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8 Lezioni che abbiamo imparato sul Digital PR e perché il PR tradizionale è roba vecchia

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8 Lezioni che abbiamo imparato sul Digital PR e perché il PR tradizionale è roba vecchia

Sempre più spesso si parla di Digital PR, ma tu ancora non hai capito chi è e che cosa fa, o vuoi capire se un Digital PR è realmente una figura chiave per un team marketing che si rispetti. Bene, eccoti qua: sei nel posto giusto.

8 Lezioni imparate sul Digital PR


La lezione #1 da non dimenticare, è il tempo che passa. Nostalgia per i leggendari anni ’90 a parte, la verità è che la comunicazione si evolve e lo fa molto in fretta, soprattutto in un settore così umano come quello delle pubbliche relazioni. E proprio nelle PR è impossibile non notare un aggiornamento professionale anche involontario in favore della versione social di ogni figura.
Un decennio fa, ma anche solo pochi anni fa, il mondo delle PR era principalmente offline e chi se ne occupava doveva interfacciarsi con dei contatti fuori dallo schermo di un pc e portare alla loro attenzione servizi e prodotti, nonché eventi, al fine di promuovere questi e il loro cliente. Il tutto si svolgeva di presenza, al telefono o al limite via e-mail.
E qui entra in gioco la lezione #2: se prima i destinatari erano giornalisti e uffici stampa tradizionali, oggi bisogna (e lo ripeto anche una seconda volta: bisogna) coinvolgere nuove figure per lo più online.
Digital PR vuol dire creare relazioni con influencer, social manager, blogger e opinion leader. Tante parole per dire un concetto abbastanza scontato, l’ago della bilancia si è spostato online e tutto quel che è sul web vale molto di più di qualsiasi cosa non ci sia. E i social network valgono doppio: è fondamentale sapersi confrontare e inserire in questo mondo parallelo.
Si tratta di evoluzione. Significa che PR oggi ha ormai cambiato accezione: non più Public Relations, ma People Relations.
Ed è questa la lezione #3: al tempo dell’individualismo non si ha più a che fare con contenuti, ma con persone e modi diversi di recepire. Cambiano i target di destinazione, e quindi è inevitabile, devi sbrigarti a cambiare rotta: il PR tradizionale sta affondando per cedere il posto a Virtual Press Office e Digital PR. E in fondo questo accade anche nel modo in cui tutti gestiamo i rapporti interpersonali, ormai impossibili se non includono web, social, community e quant’altro sia stato sdoganato da Internet.
La lezione #4 è una di quelle che nessuno dovrebbe sottovalutare e si chiama storytelling.

Che cos’è lo storytelling? Il nome già la dice lunga: si tratta di proporre un contenuto che sia una narrazione in cui includere il messaggio commerciale. In fondo è il concetto opposto allo spot pubblicitario classico, e se ci pensi ha molto senso. Quante volte hai cliccato salta pubblicità su YouTube o hai chiuso senza clemenza fastidiosi pop-up pubblicitari, mentre cercavi di dare un’occhiata alle offerte per gli hotel di Rimini della prossima estate? Senza poi bisogno di menzionare il leggendario zapping nelle pause pubblicitarie di un film in tv.
Si tratta di capire la differenza che passa tra interruption marketing ed inbound marketing. Il primo è la tradizionale pubblicità che interrompe la normale attività di un utente, il secondo si inserisce attivamente come strategia concreta di creazione di contenuti, i quali rispondono alle esigenze degli user che vogliono avere contenuti di qualità, che possano risolvere il problema che gli si è presentato e per il quale stanno googlando il loro “come fare a…” del caso. Lo storytelling rientra proprio in questo tipo di contenuto, che non è pubblicità e veicola messaggi importanti presentando i prodotti come un consiglio della voce dell’esperienza.
Lezione #5: l’azienda che vuoi promuovere non è leader del mercato e anche se lo è, il destinatario del tuo messaggio non ci crederà solo perché tu glielo stai dicendo. Rifletti sulle migliaia di mail che ricevi ogni giorno di “siamo i leader di mercato…” e poi pensa che se tu non ci caschi e sbuffi insofferente, lo farà anche chiunque altro legga un simile messaggio. È storia antica, forse poteva funzionare sette anni fa, quando Internet era agli albori e i volantini ancora regnavano incontrastati sui parabrezza delle auto: oggi le Digital PR devono puntare alla personalizzazione del contenuto. Dunque ben vengano atteggiamenti più specifici e pensati per i clienti e gli influencer – il tutto in chiave della condivisione di esperienze e informazioni.
Chi non ha mai lavorato su database di file Excel? Le famose tabelle di dati che di certo non hanno mai facilitato più di tanto il lavoro in team. Bene, la lezione #6 riguarda proprio gli strumenti delle Digital PR e si estende a quel mondo un po’ vintage di Word e dei copia e incolla nelle mail: un repertorio da piccolo mondo antico che rallentava letteralmente il lavoro degli addetti alla comunicazione nel corpo dell’email e che risulta ormai antiquato in un’epoca dove è impensabile non sapere nemmeno se il destinatario ha ricevuto il messaggio – per non parlare della mancata sincronizzazione dei membri di uno stesso team.
Oggi si lavora su IRM (Influencers Relationship Management) che gestiscono in modo integrato l’intero sistema comunicativo. E poi ancora e-mail (sempre presenti), social network vari, Skype, Google doc condivisi, portali wordpress e CMS (Content Management System) per un lavoro in squadra sempre aggiornato in tempo reale.

 
Lezione #7: le competenze del Digital PR. Mentre il PR tradizionale impostava il suo bagaglio di expertise verso una dimensione più colloquiale, patinata e soprattutto orientata verso un ampio target di utenti, oggi le Digital PR devono essere supportate da attenzione al mondo social, presenza a 360° e ascolto costante di un mondo che si aggiorna continuamente di nuovi trend e novità in rete. Il Digital PR deve saper esplorare velocemente, ma bene i canali più utilizzati dal target prescelto, monitorando il buzz (ossia il passaparola o la risonanza mediatica) alla ricerca di contatti efficaci per la nuova campagna.
Al tempo dell’improvvisazione e del tutti che sanno fare tutto si assiste a due fenomeni: la tuttologia spicciola da bar che fa insorgere provetti arbitri improvvisati durante le partite dei mondiali e decantare perizie tecniche di neo-architetti, neo-ingegneri e neo-tutto in qualsiasi evento richieda una qualche lamentela di settore. In realtà c’è anche un terzo fenomeno ed è quella dei furbetti che si improvvisano figure professionali – Digital PR inclusi.
MAI affidarsi a chi non ha esperienza e formazione adeguate: perché? Un professionista che porta risultati deve poter contare di conoscenze specifiche, sia nelle tecniche di realizzazione che nei concept dietro l’azione. Ma oltre alla specializzazione serve anche l’esperienza, solo questa permette di avere una rubrica piena di contatti – i contatti sono la vera ricchezza (e questa era la lezione #8).

8 Lezioni che abbiamo imparato sul Digital PR e perché il PR tradizionale è roba vecchia

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