La verità sulla collaborazione digitale e le soluzioni dello Smart Working
Vediamo come la collaborazione digitale, tramite le esperienze americane, stia influendo sulla produttività dei worker.
Tempo fa abbiamo parlato di come una ristrutturazione degli spazi di lavoro in formato open space non sempre migliori, anzi talvolta ostacoli, la produttività dei worker. Le esperienze americane ci insegnano che una realtà lavorativa che offra unicamente soluzioni open space non favorisce la produttività del singolo. Quello che serve è invece un mix tra open space e sale chiuse che permettano non solo la collaborazione, ma anche la concentrazione e lo svolgimento di attività che richiedono maggiore isolamento acustico.
Partiamo da un presupposto fondamentale: come per la forzatura nell’usare spazi di tipo open space, parleremo ora di forzature nella collaborazione. Negli Stati Uniti, infatti, la collaborazione e il dialogo sono diventati veri business trend e per questo si è ricercato a tutti i costi di cambiare la realtà lavorativa, stravolgendola quando non si doveva.
Studi dedicati dalla Harvard Business Review e dall’Economist certificano come la collaborazione sul posto di lavoro sia diventata una moda che ha “superato i limiti”. In Italia non siamo ancora davvero collaborativi nelle attività lavorative di tutti i giorni, con le dovute eccezioni ovviamente, e consideriamo gli Stati Uniti come una realtà più avanzata. Se loro sono a questo livello significa che noi non dovremmo evolverci in quella direzione? La mia risposta è no, dobbiamo andare in quella direzione ma evitare, come per gli open space, le estremizzazioni. Ad esempio:
– Ci sono lavori, più intellettuali di altri, che soffrono di più la collaborazione. Questo tipo di lavori necessita, a volte o spesso, di momenti di concentrazione per lavorare al meglio, non di condividere ampi spazi o di ricevere continui input. Forzare i worker che svolgono lavori con queste caratteristiche non porta altro che a frustrazioni e improduttività; inoltre, può portare l’individuo a costringersi alla collaborazione per emulazione più che per necessità di lavoro, e per evitare di dare una cattiva immagine di sé nei confronti di colleghi e manager.
– Il multitasking. Le interruzioni, anche brevi, possono aumentare di molto l’ammontare delle ore necessarie a terminare un’attività. Il rischio è quello di ridurre la qualità del lavoro e aumentare i tempi, perché il cervello continua a pensare alle attività precedenti non terminate anche quando si è passati a quella successiva. Non pensate al multitasking solo come lo svolgimento di tante attività allo stesso tempo, ma anche come lo svolgere un’attività e nel frattempo parlare con un collega.
– Meeting che non finiscono mai, email che si allungano. Questo è un paradosso della collaborazione: le tecnologie moderne ci permettono di collaborare senza essere nella stessa stanza a discutere sul da farsi o ad approvare gli avanzamenti di un progetto. Peggio ancora se si fa tutto ciò rispondendo ad email. Oltretutto, da un punto di vista strettamente legati ai tempi e ai costi, tali interazioni tolgono tempo al lavoro, il quale sarà finito la sera tardi o il giorno dopo, e costano caro (pensiamo ai costi dei sistemi di gestione delle email). O si lavora, o si partecipa a meeting e si risponde alle email.
– Lavorare collaborando non è per tutti. E non si nasce imparati. La trasformazione del lavoro verso modalità di collaborazione (che sia digitale o meno) è prima di tutto un cambiamento culturale piuttosto che di metodo. Senza un processo di transizione che affianchi i worker soggetti del cambiamento, il rigetto della novità è dietro l’angolo e può portare a incomprensioni e inefficienze.
La collaborazione tra worker è una cosa molto importante che non deve essere obbligata. Deve essere innanzitutto spiegata, deve essere libera e deve essere realizzata come uno strumento (non l’unico) a disposizione del singolo, per migliorare la sua produttività. A cascata, se i worker aumentano individualmente la propria produttività, l’azienda nel suo complesso farà altrettanto.
La collaborazione tra worker non può fare a meno della tecnologia. Collaborare non significa parlare di più (attraverso meeting o email), ma ridurre le resistenze al lavoro in condivisione: resistenze di spazio e resistenze di tempo. Lavorare a un documento condiviso con il team elimina la necessità di fissare meeting di aggiornamento dei lavori e di palleggiare allegati l’uno con l’altro, perché gli aggiornamenti sono live e visibili in tempo reale a chiunque.
Attenzione: ripetiamo insieme il mantra “non si passa da un eccesso all’altro”. Gli spazi non saranno tutti aperti, le riunioni non saranno eliminate del tutto, le email non scompariranno per sempre. Dobbiamo evolvere il nostro modo di lavorare tenendo in considerazione le esperienze nostre e di altri (di successo come di insuccesso), e le tecnologie a nostra disposizione. Non a caso, la collaborazione digitale è uno dei cardini su cui poggia il concetto di Smart Working.
Articolo di Alberto Rossini -> Profilo linkedin
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