre esistito. Certo la tecnologia ne dà una nuova prospettiva, io la chiamo la trasformazione digitale del lavoro. E come tale credo andrebbe affrontata andando innanzitutto sul campo (i giapponesi direbbero sul “gemba”) a verificare come le risorse (invisibili e non) sono coinvolte nel processo, intervenendo poi su spazi, tecnologia, cultura manageriale e pratiche gestionali per ridurre (abolire?) i vincoli operativi e gestionali presenti. No, non credo che le aziende siano spaventate, forse i manager…
Q. La Legislazione sta cercando di regolamentare questo nuovo modo di lavorare che hanno definito lavoro agile. Tu cosa ne pensi? Un passo necessario o solo un modo per “ingabbiare” un trend in diffusione? Credi che una regolamentazione possa aiutare le aziende a comprendere meglio lo Smart Working?
A. Mi rifaccio a quanto detto sopra, le aziende per le quali “le risorse umane sono il nostro asset più importante” non è solo uno slogan, lo fanno e lo faranno a prescindere dalla legislazione e con il consenso delle parti sociali.
Semmai la normativa mi pare rimuova esplicitamente alcuni vincoli e fraintesi ereditati dal telelavoro. Credo che una cosa utile presente nel DdL sia il diritto alla disconnessione, so di casi in cui si è di fatto sostituita, come criterio di valutazione delle prestazioni, la presenza in ufficio con la disponibilità online sempre e comunque: non mi pare corretto.
La digital transformation: paura delle aziende o dei manager?